Siamo tutti chiamati a portare Cristo al mondo.
Siamo tutti chiamati a portare Cristo al mondo.
Se leggiamo il brano del vangelo di oggi in modo superficiale, cioè ponendo attenzione solo alle parole della storia che narra, ne avremo una bella lezione di servizio, umiltà e coraggio da parte di Maria che, pur essendo incinta, affronta un lungo viaggio per andare ad aiutare la parente Elisabetta. Questa, però, è una lettura molto riduttiva e anche un po’ problematica. L’importanza del viaggio di Maria è molto più di quella indicata del servizio.
Data la brevità del tempo che ci è concesso, non possiamo andare nei dettagli, ma dalla descrizione che Luca fa di questo viaggio, si vede che Maria è paragonata all’Arca dell’Alleanza il baule che nell’Antico Testamento conteneva le tavole della Legge date da Dio a Mosè e che erano l’unico oggetto sacro posseduto dagli Ebrei. Maria è paragonata ad essa perché porta dentro di sé, non le tavole della legge, ma Gesù che è venuto a instaurare la nuova alleanza. È interessante il fatto che quando nel 5° secolo d.C. fu costruita una chiesa nel villaggio di Elisabetta (Ain Karim), questa non fu dedicata ad Elisabetta o Zaccaria o Giovanni, ma a Maria “Arca della nuova alleanza”.
Papa Francesco, commentando il viaggio di Maria verso Ain Karim, l’ha definito “la prima processione del Corpus Domini della storia”.
Noi, fra qualche minuto, riceveremo fisicamente il corpo di Cristo e subito dopo usciremo da questa chiesa e cammineremo tra la gente. Che fine ha fatto Gesù? È ancora dentro di noi. In quel momento stiamo rendendo vera la processione del Santissimo per le strade della città. Chi se ne accorge? Nessuno? Allora mi chiedo: perché? Giovanni si è accorto che in Maria c’era Gesù, se ne è accorto dal saluto di lei. Anche Elisabetta se n’è accorta dall’esultanza del bambino, aiutata dall’illuminazione dello Spirito Santo. È una mirabile catena di trasmissione di fede e di ruoli. L’angelo annuncia a Maria; Lei parte e porta Gesù alla casa di Zaccaria; lì Giovanni riconosce la sua missione di annunciatore della presenza del Messia e la inizia subito facendo sì che anche sua madre comprenda la sua missione e ne rende lode a Maria; Maria rimanda la lode da sé verso il Signore e il cerchio si chiude. Questo è quello che dovrebbe succedere non appena noi usciamo di chiesa. Le persone che ci incontrano dovrebbero riconoscere che in noi c’è Dio, grazie a questo, dovrebbero scoprire il senso della loro vita e sentire il desiderio di mettersi in movimento. La nostra testimonianza, spesso silenziosa, deve dare vita a un percorso contagioso più del corona virus. Purtroppo abbiamo troppi vaccini, prima di tutto quello dell’indifferenza e poi quello di un falso pudore, per cui nascondiamo ciò che portiamo dentro.
Il libro di Samuele, quando parla del viaggio dell’arca sulle colline di Giudea, dice che dove essa entrava, portava pace e prosperità a chi l’accoglieva. Noi, quando incontriamo le persone, in virtù del Cristo che portiamo dentro, dobbiamo recare serenità, aiuto, vicinanza, “pace”. Le persone, incontrandoci, devono fare la stessa esperienza della presenza di Dio, che ha fatto Giovanni, che nel grembo della madre esulta perché finalmente ha riconosciuto il suo ruolo nel mondo.
Qual è il segreto per fare questo salto di qualità? Come riuscire a testimoniare gioia nonostante che ogni giorno affrontiamo difficoltà e controversie? Come riuscire ad essere fedeli a Dio in un mondo fortemente secolarizzato, ateo, che in ogni momento ci spinge a scelte anti-evangeliche? La risposta è nelle ultime parole di Elisabetta: “Beata colei che ha creduto all’adempimento delle parole del Signore”.
La fede è credere che Dio è all'opera, non ci abbandona mai; anche nei momenti più difficili è con noi e troverà la via per compiere in noi la sua volontà, che veramente è il meglio per noi, ma vuole il nostro contributo, cioè che crediamo in questo, e ci abbandoniamo alla sua azione. Quindi quella di Maria non è una fede solo intellettuale, passiva, ma una fede attiva che si trasforma in vocazione e impegno di vita.
Varie volte abbiamo sentito chiamare Maria: la nuova Eva. Eva aveva creduto alla parola del diavolo ed ha attratto la maledizione sull'umanità, Maria ha creduto alla parola di Dio ed ha attratto la benedizione. Noi che parola seguiamo? La parola del diavolo prometteva potere personale (diventerete …) la parola di Dio promette un frutto per gli altri (darai alla luce …).
Elisabetta ha fatto bene a lodarla, ma non per qualche merito suo ma per la fortuna di essere stata scelta come ricettacolo della grazia di Dio: “Perché il Signore ha guardato all'umiltà”. Cos'è l'umiltà? Umiltà, è quando ci si mette a livello dell'humus, la terra che sta sotto i piedi, ma che è anche la terra che Dio ha utilizzato per creare l'Homo; dall'humus, la cosa più bassa, viene l'homo, il principe e custode di tutta la creazione. Questo è il miracolo che Dio fa in noi se glielo permettiamo, se ci presentiamo come “servi”, cioè come chi si butta a terra per fare la volontà del Padrone. Quindi umiltà non è il nascondere le cose, ma il riconoscere che esse non sono merito mio, ma dono gratuito di Dio. Pensiamo un attimo al nostro atteggiamento che spesso funziona in maniera opposta. Noi nascondiamo le doti che abbiamo per paura che ci venga chiesto troppo, per paura della responsabilità, per paura di sbagliare, e ci illudiamo che tutto questo sia umiltà. Se poi riusciamo a fare qualche cosa di buono, allora ricerchiamo subito la lode, l'apprezzamento degli altri.
Una confusione potrebbe anche nascere dalle parole di Elisabetta e cioè di considerare Maria come grande, superiore, autrice di tutto. Maria ci tiene a mettere le cose in chiaro e lo fa a modo di preghiera non di spiegazione teologica. La teologia è per gli studiosi e i sapienti; Zaccaria potrebbe averlo fatto, ma lei è piccola, illetterata, e gli illetterati sanno solo pregare. Lei chiarisce subito che è Dio che è grande; è Lui che ha fatto tutto, come sempre. Il sentirci “piccoli” di fronte a Dio, non solo è giusto, ma è anche doveroso; però dobbiamo ricordare che dall'Annunciazione in poi la situazione è ribaltata, Dio si è fatto vicino a chi si sente piccolo e lo tira su, lo fa rinascere a una dignità tutta nuova. Allora la presenza del Signore non provoca più timore, ma gioia, come quella di Giovanni che salta, o Maria che esulta. La gioia interiore, il desiderio di bene sono sempre segni della presenza di Dio e ispirazioni a rispondere alla sua chiamata all'amore. Se la gioia è sempre segno della presenza di Dio, la lode diventa il segno della nostra adesione a Lui. Non c'è vero amore senza lode. Ecco allora la preghiera del Magnificat che è proprio un canto di lode, una preghiera che nasce dalla gioia grande, incontenibile, perché Colui che è il Salvatore ha guardato a lei che è piccola e umile e le ha cambiato totalmente lo stato. Qui, poi, dovrebbe seguire tutta la spiegazione del Magnificat, per la quale non abbiamo tempo.
C’è invece, un altro aspetto che vorrei sottolineare e che spesso è dimenticato. Dopo che Maria ha fatto il suo annuncio ad Elisabetta, in teoria il suo compito è terminato. Perché il vangelo ci tiene a sottolineare che lei si ferma a Casa di Zaccaria per tre mesi? Per aspettare la nascita? Anche, ma non solo. Cosa ha fatto in quei tre mesi? Ha dato la testimonianza pratica di quello che Gesù è, e vuole che noi siamo. Io sono fermamente convinto che in quei tre mesi, dato che Elisabetta era impedita dalla gravidanza, Maria si sarà messa a cucinare, lavare i piatti, i panni, pulire la casa. In Lei, Gesù si fa già servitore. Lo sarà e lo predicherà per tutta la vita, ma se non lo avesse fatto anche adesso, forse il messaggio per Elisabetta (che, tutto sommato, era una donna ricca), sarebbe potuto essere frainteso. Giovanni dovrà essere il precursore del Messia; non un precursore di gloria e onore, ma uno di vita sobria e di sacrificio, di conversione del cuore, perché il Messia non sarà uomo di gloria ma di servizio.