Come non contaminarsi col male
Come non lasciarsi infettare dal virus del Covid-33, quello dei tempi di Gesù. Mc 7,1-8; 14-15; 21-23
Il vangelo di oggi ci presenta una serie di prescrizioni che gli Ebrei dovevano seguire per non contagiarsi, o meglio per non rendersi impuri, leggi strette che ci ricordano quelle che abbiamo sperimentato noi all’inizio della pandemia del Covid-19.
La domanda che sta al centro è: cosa rende pura o impura una persona?
Nell’Antico Testamento questa era una questione vitale giustificata dal fatto che gli Ebrei avevano chiara coscienza di appartenere a Dio, di essere il popolo eletto, riscattato da Dio dalla schiavitù, e tutti dovevano sforzarsi di mantenere questo stato di dignità che garantiva loro che le benedizioni di Dio continuassero.
Tutto quello che fosse contro Dio li avrebbe resi impuri e quindi andava assolutamente evitato. Da qui era nata una serie di leggi molto severe su cosa mangiare o no; cosa toccare o no; cosa fare e cosa no.
Queste leggi si erano trasformate in una serie di riti di purificazione, riti molto rigorosi da osservarsi nei particolari, perché ogni particolare aveva un significato profondo che ricordava il proprio stato. Uno di questi riti riguardava la purificazione da fare al rientro dal mercato dove, anche involontariamente si incontravano persone o cose magari impure, ad esempio peccatori, feriti, donne durante il periodo delle mestruazioni, persone che avevano toccato animali impuri, eccetera. Un altro rito importante era la purificazione delle stoviglie e delle mani prima di prendere il cibo perché il cibo, dono di Dio, doveva metterci in contatto con Lui e non offenderlo.
Il problema subentrò quando tali regole, così precise, diventarono, un po’ alla volta, come riti magici, cioè cose da fare senza pensare al significato spirituale che avevano, ma con la credenza che erano i gesti stessi o le parole, cioè tutto l’apparato esteriore, a creare il miracolo della purezza. Per questa ragione molte persone, forse dalla coscienza un po’ più lassa, cominciavano a tralasciarli. I farisei, esperti e fedeli difensori delle leggi, avevano notato che i discepoli di Gesù erano tra coloro che trascuravano queste norme, e scandalizzati lo vanno a dire a Gesù. Tutto questo suona un po’ come la lettura del tempo moderno e del fatto che molti hanno perso interesse per la preghiera, i sacramenti e la religiosità in genere.
Gesù come suo solito prende l’occasione di questa disputa per sottolineare quella che per Lui è la questione centrale della religione: Essere in contatto con Dio non è dato dai riti o dalle formule ma dall’adesione del cuore e dalla volontà di dedicargli tutta la vita. Per spiegare loro il senso del suo messaggio utilizza una frase del profeta Isaia: “Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me”. I Farisei, praticavano una religione che nell’esteriorità era perfetta, ma il motivo per cui la praticavano, i desideri che li spingevano erano errati, cioè egoisti, mettendo al centro se stessi, la propria immagine, il proprio interesse, il sentirsi migliori degli altri, il proprio onore. Quanto erano disposti a sacrificare per Dio? Niente.
È interessante notare il fatto che Gesù, quando vuole spiegare ciò che intende, non si rivolge più agli scribi ma alla folla, quindi anche a tutti noi. Probabilmente fa questo perché gli scribi e i Farisei, dall’alto della loro scienza, non avrebbero comunque accettato il suo discorso. Quindi si rivolge alla gente semplice per formare la loro coscienza e, in un certo senso, proteggerli dalle imposizioni contraddittorie dei Farisei.
“Comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che entrando in lui possa renderlo impuro.” Se impuro è ciò che ci allontana da Dio, esso non può essere una cosa materiale, anch’essa creata da Dio, ma l’intenzione, il desiderio che nel nostro cervello ci spinge a fare un gesto: non il toccare una particolare cosa o persona, ma il perché la tocchiamo; non il mangiare un cibo ma il perché lo mangiamo. L’intenzione sbagliata ci mette in situazione di distanza con Dio cioè diventa peccato. Allo stesso modo ciò che ci rende puri, degni di stare alla presenza di Dio e del suo amore, non sono particolari parole o gesti, ma ciò che essi, nella nostra mente e intenzione, significano, cioè l’essere pentiti del peccato, il desiderare di stare con Dio, il volersi nutrire della sua grazia.
Voi mi direte: ma le nostre cerimonie, i sacramenti, sono pieni di simboli, gesti, formule, dobbiamo forse credere che sono inutili? Quando li compiamo o pronunciamo con fede come modo per dire a Dio: “Sono tuo, ho bisogno di te, voglio essere sempre con te”, allora sono utili e vantaggiosi. Ma se vengono fatti senza pensarci, senza portare la nostra mente al loro significato originario, essi non ci ricordano Dio e la sua misericordia; sono inutili.
Poi si rivolge ai discepoli (quindi sta facendo una catechesi o una lezione): quali sono gli atteggiamenti interiori che ci portano al peccato, cioè che tolgono a Dio il posto centrale e gli preferiscono cose del mondo? Gesù fa una lista di dodici cose, sei espresse al plurale e sei al singolare: Le impurità, i furti, gli omicidi, gli adulteri, le avidità, le malvagità, l’inganno, la dissolutezza, l’invidia, la calunnia, la superbia, la stoltezza. Naturalmente la lista non vuol essere completa ed esclusiva, ma solo rappresentativa, cioè presentare i casi più comuni e significativi.
I primi sei sono al plurale per indicarci che non si tratta della cosa in sé ma che ci sono vari modi o casi in cui questo peccato avviene. Vediamo più precisamente.
Le impurità: il testo greco usa la parola prostituzioni, cioè vendersi per interesse. Tutte le volte che rinunciamo alla nostra dignità di figli di Dio cioè entriamo in compromesso col peccato per ottenere cose materiali, la carriera, il riconoscimento degli altri, privilegi, la benevolenza di un superiore.
I furti: non sono solo l’impossessarsi di cose di altri. È la gestione scorretta dei beni del mondo che appartengono a Dio: quando li usiamo per scopi sbagliati li rubiamo a Dio. Agli altri possiamo rubare il buon nome, il lavoro, eccetera.
Gli omicidi: il togliere la vita dell’altro. Si fa questo anche quando gli togliamo l’onore, quando gli togliamo ciò che è necessario per lui o la sua dignità, quando gli togliamo la gioia di vivere.
Gli adulteri: sono tutte le infedeltà all’amore, tutte le ricerche di piacere egoistico che presuppongono l’asservimento dell’altro al mio piacere.
Le avidità, il desiderare di avere sempre di più. Per Gesù è importante dare di più. “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”, invece la cupidigia ti dice che la gioia viene solo dall’avere. È l’atteggiamento del bambino che vuole tutto per sé, l’adulto dà per la gioia dell’altro.
Le malvagità: il pensare il male negli altri. È il bisogno di tenere d’occhio gli altri per cercare il male e provare gioia quando si vedono gli sbagli degli altri.
L’inganno: è il pensare solo al proprio interesse ed essere disposti a qualsiasi cosa per ottenerlo.
La dissolutezza: non è solo nel campo sessuale ma qualsiasi mancanza di controllo in tutti i campi, mancanza di controllo nella gola, nel ricercare piaceri.
L’invidia: letteralmente è la paura che ci venga sottratto qualcosa. È ancora il bambino che domina in noi, dimentica i doni che Dio dà a lui e guarda quelli che dà ad altri pensando che così lui potrebbe apparire inferiore.
La calunnia: è il rifiuto della verità, l’opporsi alla verità, il parlare male dell’altro come mezzo per renderlo inferiore a noi stessi.
La superbia: il credere di essere più importanti, più bravi, occupare sempre i primi piani. Questa è una malattia mentale per la quale si dimentica che tutto ci è dato da Dio e tutti siamo ugualmente preziosi davanti a Lui.
La stoltezza: il fare delle scelte basandosi sui valori sbagliati, su quelli che ci fanno apparire di fronte al mondo invece di quelli che ci portano a Dio.
Tutte queste cose non sono purificate dall’acqua che ci lava le mani ma dall’aderire alla Parola di Dio.
Una pandemia è in corso oggi più che mai, la pandemia dell’indifferenza, dell’arrivismo, della superbia. Dobbiamo prendere le nostre misure per proteggercene, e il vaccino si chiama “Vangelo”.