Discepoli ma uomini
Anche molti discepoli se ne vanno. Gv. 6,60-69
Molti si lamentano perché i numeri nella Chiesa sono deludenti, tanti se ne vanno, ci sono tante teorie confuse, molta gente ha perso interesse alle cose spirituali. Allora c’è chi proclama la necessità a un ritorno alle forme antiche tradizionali fatte di formule e precetti da seguire, e chi, invece, dice che c’è bisogno di seguire i tempi nuovi, intendendo con ciò l’annacquare il vangelo per fare spazio a tutte le nuove teorie umanistiche.
Il vangelo di oggi ci permette di interpretare i tempi di oggi. Facciamo attenzione che, all’inizio del discorso, si diceva che ad ascoltare c’erano i Giudei cioè coloro che già in partenza osteggiavano Gesù, ma poi ad andarsene sono anche i discepoli, cioè coloro che, prima, avevano scelto di seguire Gesù. Vediamo un po’ come si comporta Gesù e come risponde la gente.
Tre domeniche fa abbiamo iniziato a leggere insieme il lungo discorso di Gesù sul Pane di vita. Domenica scorsa doveva esserci la parte finale di tale discorso, che però non abbiamo letto perché era la festa dell’Assunzione della Vergine Maria. In questo pezzo di vangelo che ci siamo persi, Gesù ribadiva il concetto chiave della sua predicazione: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita eterna”. Con la parola mangiare Gesù indicava la necessità di assimilare le parole, ma anche lo stile di vita, la sua spiritualità, i suoi insegnamenti fatti di amore, servizio, umiltà. Con la parola bere, invece indicava l’assimilarsi a Lui, lasciare che Lui divenisse un tutt’uno con noi. Il commento e la risposta della gente a questa proposta di Gesù la leggiamo nel vangelo di oggi: “Questo linguaggio è troppo duro, chi ce la fa ad accettarlo?”
La difficoltà degli ascoltatori non stava tanto nel comprendere il significato delle parole di Gesù, che suonavano un po’ come parole di un eretico o di un esaltato, ma nell’impegno che esse richiedono. La gente vedeva lo stile di Gesù; Lui era amico dei peccatori, mangiava con loro, si rendeva impuro toccando i lebbrosi e i feriti, si fermava a parlare con le donne e ad alcune di loro pretendeva di perdonare gli adulteri; come si può attribuire tutto questo a Dio? Gesù chiede alla gente di rinunciare al potere per mettersi a servire, di rinunciare alla prerogativa di popolo eletto per far spazio a tutti, peccatori e pagani. Come si può accettare tutto questo?
Gesù sa benissimo che le sue parole non sono popolari, che spaventano, o come dice lui stessi, “scandalizzano” la gente, eppure le pronuncia perché lui non vende propaganda ma verità. Ai giorni nostri, la politica è diventata l’arte di trovare le parole che la maggioranza vuol sentirsi dire. Non importa se siano vere o false, se si realizzeranno e se saranno presto dimenticate. L’importante è che la gente oggi sia attirata da me, dalla mia immagine vuota.
Ci sono perciò due modi diversi di vivere: Il primo lo sperimentiamo quando noi scegliamo di ascoltare le parole che danno un senso alla vita, ci mettono in discussione, ci fanno crescere, ci feriscono, ma ci guariscono; il secondo, invece, quando andiamo alla ricerca di parole di compiacimento, di parole che nutrono la nostra immagine, ci confermano, ma ci illudono.
Molti degli ascoltatori erano venuti perché speravano che con Gesù avrebbero risolto i loro problemi quotidiani. Lui poteva moltiplicare i beni necessari come il cibo, quindi non c’era più bisogno di litigare con la pioggia o la siccità o i soldati. Ora Gesù li sta deludendo dicendo loro che ricercano le cose sbagliate e lui non è disposto ad esaudirli.
C’è anche un gruppo più vicino di discepoli: Pietro, i dodici apostoli e pochi altri. Essi non hanno ricercato il pane quanto piuttosto la gloria, la fama. Anch’essi sono rimasti delusi quando Gesù ha rifiutato di essere fatto re, e ancor più quando ha parlato di servizio, quando ha annunciato che presto sarà catturato e dovrà morire. Ecco perché Gesù, dopo aver visto che la folla se ne andava, si volge anche a loro chiedendo: “Volete forse andarvene anche voi?”.
Noi veniamo da duemila anni di cristianesimo e sappiamo che queste parole, riferite all’Eucarestia, hanno perfettamente senso. Però troppo spesso abbiamo confuso il culto dell’Eucarestia con il bisogno di stare lì a fare compagnia a Gesù, andare a Messa e fare la comunione, ma abbiamo riflettuto troppo poco sulla necessità di accogliere e assimilare il suo stile di vita, di mettere in pratica i suoi insegnamenti, di prendere sul serio il comandamento dell’amore, del servizio, del perdono, della misericordia. La nostra adorazione eucaristica deve essere il momento in cui ci riempiamo d’amore per Lui e del desiderio di essere sempre più uguali a Lui e uniti a Lui. Se noi Cristiani riduciamo l’Eucarestia a qualche genuflessione, a qualche preghiera fatta a messa o in chiesa, allora la religione è facile, se poi la preghiera serve per presentargli i nostri problemi e implorare delle grazie, allora è anche una religione comoda. Gesù vuole di più, vuole tutto. Lui non ci chiede di ricevere ma di donare.
Non c’è da stupirsi se oggi, come nell’episodio del vangelo, molti se ne vanno. La scelta di seguirlo deve essere totalmente libera. Gesù è venuto a liberarci dalla schiavitù delle nostre tendenze umane, non avrebbe senso che ora imponesse un altro tipo di schiavitù, quindi lascia partire quelli che non sanno vedere la bellezza dell’unione con lui, ma io credo che molti dei Cristiani che hanno lasciato la pratica religiosa perché non vogliono un impegno o hanno paura a rinunciare alle loro cose, forse ritornerebbero se vedessero noi prendere sul serio la parola di Gesù, contenti di farlo. Un cristiano “bello”, “felice”, attira gli altri e li incoraggia a fare il passo che in coscienza sanno che è giusto, ma non hanno il coraggio di intraprendere.
Gesù non discute, non provoca, semplicemente dice: “Volete forse andarvene anche voi?” La vita è una continua scelta tra il desiderio di seguire le parole dello spirito e la tentazione di nutrirsi solo di parole carnali. Pietro ha intuito che la proposta di Cristo è quella che lo fa vivere realmente e lì abita quello Spirito a cui Gesù si è riferito molte volte. Le parole di Pietro sono anche le parole che noi diremo ad altri se ci lasciamo abitare dallo spirito di Gesù. Esse non ci portano la soluzione dei problemi, ma ci danno la forza di affrontarli. I dubbi rimangono, le cadute ci sono state e altre ancora ci saranno, ma proprio nelle cadute e nel conseguente perdono Pietro ha sperimentato il senso della vita e dell’essere con Gesù. Ha capito per Fede che il Messia non è quello che loro si aspettavano all’inizio e ora è disposto a correre il rischio del “nuovo”, non perché, stando con Gesù, l’ha compreso ma perché ne ha fatta l’esperienza.
A noi è chiesto di scegliere se ragionare secondo la carne o secondo lo Spirito. È la proposta che anche Giosuè, nella prima lettura, fa agli Ebrei appena entrati nella terra promessa. La carne dà solo suggerimenti secondo la sua mentalità, cioè ricercando la sicurezza, la comodità, il piacere. Lo Spirito, invece, permette di comprendere i valori veri delle cose. Anche lui, come Gesù, però non obbliga nessuno, fa solo una proposta perché molti cristiani non accettano di essere amati, di farsi poveri per lasciare nelle mani di Dio la loro vita. Gesù non è interessato in niente che sia forzato, Lui vuole scelte che vengano dalla libertà. Noi spesso vogliamo essere costretti, vogliamo regole chiare da seguire in modo da poter dire “Ho fatto il mio dovere”. Preferiamo essere trattati da bambini, essere costretti al bene e non posti nella condizione di scegliere.