Don Orione uno di noi, nostro modello
Don Orione un uomo come noi, un modello per tutti noi.
Siamo qui a celebrare un santo, il nostro santo, Don Orione.
C è una cosa che mi lascia sempre un po perplesso in questo tipo di celebrazioni: noi siamo abituati a vedere queste persone per le grandi cose che hanno fatto, per il loro stile di vita eccezionale, appunto santo.
Questo da una parte ci fa sentire bene perché di quello che loro hanno fatto tutti noi beneficiamo, inoltre se lui è santo di sicuro è in cielo e allora può intercedere per tutti noi e proteggerci. Ci si sente sempre bene quando si è in compagnia di persone grandi o forti o importanti. Però, dall'altra parte, questo potrebbe suscitare in noi un senso di passività: lui era un santo, ma io no. Lui ha fatto tutto questo perché è stato un grande uomo ma io sono un piccolo, povero uomo. Lui era una persona con tante forze, io sono anziano, ammalato, incapace, non ho fatto tanti studi, ecc. Ci viene quasi l'idea che la santità sia una cosa riservata a poche persone prescelte da Dio. Non è così.
Papa Francesco ha scritto di recente un'esortazione apostolica chiamata Gaudete ed exsultate proprio per dirci che la strada alla santità è la strada di tutti i cristiani e anzi di tutti gli uomini. Voi mi direte: «Ma noi non riusciremo mai a fare quello che ha fatto lui !» Esatto, il che vuol dire che la santità non si ottiene facendo quello che hanno fatto i santi ma nel fare come hanno fatto i santi. Allora oggi non vogliamo parlare di quello che ha fatto Don Orione ma di come si è fatto santo.
Avete mai pensato che Luigi Orione era uno come noi, uno di noi ? Ha avuto una famiglia normale, con un padre selciatore, una madre casalinga, due fratelli, una fanciullezza passata tra la scuola, il lavoro per aiutare il padre, la chiesa. Ha lavorato molto e ha corso su e giù per l'Italia ma da ragazzo voleva farsi frate ed è entrato dai Francescani ma lo hanno rimandato a casa perché aveva la salute troppo fragile e rischiava di morire. È entrato dai Salesiani e voleva diventare come Don Bosco ma neanche lì va bene. Entra nel seminario di Tortona e scopre che i seminaristi sono molto meno santi di quello che lui vorrebbe, non rispettano i valori che sua madre gli aveva insegnato come ad esempio il pregare con devozione, il non sprecare il cibo. Ad un certo punto non ha più i soldi e dovrebbe lasciare il seminario, ma i superiori, sapendo che bravo ragazzo è, gli offrono in alternativa di lavorare come custode del seminario così prende due soldini e al mattino può avere 4 ore per partecipare alle lezioni di Teologia. Da un punto di vista umano queste sembrerebbero tutte sconfitte ma per lui si trasformano in grazia perché è proprio lì che inizia la Congregazione. Nella povertà o nella sconfitta impara a vedere, capire e sentir compassione per gli altri poveri e sconfitti. Incontrando un ragazzino, cacciato via dal catechismo perché era un discolo, dà inizio alla Congregazione. Accoglie i ragazzi che non possono studiare perché sono poveri e per loro apre il primo collegio, perché anche lui ha dovuto smettere di studiare per lavorare con il papà.
Allora la prima lezione è questa: di fronte alle nostre debolezze, o ci buttiamo giù, diventiamo pessimisti, brontoloni, pigri, o le trasformiamo in cose che ci rafforzano e ci rendono migliori, più capaci di capire e aiutare gli altri.
Noi onoriamo Don Orione e riconosciamo che fu una grande persona, e anche ai suoi tempi molte persone lo consideravano grande e accorrevano a lui o per chiedergli aiuto o anche per aiutarlo. Ma come succede spesso, le persone importanti provocano delle gelosie e delle avversioni. Proprio quelli che dovrebbero appoggiarlo perché sono suoi colleghi, cioè i sacerdoti della sua diocesi, e alcune volte anche il suo vescovo, non lo comprendono, lo ritengono un maniaco, un esaltato, un pasticcione e spesso si oppongono alla sua opera.
Ci sono due momenti molto difficili nella sua vita: 1908 muore prima il suo collaboratore migliore, don Gaspare Goggi, di cui è in corso il processo di canonizzazione; dopo pochi mesi muore sua madre; intanto il suo vescovo mostra segni di sfiducia verso di lui. Contemporaneamente cè un grande terremoto a Reggio Calabria e Messina. Lui che fa? Invece di stare lì a leccarsi le ferite si lancia nella carità e va personalmente a lavorare tra i terremotati. Si fermerà lì quattro anni. Il secondo momento è nel 1932. Ci sono delle accuse molto pesanti su di lui, si aspetta che il vescovo lo difenda, ma questi fa finta di niente, lascia che le calunnie si diffondano. Lui capisce che c'è il rischio che venga compromessa tutta la Congregazione, allora parte per l'America Latina dove c'erano già dei suoi religiosi a lavorare, va a trovarli e incoraggiarli. Si fermerà tre anni. Ebbene questi due momenti così critici per la Congregazione e queste due partenze che a prima vista sembrerebbero un voler fuggire, si trasformano nei due momenti di maggiore crescita della Congregazione: nel 1908 si espande all'Italia meridionale, e nel viaggio del 1934 ci saranno molte aperture di nuove comunità in Argentina, Cile, Uruguay e Brasile.
Ecco il secondo insegnamento per noi: quando ci si trova di fronte a sconfitte o a avversioni che non sono colpa nostra, la risposta giusta è lanciarsi nella carità, amare di più, perché l'amore rende Dio presente e se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? (Rm 8).
Papa Francesco, nella sua ultima esortazione apostolica sulla santità, di cui abbiamo già parlato, indica come via di santità a tutti i cristiani le beatitudini e la parabola del giudizio finale. Le beatitudini sono lo stile di vita di Cristo, il suo modo di pensare, le sue priorità, la parabola del giudizio finale rappresenta il nostro modo di imitarlo, nelle piccole cose, nella quotidianità. Come ha vissuto Don Orione questi due brani del vangelo?
Le beatitudini le conoscete: beati i poveri in spirito, gli umili, i miti, coloro che ricercano solo quello che è giusto e non il profitto personale, coloro che lavorano per la pace che è basata sulla promozione di tutti, specialmente gli ultimi, e beato anche chi accetta di pagare di persona per queste scelte coraggiose. Ecco Don Orione, una persona umile, gioiosa, capace di ascoltare e confortare tutti, che ha lasciato da parte ogni possibilità di carriera personale ma che si è dedicato a quello che la Provvidenza di Dio giorno per giorno gli presentava. In lui le beatitudini sono diventate una realtà viva, non solo per come ha vissuto ma anche perché in lui si può vedere che veramente avendo agito così si è trovato fortunato, contento, vincitore, anche nei momenti più difficili della sua vita.
E la parabola del giudizio? Anche in quella ritroviamo lui. Nonostante che lui abbia costruito opere grandi, lui ha sempre voluto che l'opera non cancellasse mai il rapporto personale con ogni singolo ospite. La persona sta al centro del modo di lavorare di Don Orione e le necessità della persona si vedono spesso nelle piccole cose, non tanto nelle grandi infermità. Se dobbiamo definire Don Orione nella sua verità più profonda, non lo dobbiamo chiamare un fondatore, ma uno strumento nelle mani di Dio perché tanti piccoli fratelli potessero, e ancora possano, sperimentare la sua provvidenza, il suo amore.
Questo è il terzo insegnamento per noi. Don Orione oggi siamo noi, non perché dobbiamo iniziare una nuova Congregazione o aprire case nuove o opere nuove, ma perché come lui dobbiamo essere strumenti nelle mani della provvidenza perché anche oggi molti hanno bisogno di conoscere questo amore, anzi oggi molto più che non ai tempi di Don Orione, perché la società oggi è così caotica, complessa, laica, che è sempre più difficile capire dove sta la realtà, e oggi, più che mai ci sono tantissime persone che si sentono sole, abbandonate, sfiduciate, depresse, impotenti. Tutti questi non sanno dove cercare aiuto. Il Signore sta chiedendo proprio a noi di aiutare queste persone, ognuno di noi può e deve aiutare qualcuno, magari pochi, magari solo uno, magari in piccole cose, magari solo con un sorriso o un ascolto, magari con una parola di incoraggiamento, magari con un piccolo aiuto materiale che sembra una nullità ma che nelle mani di Dio può fare miracoli di bene. Questo vuol dire essere Don Orione oggi, questo vuol dire farci santi come papa Francesco ci sta chiedendo di essere, questo è ciò che Dio vuole da noi.
C è una cosa che mi lascia sempre un po perplesso in questo tipo di celebrazioni: noi siamo abituati a vedere queste persone per le grandi cose che hanno fatto, per il loro stile di vita eccezionale, appunto santo.
Questo da una parte ci fa sentire bene perché di quello che loro hanno fatto tutti noi beneficiamo, inoltre se lui è santo di sicuro è in cielo e allora può intercedere per tutti noi e proteggerci. Ci si sente sempre bene quando si è in compagnia di persone grandi o forti o importanti. Però, dall'altra parte, questo potrebbe suscitare in noi un senso di passività: lui era un santo, ma io no. Lui ha fatto tutto questo perché è stato un grande uomo ma io sono un piccolo, povero uomo. Lui era una persona con tante forze, io sono anziano, ammalato, incapace, non ho fatto tanti studi, ecc. Ci viene quasi l'idea che la santità sia una cosa riservata a poche persone prescelte da Dio. Non è così.
Papa Francesco ha scritto di recente un'esortazione apostolica chiamata Gaudete ed exsultate proprio per dirci che la strada alla santità è la strada di tutti i cristiani e anzi di tutti gli uomini. Voi mi direte: «Ma noi non riusciremo mai a fare quello che ha fatto lui !» Esatto, il che vuol dire che la santità non si ottiene facendo quello che hanno fatto i santi ma nel fare come hanno fatto i santi. Allora oggi non vogliamo parlare di quello che ha fatto Don Orione ma di come si è fatto santo.
Avete mai pensato che Luigi Orione era uno come noi, uno di noi ? Ha avuto una famiglia normale, con un padre selciatore, una madre casalinga, due fratelli, una fanciullezza passata tra la scuola, il lavoro per aiutare il padre, la chiesa. Ha lavorato molto e ha corso su e giù per l'Italia ma da ragazzo voleva farsi frate ed è entrato dai Francescani ma lo hanno rimandato a casa perché aveva la salute troppo fragile e rischiava di morire. È entrato dai Salesiani e voleva diventare come Don Bosco ma neanche lì va bene. Entra nel seminario di Tortona e scopre che i seminaristi sono molto meno santi di quello che lui vorrebbe, non rispettano i valori che sua madre gli aveva insegnato come ad esempio il pregare con devozione, il non sprecare il cibo. Ad un certo punto non ha più i soldi e dovrebbe lasciare il seminario, ma i superiori, sapendo che bravo ragazzo è, gli offrono in alternativa di lavorare come custode del seminario così prende due soldini e al mattino può avere 4 ore per partecipare alle lezioni di Teologia. Da un punto di vista umano queste sembrerebbero tutte sconfitte ma per lui si trasformano in grazia perché è proprio lì che inizia la Congregazione. Nella povertà o nella sconfitta impara a vedere, capire e sentir compassione per gli altri poveri e sconfitti. Incontrando un ragazzino, cacciato via dal catechismo perché era un discolo, dà inizio alla Congregazione. Accoglie i ragazzi che non possono studiare perché sono poveri e per loro apre il primo collegio, perché anche lui ha dovuto smettere di studiare per lavorare con il papà.
Allora la prima lezione è questa: di fronte alle nostre debolezze, o ci buttiamo giù, diventiamo pessimisti, brontoloni, pigri, o le trasformiamo in cose che ci rafforzano e ci rendono migliori, più capaci di capire e aiutare gli altri.
Noi onoriamo Don Orione e riconosciamo che fu una grande persona, e anche ai suoi tempi molte persone lo consideravano grande e accorrevano a lui o per chiedergli aiuto o anche per aiutarlo. Ma come succede spesso, le persone importanti provocano delle gelosie e delle avversioni. Proprio quelli che dovrebbero appoggiarlo perché sono suoi colleghi, cioè i sacerdoti della sua diocesi, e alcune volte anche il suo vescovo, non lo comprendono, lo ritengono un maniaco, un esaltato, un pasticcione e spesso si oppongono alla sua opera.
Ci sono due momenti molto difficili nella sua vita: 1908 muore prima il suo collaboratore migliore, don Gaspare Goggi, di cui è in corso il processo di canonizzazione; dopo pochi mesi muore sua madre; intanto il suo vescovo mostra segni di sfiducia verso di lui. Contemporaneamente cè un grande terremoto a Reggio Calabria e Messina. Lui che fa? Invece di stare lì a leccarsi le ferite si lancia nella carità e va personalmente a lavorare tra i terremotati. Si fermerà lì quattro anni. Il secondo momento è nel 1932. Ci sono delle accuse molto pesanti su di lui, si aspetta che il vescovo lo difenda, ma questi fa finta di niente, lascia che le calunnie si diffondano. Lui capisce che c'è il rischio che venga compromessa tutta la Congregazione, allora parte per l'America Latina dove c'erano già dei suoi religiosi a lavorare, va a trovarli e incoraggiarli. Si fermerà tre anni. Ebbene questi due momenti così critici per la Congregazione e queste due partenze che a prima vista sembrerebbero un voler fuggire, si trasformano nei due momenti di maggiore crescita della Congregazione: nel 1908 si espande all'Italia meridionale, e nel viaggio del 1934 ci saranno molte aperture di nuove comunità in Argentina, Cile, Uruguay e Brasile.
Ecco il secondo insegnamento per noi: quando ci si trova di fronte a sconfitte o a avversioni che non sono colpa nostra, la risposta giusta è lanciarsi nella carità, amare di più, perché l'amore rende Dio presente e se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? (Rm 8).
Papa Francesco, nella sua ultima esortazione apostolica sulla santità, di cui abbiamo già parlato, indica come via di santità a tutti i cristiani le beatitudini e la parabola del giudizio finale. Le beatitudini sono lo stile di vita di Cristo, il suo modo di pensare, le sue priorità, la parabola del giudizio finale rappresenta il nostro modo di imitarlo, nelle piccole cose, nella quotidianità. Come ha vissuto Don Orione questi due brani del vangelo?
Le beatitudini le conoscete: beati i poveri in spirito, gli umili, i miti, coloro che ricercano solo quello che è giusto e non il profitto personale, coloro che lavorano per la pace che è basata sulla promozione di tutti, specialmente gli ultimi, e beato anche chi accetta di pagare di persona per queste scelte coraggiose. Ecco Don Orione, una persona umile, gioiosa, capace di ascoltare e confortare tutti, che ha lasciato da parte ogni possibilità di carriera personale ma che si è dedicato a quello che la Provvidenza di Dio giorno per giorno gli presentava. In lui le beatitudini sono diventate una realtà viva, non solo per come ha vissuto ma anche perché in lui si può vedere che veramente avendo agito così si è trovato fortunato, contento, vincitore, anche nei momenti più difficili della sua vita.
E la parabola del giudizio? Anche in quella ritroviamo lui. Nonostante che lui abbia costruito opere grandi, lui ha sempre voluto che l'opera non cancellasse mai il rapporto personale con ogni singolo ospite. La persona sta al centro del modo di lavorare di Don Orione e le necessità della persona si vedono spesso nelle piccole cose, non tanto nelle grandi infermità. Se dobbiamo definire Don Orione nella sua verità più profonda, non lo dobbiamo chiamare un fondatore, ma uno strumento nelle mani di Dio perché tanti piccoli fratelli potessero, e ancora possano, sperimentare la sua provvidenza, il suo amore.
Questo è il terzo insegnamento per noi. Don Orione oggi siamo noi, non perché dobbiamo iniziare una nuova Congregazione o aprire case nuove o opere nuove, ma perché come lui dobbiamo essere strumenti nelle mani della provvidenza perché anche oggi molti hanno bisogno di conoscere questo amore, anzi oggi molto più che non ai tempi di Don Orione, perché la società oggi è così caotica, complessa, laica, che è sempre più difficile capire dove sta la realtà, e oggi, più che mai ci sono tantissime persone che si sentono sole, abbandonate, sfiduciate, depresse, impotenti. Tutti questi non sanno dove cercare aiuto. Il Signore sta chiedendo proprio a noi di aiutare queste persone, ognuno di noi può e deve aiutare qualcuno, magari pochi, magari solo uno, magari in piccole cose, magari solo con un sorriso o un ascolto, magari con una parola di incoraggiamento, magari con un piccolo aiuto materiale che sembra una nullità ma che nelle mani di Dio può fare miracoli di bene. Questo vuol dire essere Don Orione oggi, questo vuol dire farci santi come papa Francesco ci sta chiedendo di essere, questo è ciò che Dio vuole da noi.