Perché perdonare?
Cos’è
il perdono? Chi deve perdonare e chi deve essere perdonato? (Luca
15)
Il
vangelo di oggi ci presenta tre parabole legate tra di loro. Io
commenterò solo le prime due perché la terza è molto nota ed è
facile trovare tanti bei commenti altrove. Ritengo, però che non si
possa capire bene la parabola del Padre buono e del figlio che torna
a casa, se non si sono capiti
questi
altri
due piccoli racconti che ci presentano quale è l’atteggiamento di
Dio.
Gesù
continua il suo cammino verso Gerusalemme che non è solo il cammino
che lo condurrà alla settimana santa e alla croce, ma è anche il
cammino di
crescita di
tutti noi alla
scoperta di Dio e del suo amore
che ci sarà rivelato in pienezza proprio sul Calvario.
La
settimana scorsa Gesù aveva chiarito bene quali sono le esigenze per
colui che vuole seguirlo: Mettere Dio al di sopra di tutto, accettare
le conseguenze del nostro essere fedeli a Lui e infine calcolare bene
se siamo disposti a seguirlo perché Lui ci chiede di lasciare tutto.
Dopo
tali richieste uno si aspetterebbe che più nessuno voglia andare da
Lui, invece si vede che ci sono molte persone che ancora vanno a
sentirlo; chi
sono? Tanti
pubblicani e peccatori. Sono persone che hanno avuto tutto dalla
vita, ma
finora hanno vissuto nel modo opposto a quello richiesto da Gesù.
Essi hanno avuto
come scopo della vita,
l’accumulare senza scrupoli i beni materiali, ricercare successo,
agio, eccetera, credendo di trovare lì la libertà e la felicità,
ma si rendono conto che, nonostante tutto quello che hanno
accumulato, non sono felici, non si sentono soddisfatti e neppure
liberi. Allora vanno da Gesù per cercare una risposta alla loro
inquietudine, vogliono vedere se lui può dare una risposta a
quell’inquietudine che hanno dentro, al vuoto esistenziale e al
dolore che sentono perché hanno investito tutta la loro vita per
costruirsi dei castelli che si sono trasformati in carceri.
A
distanza ci sono i soliti Farisei. Loro cosa fanno? borbottano,
criticano. Come bisognerebbe comportarsi con i peccatori? La legge
ebraica era chiara al riguardo: sfuggire da loro, cacciarli come i
peggiori nemici e pregare che Dio li annienti. Tra i salmi e altri
passi dell’Antico
Testamento
troviamo molte frasi
che vanno in questa direzione. Di sicuro anche Gesù, nella sua
fanciullezza, aveva sentito tutti questi insegnamenti.
La
critica
principale
che i Farisei muovono a Gesù è
che
invece
di tenersi separato dai peccatori Egli
ha una pulsione incontenibile che lo porta sempre a stare con questa
gente, e
addirittura
mangia sempre con loro.
I
Farisei non erano persone cattive, ma l’immagine
di Dio che hanno è quella del Dio “giustiziere”, come anche
molti cristiani ancora
oggi hanno.
Ma il Dio di Gesù non è questo. Il Dio di Gesù è un Dio che ama,
che si accosta all’uomo, non punisce. Lui vuole solo la gioia dei
suoi figli e ogni scelta che fa è solo per dare loro questa gioia.
Noi cristiani, allora dovremmo imparare da Gesù, sintonizzare il
nostro modo di ragionare sul suo. Siamo sicuri di essere sintonizzati
sul pensiero di Dio? Tanti insegnamenti che abbiamo ricevuto in
passato ci
portavano più sulla linea dei Farisei
che su quella della misericordia divina.
È
interessante notare che le
tre parabole di oggi non sono rivolte
ai peccatori per dire loro cosa devono fare per essere perdonati, ma
ai giusti per far cambiare loro l’immagine di Dio; ma questo è
molto difficile. Vi ricordate la storia del profeta Giona? È stato
più facile convertire l’intera città di Ninive, piena
di ogni genere di
peccatori, che far cambiare a Giona la sua idea sul castigo e la
misericordia. Gesù sa che molti ragionamenti non servono, la verità
non può essere forzata
in loro ma deve uscire dal loro cuore, allora usa lo strumento della
parabola.
Gesù
inizia con una domanda che introduce non ragionamenti ma una
storiella facile da intuire e da cui viene spontanea a loro la
risposta: “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una …”
Facciamo
attenzione al linguaggio di Gesù. “Se ha perso una pecora”, è
lui che l’ha persa, non c’è nessun rimprovero per la pecora che
si è persa. Le pecore per loro natura possono perdersi e il pastore
ama queste pecore così come sono, con la loro propensione a
perdersi. Dio ci ha fatti “perdibili” e ci ama così. Avrebbe
potuto farci perfetti in modo da non sbagliare mai? Non saremmo noi.
Cosa
fa il pastore con questa pecora smarrita? Non la rimprovera, ma
lascia le 99 nel deserto e va in cerca di lei. Non è una scelta
molto sensata perché lasciando le pecore da sole nel deserto esse
sono in pericolo per i ladroni, gli sciacalli, eccetera. Egli è
così follemente innamorato della sua pecora che mette
a repentaglio tutto il gregge pur
di salvarla.
Questo fatto
vuole
indicarci quanto Dio ci ama. Il peccato non offende Dio ma distrugge
l’umano in noi e questo fa soffrire Dio, per cui è disposto a
tutto
per riscattarci. Dio non condanna chi sbaglia, ma condanna
la strada sbagliata. Dio non si preoccupa di essere stato ferito, di
essere stato tradito, Lui si preoccupa solo per il suo figlio che
soffre.
“Cerca
la pecora finché la trova”. Dio non si rassegna a perdere nessuno
dei suoi figli.
E
quando la trova? Inizia la festa. Essa diventa una privilegiata
perché le altre devono camminare, lei è portata in spalle. E poi si
sottolinea l’esplosione della gioia.
Veniamo
alla seconda parabola. Il protagonista della prima era un uomo, ora
qui c’è una donna, il cuore materno di Dio. (Dio è padre o madre?
Entrambe). Dio, come ogni madre, non ama il suo figlio perché è
bravo, ma perché è suo figlio, ogni figlio.
Anche
questa parabola inizia con una domanda perché vuole che la risposta
esca dal loro cuore.
Questa
volta siamo in casa. Non pensate ai bei pavimenti lisci di oggi ma a
un pavimento fatto
di pietre non levigate e spesso sconnesse,
per cui è
molto facile che le piccole monete scivolino di mano e cadano in
qualche angolo difficile da
vedere, specialmente se la donna è un po’ anziana. Noi possiamo
sfuggire dalla mano di Dio perché il nostro amore è libero.
Cosa
fa questa donna? Accende la lampada. La lampada nella bibbia indica
la Parola di Dio. Quando vediamo uno che sbaglia, la prima cosa da
fare è accendere nel nostro cuore la lampada della Parola di Dio,
altrimenti
vediamo il peccatore come lo
vedevano i Farisei, cioè in modo umano. Chi
invece si lascia illuminare dalla Parola di Dio vede cosa sta
provando il cuore materno di Dio e capisce cosa deve fare per aiutare
questo fratello che si è perduto. Gli argomenti umani ci fanno
odiare i peccatori, la parola di Dio ci fa odiare il peccato non il
peccatore.
“Poi
spazza tutta la casa”. Il
peccatore
non è immondizia ma è finito nell’immondizia e allora la donna
pulisce tutto e
cerca fino a che non
la
trova e poi chiama tutte le vicine a festeggiare, cosa
sproporzionata, ma che indica l’amore di Dio per noi e la gioia che
prova quando ci trova.
Notate
che in nessuna delle due parabole si parla del perdono di Dio per il
peccatore, ma sempre
della
gioia di Dio per il ritorno del peccatore. La nostra immagine di
perdono è spesso sbagliata, come qualcosa di triste che ci fa
soffrire e ci chiede di purificarci. Qui si parla di gioia.
A
noi il duplice impegno, da una parte di lasciarci amare e perdonare e
mai dubitare di questo amore, e dall’altra di sentire la sua stessa
ansia che tutti siano salvi e possano sperimentare l’amore di Dio,
magari attraverso il nostro perdono e la nostra premura.