Chi si salva?


Chi si salva?  Lc. 13,22-30

Sono tanti o pochi quelli che si salvano? Bella domanda che nasconde un’ansia interiore: io posso farcela a salvarmi? Era una domanda molto cara ai Giudei del tempo di Gesù e c’erano due correnti di pensiero diverse al riguardo. I primi, legati alle caste sacerdotali, dicevano: basta essere discendenti di Abramo e si sarà salvati; altri invece, più praticanti e religiosi dicevano che la salvezza era riservata solo a coloro che si sforzavano di mettere in pratica la Torah, cioè la legge sacra. Ciò che tutti avevano in comune era che la salvezza era un affare riservato ai membri della loro gente, cioè agli Ebrei. Inoltre un errore grosso era che vedevano la salvezza come qualcosa di futuro che avviene solo dopo la nostra morte sia che fosse un premio per la vita vissuta bene o una cosa automatica data dal semplice fatto di essere Ebrei.
Questo modo di pensare è ancora comune a molti Cristiani: dopo la morte andrò in Paradiso o all’inferno? E le risposte che molti si danno sono le stesse: io sono Cristiano e mi salvo, i membri di altre religioni no! Oppure alcuni pensano: noi andiamo a Messa, altri non ci vanno e questo farà la differenza.
Gesù, come suo solito, ribalta i preconcetti dei suoi uditori e li aiuta a riflettere da un punto di vista diverso. Prima di tutto il discorso “salvezza” non è un discorso di cose future, lui ci vuole salvare oggi. Il modo di salvarci è accettare il suo stile di vita, le beatitudini perché esse garantiscono la vita vera, quella dei veri “figli di Dio”; la vita che ci propone il mondo di oggi ci disumanizza.
Allora usa 3 immagini.
1- Combattere, sforzarsi. Questo è un termine sportivo caro anche a San Paolo. Ma la lotta che si deve fare non è contro un qualcosa o qualcuno esterno, ma una lotta interiore, contro le proprie passioni e tendenze che ci fanno perdere la nostra natura. Le beatitudini sono proprio il modo per vincere le tentazioni che la nostra carne ci propongono. Non è facile rinunciare alla comodità della ricchezza, e imparare a vivere il comandamento del servizio, dell’umiltà, dell’accoglienza.
2- La porta è stretta; per entrare bisogna restringersi, farsi piccoli. Un paio di capitoli prima aveva detto che per entrare nel Regno di Dio bisogna diventare come i bambini.
3- Molti verranno e busseranno. Molti pretenderanno di entrare solo perché sono Ebrei (Cristiani), magari anche parenti, o amici, affermeranno di averlo ascoltato e di essersi seduti a tavola assieme a lui: molti di questi saranno rigettati “perché, dice Gesù, non vi conosco”; infine verranno molti stranieri dal nord, sud, est, ovest ed entreranno: la salvezza, quindi, non viene né automaticamente né a buon mercato.
C’è una frase che fa paura: “Signore abbiamo mangiato alla tua mensa e hai insegnato nelle nostre piazze”. Il riferimento sia all’Eucarestia che alla catechesi è chiaro. Siamo nel cuore della vita cristiana, per coloro che oggi diremmo “praticanti” perché vanno a messa la domenica e seguono qualche catechesi. Gesù dice: “Via, operatori di iniquità, non vi conosco”.
Gesù parlava ai bravi Ebrei osservanti, Luca lo scrive nel suo vangelo per le comunità cristiane nelle quali si era già introdotto un po’ di lassismo. Molti si erano convertiti, si ritenevano bravi cristiani perché partecipavano alle celebrazioni della “cena del Signore”, partecipavano alle catechesi, ma la loro vita non era cambiata, continuavano a vivere come quando erano pagani, pensando ai loro affari privati, pensando ad arricchirsi, pensando all’influenza che potevano avere sulla società attraverso le loro ricchezze o la loro posizione sociale.
E noi oggi? A chi sta parlando Gesù con queste parole così dure?
Secondo il nostro giudizio chi si salverà? Spesso chiediamo ai preti: quanti sono oggi i praticanti? Il pericolo è limitare il nostro giudizio su chi è bravo o no solo dal fatto che vanno a Messa o no. Il nostro essere discepoli di Cristo esige molto di più che la semplice pratica religiosa che richiede poche ore la settimana. Cosa è che ci fa veramente cristiani? Quali sono i criteri di giudizio?
Prima di tutto a Dio interessa la qualità non la quantità. La porta stretta indica che è necessario uno sforzo per entrare quindi una scelta precisa determinata che la persona deve fare anche a costo di sacrifici, sforzi che ci rendano più piccoli, non più grandi. Non si tratta di guadagnarsi la salvezza (il banchetto) che è offerta gratuitamente da Dio a tutti, ma di porre quelle condizioni necessarie per poterla accettare a cuore libero.
Non ci sono favoritismi di razza, lingua, posizione sociale e neanche di religione. Ancora oggi esistono delle persone che vanno a messa regolarmente ma senza conoscere Gesù. Cosa? È possibile? Certo che lo è. Il conoscere indica una relazione di amicizia, di condivisione di vita. Chi va a Messa solo per soddisfare un precetto, la tradizione o uno scrupolo di coscienza ma non vi pone amore, non ascolta la parola con l’intenzione di coglierne il messaggio e di applicarlo alla sua vita, chi si accosta alla comunione senza rendersi conto di Chi sta entrando nel suo cuore e non si preoccupa di come dovrebbe comportarsi di conseguenza, allora può veramente dire di conoscere Dio?
Le persone che il Vangelo definisce come “provenienti da altri luoghi” indicano l’ingresso nella Chiesa di molte nazioni che storicamente non avevano niente a che fare con la religione Ebraica come Greci, Siriani, Romani eccetera. Costoro hanno mostrato subito interesse ed entusiasmo nel loro modo di vivere la nuova religione. Anche oggi, sparsi nel mondo, ci sono genti che vivono il loro impegno cristiano in modi molto diversi e ciò ha cambiato il modo di vedere la religione cristiana. Il nucleo però è rimasto intatto: la religione ci deve mettere in rapporto con il Dio che ci ama e ci vuole salvare per poter vivere uniti a Lui per tutta l’eternità.
Allora il criterio di accesso al cielo è l’accogliere Cristo come nostro modello di vita, imitarne la vita, seguirne la parola, fare di lui il perno per le nostre decisioni. Per questo ci chiamiamo Cristiani, perché siamo seguaci di Cristo.

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