Siamo veramente Cristiani?
Siamo veramente Cristiani? (Lc
14,25-33)
La
settimana scorsa il Vangelo ci presentava Gesù che insegnava il vero
modo di essere cristiani e lo faceva mentre era seduto a tavola,
oggi, invece, lo vediamo in viaggio verso Gerusalemme. È il lungo
viaggio della vita. Qui si dice che c’è ancora una grande folla
attorno a Lui. La domanda che Gesù si sarà posto nella testa è:
“Dopo tutti i miei discorsi, questa gente ha capito cosa significa
seguirmi?” Anche oggi, nonostante che le nostre chiese siano
semivuote e che chi va in Chiesa è segnato a dito, dobbiamo
chiederci: ma tutti questi cristiani hanno capito cosa significa?
Molti hanno lasciato: sarà solo colpa dell’edonismo o del
laicismo? Forse si sono allontanati perché hanno capito cosa chiede
Gesù, lo hanno ritenuto troppo esigente e si sono spaventati, hanno
preferito il vecchio stile di vita, quello indicato dal mondo.
Chi
si può definire veramente un buon discepolo? Gesù oggi pone tre
condizioni:
-
Amore a Dio sopra ogni altra cosa;
-
Prendere sulle spalle la croce e seguire il suo esempio;
-
Fare bene i calcoli prima di avventurarsi nel cammino perché durante
esso lui ci spoglierà di tutti i nostri beni.
Gesù
dice: “Se uno viene a me”, non dice “dietro di me”, ma
“a me”, attratto dalla mia persona; molti, anche oggi sono
attratti dalla persona di Cristo. Molti si avvicinano a Lui, magari
solo per curiosità, o per chiedere un miracolo. Gesù accoglie
tutti, ma poi non si accontenta, vuole che tutte le persone capiscano
le sue esigenze. Attenzione! Quelle che Gesù ci dà non sono regole
o condizioni di un regime o di una associazione, sono necessità di
un innamorato che vuole condividere la sua vita con noi. Gesù è
chiaro, non imbroglia e non vuole darci cose effimere. Le parole che
pronuncia non sono richieste di sacrifici o rinunce ma l’unico modo
per ottenere la beatitudine, la pienezza della gioia.
Oggi
spesso gli innamorati fanno scelte affettive molto provvisorie: “Ti
voglio bene ma solo finché ne sono gratificato”. Perché
impegnarsi quando tutto è così aleatorio? Questo è l’opposto di
ciò che Gesù vuole. Lui dice:
1-
“Se uno non mi ama più di quanto ami suo padre … e persino la
propria vita, non è degno di me”. Il testo originale usa la
parola “odia” che però, come in tutto l’antico testamento vuol
dire amare di meno. Non si tratta di rifiutare i legami più sacri
come quelli della famiglia, ma sappiamo che quando il ragazzo si
innamora, lascia il padre e la madre. Non è che non li ama più ma
semplicemente li mette al loro posto perché ora al primo posto c’è
la sposa. Quando si sceglie di stare con Gesù, tutto il resto cambia
posto, tutte le scelte devono essere fatte secondo il suo pensiero.
Al tempo di Gesù i legami di famiglia erano molto più forti di
quelli di oggi quindi la frase di Gesù ci chiede se per Lui noi
siamo disposti a giocarci tutto. Forse il nostro modo di vivere la
religione è legato a tante tradizioni, celebrazioni e catechesi che
ora non valgono più, ma quando scopriamo la gioia del Vangelo
dobbiamo saper mettere tutto al posto giusto, rileggere tutto nella
nuova dimensione, perché ora Cristo è il punto di vista di tutte le
scelte del cristiano.
Questo
discorso non riguarda solo il nostro rapporto con le altre persone,
lui dice anche: “Chi non odia anche la propria vita”. Non
dobbiamo più pensare a noi stessi, non nel senso di trascurarci, ma
nel senso di non mettere come punto di riferimento delle scelte il
“mi piace”.
2-
La seconda esigenza è “porta la propria croce”. Cosa
significa prendere la croce: non significa sopportare con pazienza le
avversità: quello era già ovvio prima di Gesù. Prendere la croce
vuol dire essere disposti ad accettare le conseguenze della nostra
scelta di Cristo, per rimanere fedeli a Cristo e alla verità. Spesso
i cristiani sono chiamati a rinunciare ai successi che si ottengono
solo con compromessi; spesso sono chiamati a fare scelte eroiche,
pensiamo a gravidanze problematiche, alla scelta del perdono,
all’accettare il disprezzo della società, all’impegno sociale,
alle scelte etiche in favore della vita, all’accoglienza dei poveri
e rifugiati, alle norme riguardanti la famiglia e il matrimonio,
all’accettare di essere derisi. La croce non è sofferenza per la
sofferenza, ma accettare ciò che inevitabilmente accompagna chi
vuole essere fedele a Cristo.
3-
La terza esigenza è descritta con 2 parabole: la torre costruita e
non finita; il re che prima della guerra calcola il suo esercito. Il
significato di entrambe è la rinuncia a tutti gli averi.
La
fede in Gesù è un innamoramento, un giocarsi la vita con lui. Gesù,
però, ci invita a soppesare bene le nostre forze. Non possiamo
prendere le cose alla leggera come accade in tanti matrimoni spinti
solo dalla passione, e che alla prima difficoltà crollano.
La
torre richiama l’elevarsi verso il cielo, cioè il mettersi in
mostra, il farsi notare. Ai tempi di Gesù chi era ricco le costruiva
perché tutti notassero la sua ricchezza. Anche oggi le grandi
compagnie costruiscono grattacieli in centro alle città. Tutti noi
vogliamo lasciare un ricordo del nostro passaggio nel mondo. Gesù
ci propone il suo progetto di torre. È un investimento da fare che
richiede molti sacrifici, non è facile, ma se vogliamo una torre che
sia ben visibile, solida, dobbiamo sederci e pensarci bene. Se non
hai bisogno di riflettere su ciò che vuoi fare vuol dire che non hai
capito quanto costa la vera vita.
La
seconda parabola ripete la stessa cosa con parole diverse. Anche qui
c’è bisogno di sedersi a riflettere, perché nella vita non c’è
solo da costruire qualcosa ma anche da lottare; si tratta soprattutto
di una lotta interna contro tutti i nostri impulsi umani.
Questo
sembra un discorso molto rigido e chiuso che poco si adatta alla
mentalità nostra così fluida. Si potrebbe addirittura accusare Gesù
di essere un fondamentalista; non lo è. Lo si capisce se si guarda a
qual è il contenuto del messaggio cristiano, messaggio che molto
spesso sfugge anche a noi che ci definiamo esperti. Al centro del
messaggio di Gesù non ci sono i dieci comandamenti o le innumerevoli
leggi della Torah: esse rappresentavano il centro della vita degli
Ebrei al tempo di Gesù. Lui presenta un cambiamento radicale e lo
vediamo bene nei capitoli 5, 6, 7 di Matteo. Al centro del messaggio
di Gesù ci sono le Beatitudini seguite dal comandamento nuovo, il
comandamento dell’amore. Il fondamentalismo Cristiano non è quello
dell’obbedienza cieca alla legge scritta ma quello di un amore
senza confini, ecco perché costa ed è difficile.
Gesù
non vuole scoraggiarci ma vuole mettere in chiaro le esigenze del
Vangelo. Qual è il prezzo da pagare? “Rinuncia a tutti i tuoi
averi”. Tutto ciò che hai. Ci sono castelli di cartapesta,
comuni al giorno d’oggi, piccole torri che crollano in fretta,
fragili, inconsistenti. Se vuoi costruire qualcosa secondo gli
standard di Gesù devi giocarti tutto e quindi devi fare la guerra a
tutte le tensioni e pulsioni che ti attaccano ai beni del mondo. Gesù
vuole che le persone siano libere da tutto per potersi appropriare,
già in questo mondo, di ciò che le può rendere felici.
Il
problema è che molti rinunciano ad essere veramente felici, ne hanno
paura o non si ritengono capaci, e allora costruiscono torri senza
valore e consistenza. Troppo spesso noi siamo spinti da desideri,
bisogni, paure, frustrazioni e agiamo, anche senza accorgercene,
spinti da esse. Da lì nascono le discordie, le divisioni ecc. Il
cammino Cristiano non è facile; vivere il vero amore non è facile;
essere Cristiani non è un discorso da innamorati o infatuati ma da
veri amanti.
Non
si parla più di avere un cristianesimo di quantità ma di qualità,
gente disposta a prendere sulle spalle la croce dell’amore che ci
spinge a fare sacrifici, rinunce, ma che ci permette di essere fedeli
e rimanere quello che viene chiamato la “pietra d’inciampo”
cioè una provocazione un richiamo amorevole ma fedele ai valori in
cui crediamo. Quanto distanti siamo dalla visione di Chiesa fatta di
potere e autorità che avevamo qualche decennio fa. Questa è la
Chiesa di Papa Francesco perché questa è la Chiesa del Vangelo. A
noi decidere se vogliamo esserci o no.