Per volare in alto
Festa della Presentazione di Gesù al Tempio.
Giornata della Vita Consacrata.
Rinnovo dei voti.
Oggi celebriamo la giornata della vita consacrata e lo facciamo in un contesto liturgico, quello della Presentazione di Gesù al tempio, che ci dà delle indicazioni importanti per vivere appieno la nostra consacrazione.
Io credo che la scelta di dedicare questa giornata alla Vita Consacrata, sia dovuta a un duplice aspetto.
Prima di tutto al fatto che nel vangelo di oggi Gesù viene, in qualche modo, consacrato a Dio e alla sua missione. Gesù è Dio, quindi non ha bisogno di essere consacrato, ma il segno di presentarlo al tempio è fatto per dare un inizio ufficiale alla sua missione di Salvatore a nome di Dio. Questo è chiaramente indicato dalle parole di Simeone che spiega a Maria e Giuseppe, che qui rappresentano l'umanità, quella che è la missione di Gesù. Quindi, da quel momento, essa ha un inizio anche ufficiale e liturgico. Abbiamo detto che la missione è quella di far arrivare all'umanità l'amore di Dio; questo è fatto da Dio stesso che si fa presente nell'umanità, accetta tutte le difficoltà e i sacrifici che derivano dalla meta che vuole raggiungere, e, senza timore, si mette su un cammino che poi lo porterà addirittura a dover donare la sua vita.
Il secondo aspetto è dato, invece, dalle persone secondarie presenti nel brano evangelico, cioè Simeone e Anna. Entrambi sono persone caratterizzate da un forte desiderio di conoscere la salvezza che Dio ci offre. Qui dobbiamo subito chiarire che entrambi sono, potremmo dire, dei laici, cioè non legati alla struttura religiosa del tempio e neppure alla casta sacerdotale. Simeone, da come sembra di capire dal Vangelo, era una persona “giusta” che viveva a casa sua, probabilmente con una famiglia. La parola “giusta” ci indica però che ha come priorità il fare le cose secondo la volontà di Dio, e di conseguenza, avere un costante desiderio di conoscere la volontà di Dio e la salvezza che Lui ha promesso. Proprio per questa sua attitudine interiore, lo Spirito Santo gli ha fatto capire che prima di morire avrebbe fatto tale esperienza, e in quel giorno si reca proprio al tempio. Di Anna, invece, si dice che viveva da sola dai tempi in cui era rimasta vedova, molti anni prima, e passava le sue giornate nel tempio. Quindi, se in Simeone vediamo il prototipo della consacrazione laicale, in lei possiamo vedere le persone consacrate come le suore o i frati che dedicano il loro tempo negli ambienti del Signore per far conoscere, testimoniare e predicare la presenza di Dio nel mondo. Anche di queste due persone dobbiamo sottolineare il forte desiderio interiore che si trasforma in un impegno personale di costanza e di azione, cosa che rende possibile l'intervento dello Spirito Santo.
Allora possiamo aggiungere che il punto centrale della vocazione di queste due persone e di quella di Gesù è proprio l’amore che si manifesta in un forte desiderio e, di conseguenza, in un impegno personale a realizzare quello che questa vocazione comporta.
Come tradurre tutto questo nella nostra vita personale? La risposta mi viene da una semplice parola che ognuno di noi ha pronunciato al momento della sua prima professione. Quando la cerimonia stava per iniziare, il diacono o il superiore, ha fatto l'appello, cioè ha chiamato ciascuno dei candidati per nome, e chi era chiamato, ha fatto un passo avanti dicendo: “Eccomi”. Sembrerebbe una parola detta solo perché è nel rituale, mentre invece è una parola carica di significato. “Eccomi” vuol dire: io sono qui, ho fatto un passo che non è solo di un metro per venire dal mio banco allo spazio davanti all’altare, ma è un passo molto più lungo, per uscire dalla realtà della mia famiglia, del mio villaggio, e spesso anche della mia nazione, per venire qui dove penso di poter realizzare quello che, in fondo al cuore, io desidero: conoscere Dio e servirlo. Questo “Eccomi” comporta quindi, anche un impegno personale a vivere tutto quello che la mia vocazione mi chiederà nella pratica di ogni giorno. Quello che abbiamo fatto il giorno della nostra prima professione, è stata una scelta coraggiosa, noi l'abbiamo tradotta con i quattro voti, l'abbiamo studiata durante il noviziato, e per qualche anno l’abbiamo anche sperimentata. Abbiamo fatto anche altri studi di teologia o di formazione al carisma. Questa è la bella teoria che ci dà ancora tanta forza e la gioia di dire: sono consacrato al Signore. Però a questo punto devo fare una domanda: queste cose che io ho scelto, le ho poi vissute? A voi che state per rinnovare i voti chiedo: in questi pochi anni dalla vostra prima professione pensate di aver vissuto appieno, o almeno vi siete sforzate di vivere i voti?
Chiedendovi se li avete vissuti, non intendo chiedere se avete fatto dei peccati o delle mancanze contro di essi, e neppure se li avete vissuti mettendo in pratica alla lettera tutto quello che sta scritto nelle vostre costituzioni. La mia domanda è più profonda: noi non ci siamo fatti religiosi per seguire delle regole, ma per testimoniare al mondo la presenza di Dio, l'amore che Lui ha verso di noi e che noi abbiamo verso di Lui. Questo è l'unico scopo della nostra vita. Allora la cosa più importante non sarà quello che faccio, ma il motivo per cui lo faccio, la testimonianza esterna che io do mentre lo faccio, e, considerata la situazione del mondo attuale, la provocazione che io do a questo mondo vivendo i voti. Sappiamo benissimo che da un punto di vista umano, i nostri voti rappresentano tre cose assurde, rigettate dalla mentalità comune, ma proprio per questo hanno bisogno di essere vissute, non in maniera normale, ma in maniera “profetica”, perché chi ci incontra non si limiti a pensare: “Questa persona ha fatto una scelta diversa”, ma si senta anche provocato da come la portiamo avanti. Quindi dobbiamo guardare, non tanto alle vittorie ottenute, alle cose fatte, quanto piuttosto alla nostra capacità di amare, di sentire Dio vicino, di sentire Dio importante in tutte queste cose che abbiamo fatto. Allora aggiungo un'altra domanda: “In tutti questi anni, quanto tempo ho avuto Dio nella mia mente?” Chiaramente non sto parlando di quanto tempo ho trascorso in chiesa; so benissimo che mentre sono in chiesa sto dedicando tutto il mio tempo a Dio. Io mi riferisco al fatto che mentre ero in chiesa, ho ricevuto da Lui un messaggio, poi dalla Chiesa sono uscito, sono rientrato nelle attività normali, sono andato a scuola, sono andato al lavoro, sono andato in cucina a fare un servizio alla comunità, sono andato in camera mia a studiare, tutte cose che noi facciamo ogni giorno. Ebbene in tutte queste cose, quanto è presente Dio, nella nostra mente nelle nostre intenzioni? Quali sono le cose che motivano le nostre scelte quotidiane? La mia intelligenza? La mia capacità di prendere delle decisioni? La mia posizione all'interno della comunità o della congregazione? Oppure sono stati quei valori evangelici che ho ascoltato al mattino durante la Messa, e che conosco bene perché rifletto spesso sul Vangelo?
Mi permetto di fare un piccolo esempio, perché è legato alla vostra congregazione. Quando io ero un novizio, nella nostra casa di Noviziato c'erano le vostre consorelle, tre suore molto brave e, oserei dire, anche sante. Dopo pranzo, c'era sempre qualcuno di noi incaricato ad andare in cucina a lavare i piatti. Le suore, sempre molto gentili ed anche contente di questa collaborazione, mentre noi lavavamo i piatti, ci preparavano un buon caffè che poi prendevamo assieme. Una cosa che mi ha sempre colpito è che, mentre noi prendevamo la tazzina e cominciavamo ad assaporare il buon caffè, loro, specialmente Suor Martina, che qualcuno di voi forse conosce, prima di berlo si facevano il segno della croce. Allora una volta gli ho chiesto: “Ma anche in cose così piccole fate il segno della croce?” e lei, con un'aria un po' stupita, mi ha risposto: “Perché? Non è anche questo forse un dono di Dio? Non dovrei mostrargli gratitudine anche per questo?”. La vita di queste suore era veramente piena di Dio, la loro mente era sempre rivolta a Lui, per cui anche se facevano dei lavori molto semplici e umili, come quello di cucinare o di lavare la biancheria ai novizi, lo facevano coscienti che stavano vivendo la loro vocazione in pienezza, cioè stavano amando Dio attraverso i fratelli.
C'è un secondo modo per vedere come sto vivendo la mia vita religiosa. Prima vi ho detto di chiedervi quanto tempo pensate a Dio o dedicate a lui; ora vi chiedo: “Chi sono le persone importanti nella vostra vita? Quanto sono importanti e quanto influenzano le vostre scelte quotidiane?”. Fate attenzione a questa domanda perché non vi sto dicendo che non dovete pensare alle persone, anzi sto dicendo il contrario, perché la nostra vocazione è amare Dio, ma Dio lo si ama anche e soprattutto nel fratello o nella sorella che abbiamo di fronte. Allora la domanda l'ho fatta perché noi ci chiediamo: le persone che passano spesso nella mia mente, sono tante o sono poche? Se sono poche, forse, devo stare attento a non diventare troppo attaccato; forse sono persone che in qualche modo rispondono al mio bisogno di affetto o di sentirmi realizzato. Se è così, allora al centro della mia relazione con loro non c'è più Dio, non c'è più l'apostolato in sé, ma c'è un qualcosa di personale. Questo è il punto dove normalmente i religiosi cadono perdendo la profezia della loro testimonianza. Se invece il numero delle persone è grande e continua ad allargarsi, non è legato a una persona in particolare, ma piuttosto alla situazione di quella persona, ecco che allora l'apostolato è più vero, perché al centro non ci sono più io, ma c'è il bisogno di quella particolare persona a cui Dio, attraverso di me, vuol dare una risposta. Le situazioni cambiano e quindi anche le persone cambiano. Questa apertura di mente, questa capacità di allargare il cuore, questa capacità di vedere tutti, pur dando molta attenzione a ciascuno, è quello che deve caratterizzare il nostro apostolato e quindi il nostro amore.
Un apostolato di questo tipo, comporta delle difficoltà e delle sofferenze che spesso non sono dovute tanto all'opposizione che le persone esterne ci fanno, quanto piuttosto alla necessità di fare dei sacrifici interiori. Ci viene ancora in aiuto il vangelo di oggi, quando Simeone dice alla Madonna: “E a te una spada trafiggerà l'anima”. Maria, non credo abbia avuto delle grandi opposizioni dirette a lei da altre persone. La sua sofferenza è stata nel vedere quanto avveniva a suo figlio e a dover accettare gli avvenimenti perché quella era la via scelta dal Padre per Lui. La sua sofferenza è stata il vedere suo figlio morire sulla croce e morire ingiustamente, rigettato da coloro che Lui stava salvando. Come madre e come donna, ha sofferto tantissimo da un punto di vista umano. Questa è stata la spada che è entrata nel suo cuore, ma che ha permesso all'amore di uscire da esso per riversarsi su tutta l'umanità, divenendo quindi collaboratrice del piano di suo figlio, continuando, attraverso questa sua sofferenza, la missione che Gesù aveva avviato attraverso la sua morte in croce. Per questo Gesù le ha detto: “Donna, Ecco tuo figlio”.
Allora pongo un'altra domanda: “Quali sono le cose che ci fanno soffrire quotidianamente? Quali sono i problemi che faccio fatica ad accogliere? Sono sofferenze causate dall’apostolato, o semplicemente della mia incapacità di vivere con Fede tale apostolato? Sono sofferenze che portano alla crescita, oppure sono dovute al fatto che io guardo a me stesso e alla mia soddisfazione personale, e quindi soffro perché questa non avviene?”
Come posso riconoscere in che situazione mi trovo? Basta analizzare le risposte che io mi do nei momenti in cui sto soffrendo. Se mi trovo sempre a dare colpa agli altri, alle situazioni, vuol dire che non sto vivendo con Fede. Se guardo sempre agli aspetti negativi e non riesco a vederci la volontà di Dio, la possibilità di una purificazione, la possibilità di crescita, non sto ragionando da religioso. Se mi trovo in un’attitudine di tristezza che mi toglie la forza, che mi scoraggia, non sto vivendo una testimonianza vera. La sofferenza di Maria è stata grande forte ma ha fatto sì che lei si donasse più pienamente alla missione del figlio, la abbracciasse fino alla fine.
Concludo per non essere troppo lungo facendo un augurio a voi sorelle che state rinnovando i vostri voti. Nella vostra vita religiosa e nel vostro apostolato, vi auguro di non essere come farfalle che passano da un fiore all'altro. I fiori sono belli ma noi siamo chiamati a qualcosa di più alto. Vi auguro di essere come le aquile che volano in alto, non da un fiore all'altro, ma dalla cima di un monte all'altra. La farfalla, volando bassa, vede poco, solo quello che c'è nel raggio di un metro; l'aquila, volando a una grande altezza, vede l'intera pianura e l'intera regione e comprende tutte le cose. La farfalla è attirata dalla piccola luce della fiamma di una candela o da una lampadina, le si avvicina e si brucia le ali. L'aquila è attirata dalla luce del sole e con coraggio s'innalza verso di lui. Questa deve essere la nostra vita religiosa.
Vi auguro di saper volare sempre in alto, di vedere le cose con gli occhi forti di chi è stato capace di fissare il suo sguardo nel sole, e attraverso la luce del sole vedere tutte le cose.
Vi auguro di avere il coraggio di fare scelte grandi, forti, ma al tempo stesso di sapere essere vicine a tutti con quella testimonianza di amore e di misericordia che i vostri voti vi chiedono di vivere, per rendere presente Dio tra le persone che Lui vi farà incontrare.