Isacco, Gesù,. e noi?

 Sul monte per mettere in discussione la nostra immagine di Dio (Mc 9,1-9)

Il Vangelo di oggi ci presenta Gesù nel momento centrale della sua vita pubblica, forse il momento più glorioso. Per comprendere meglio la situazione, vediamo cosa era successo subito prima. C’era stato il miracolo più grande, più popolare: la moltiplicazione dei pani. Ben 5000 persone, non solo avevano visto, ma anche beneficiato di questo miracolo. Qualsiasi cosa Gesù avesse chiesto alla folla essi lo avrebbero eseguito. Ma Gesù si era reso conto che anche gli apostoli si stavano lasciando trascinare da un facile entusiasmo, e correvano il pericolo di comprendere in modo errato il suo messaggio. Allora Gesù decide di fare qualcosa. Comincia a parlare loro della discesa a Gerusalemme e della sua passione, ma essi sembrano non capire. Li invita a prendere su di sé la propria croce e seguirlo, ma le sue, sembrano parole lanciate nel vuoto. Quando si è al culmine della gloria, è difficile accettare discorsi che parlano di umiltà, di sofferenza, di servizio. Allora sceglie una via altamente simbolica che serva a minare le fondamenta del modo errato di credere dei discepoli.

Il racconto della trasfigurazione va compreso in questo senso, se no appare troppo strano: Gesù vuole dare un messaggio ai discepoli ma si ritira in un luogo appartato con solo tre di essi; fa un miracolo che però non benefica nessuno. Lo scopo della trasfigurazione è principalmente quello di far capire ai discepoli la vera missione di Gesù e far capire loro la vera identità di Dio.

Per comprendere bene il significato di quel che avviene possiamo farci aiutare dalla prima lettura di oggi, il sacrificio di Isacco. Nelle religioni pagane antiche era molto comune che le persone sacrificassero i loro figli agli dèi per aggrazziarseli. Abramo, che è cresciuto in questa cultura, non si stupisce che gli sia chiesto il figlio, per cui obbedisce, ma sul monte scopre un Dio diverso, un Dio che non vuole il sacrificio. È stato Dio a donare un figlio ad Abramo e non viceversa. Il vero Dio non chiede la vita ma la dà. Quando sembra che Dio ci stia chiedendo qualcosa di grande, noi scopriamo che lui non chiede niente, lui dà. Una parentesi: la mentalità antica ci sembrerà crudele; sacrificare un figlio. Ma guardate che anche oggi molte persone sono abituate a sacrificare i figli; non a ucciderli, ma a sacrificarli alla carriera, alla comodità della vita. O non li generano o li abortiscono o, se sono nati, li trascurano in nome delle mille cose che la società, il lavoro, la carriera richiedono.

Chi è abituato a leggere il Vangelo in modo superficiale, vede Gesù come un grande, una persona potente capace di tutto, ma che però, purtroppo, finisce male, viene catturato e ucciso. Per fortuna Dio Padre ci mette una pezza e lo fa risorgere da morte. Guardate che ci sono ancora molti cristiani che pensano che Gesù sia Dio quando fa i miracoli e sia uomo quando soffre e muore. Questo è un modo di credere da pagani, non tanto diverso da quello delle religioni dell’antichità. La fretta con cui preghiamo o leggiamo la Parola di Dio, la confusione creata nella nostra testa dalla gente che acclama, una certa religiosità molto esteriore e clamorosa, ci distraggono, ci inebriano, e offuscano la nostra capacità di comprendere il vero volto di Dio. È solo quando ci mettiamo in silenzio a leggere con calma la Parola di Dio, a riflettere sul suo vero messaggio, a collegare i miracoli di Gesù con i suoi insegnamenti, che comprendiamo che Gesù è Dio proprio mentre serve, soffre, offre la sua vita. La morte di Gesù non è uno sbaglio o un incidente di lavoro, ma è il punto centrale della vittoria di Dio sul peccato e sulla morte. La morte è frutto del peccato e il peccato è frutto delle passioni errate degli uomini: il potere, la cupidigia, l’egoismo. Se è così, la vittoria la si può ottenere solo con un amore disinteressato, l’umiltà e il servizio, che hanno nella Croce l’immagine più alta e pura. Allora Dio non ci chiede un sacrificio di espiazione ma ci dà lui stesso suo Figlio perché sia sacrificato per i nostri peccati.

Gli apostoli sono chiamati a fare questa esperienza della bontà di Dio; Dio non ci chiede, Dio dà, e per amore, ci dà addirittura suo Figlio e lo sacrifica per noi. Questo è un discorso difficile da capire, ma soprattutto da accettare. I discepoli non sono ancora pronti, preferiscono ancora avere un Dio forte che però possano comprare con le loro preghiere; non sono disposti a seguire un Dio perdente che si fa catturare e uccidere. Ecco perché Gesù sceglie solo tre discepoli, quelli che poi avranno un ruolo centrale dopo la Pasqua, e li porta su un monte, da soli nel silenzio, ad avere un’esperienza di Dio. Guarda caso sono proprio gli stessi tre che accompagneranno Gesù nell'orto degli ulivi e anche là, mentre Gesù riceve l'investitura finale, loro saranno vinti dal sonno.

Salgono sul monte; il monte è sempre il luogo dell’incontro con Dio. Mosè era salito sul monte e lì aveva ricevuto la legge; Elia era salito sul monte e lì aveva sentito la voce di Dio e ricevuto l'ultima investitura. Lì sul monte, assieme a Gesù ci sono proprio loro, Mosè ed Elia a parlare con Lui e a dirgli della necessità di scendere a Gerusalemme. Lì interviene anche il Padre a confermare l'investitura di Gesù: “Questi è il mio figlio prediletto: ascoltatelo”. Ora, per gli apostoli, non ci possono essere più dubbi: Gesù è veramente il Messia, Mosè e Elia lo testimoniano e il Padre lo proclama, ma è anche il nuovo Isacco, o meglio colui che dovrà prendere il posto di Isacco perché Lui è venuto per morire, non per fare miracoli.

Il tutto avviene in un’atmosfera di preghiera, perché senza la preghiera non è possibile capire ed accettare il piano di Dio. Non siamo di fronte a un piano umano e la posta in gioco non è umana. La difficoltà dell'accettare una cosa così grande la si vede anche nella stanchezza dei tre discepoli che fanno fatica a rimanere svegli. La debolezza umana è grande e, spesso, si sente schiacciata dall'enorme portata del messaggio di Cristo, dall'impegno di essere cristiani coerenti. Spesso ci sentiamo senza forze, incapaci di reagire. Allora dobbiamo pronunciare la nostra frase di abbandono nelle sue mani: “Signore è bello per noi stare qui con te, faremo tre tende” perché tu, Mosè ed Elia rimaniate con noi.

Mosè ed Elia rappresentano la legge e i profeti. Il nostro essere cristiani oggi passa attraverso due canali, il primo è quello istituzionale, fatto di Chiesa, sacramenti, catechismo, leggi e tradizioni, proprio come Mosè; il secondo è fatto dall'esempio di persone sante, magari un po' strane ma attraenti, che ci dimostrano la forza di Dio attraverso la loro vita. Pensiamo a Madre Teresa, a Padre Pio, a Don Orione e anche a Papa Francesco. Con la loro vita e il loro parlare ci ricordano Elia e ci mostrano Dio che agisce nella storia. Ebbene, entrambi i canali devono essere presenti e vivi nella nostra vita. Sarebbe uno sbaglio legarsi solo alla pratica dei sacramenti ma senza che essi diventino vita, o rigettare l'istituzione, i sacramenti in nome della sola vita pratica. Ma entrambe queste dimensioni assumono valore solo se indirizzate a Cristo. Al centro c'è Gesù; fede e opere devono essere lo strumento attraverso cui Lo testimoniamo al mondo. Se Lui non è presente e non è vivente, la nostra pratica sacramentale diventa morta, diventa contraddizione; ma anche il nostro agire, il nostro lavorare per i poveri, senza di lui, diventa pura filantropia che presto si svuota e ci svuota. Vi ricordate il primo giorno di Quaresima quando proprio le parole di Gesù ci mettevano in guardia dalla tentazione di fare preghiere, elemosina e digiuno in modo ipocrita, senza connessione con Dio, come modo umano di prevalere sugli altri? Solo Cristo può dare senso a tutto questo, solo Lui è il Figlio prediletto del Padre; Lui, uomo che accetta di servire e di morire, Lui, Dio che ci salva.

Pietro, Giacomo e Giovanni ci metteranno ancora del tempo prima di arrivare a capire bene le conseguenze di ciò che hanno sperimentato sul Tabor, comunque ci arriveranno. Ecco perché Gesù dice loro di non raccontare agli altri ciò che hanno visto. Anche noi abbiamo bisogno di tempo e di riflessione, di percorrere la strada di questi apostoli ed entrare in questa ottica che ha sullo sfondo la passione, morte e resurrezione di Gesù.

Chiediamoci:

·       Dove credo di incontrare Dio? nelle regole, nei miracoli, o nel servizio?

·       È presente in me, nella mia famiglia, nei miei amici?

·       Lo so riconoscere?

·       Lo so adorare e servire?

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