Camminiamo con Maria in visita a Elisabetta
La Visita
di Maria a Elisabetta
Una cosa che colpisce nella vita di Maria è
che in una società come quella di Israele di duemila anni fa in cui le donne
erano relegate a stare in casa, occuparsi solo delle faccende domestiche,
limitarsi ad andare al pozzo a prendere l’acqua e poche piccole faccende
domestiche, Maria risulta invece essere sempre in movimento. Dato che i vangeli
non sono stati scritti da autori moderni poco esperti di quella mentalità, ma
da persone che vivevano in quel tempo e in quella società, questo ci fa capire
che esistevano delle eccezioni alle regole, ma sappiamo anche che chi faceva
eccezione si esponeva a critiche molto dure da parte degli ortodossi della
religione.
In questo continuo movimento di Maria c’è un
messaggio per tutti noi: la carità non sa stare ferma. Mi vengono in mente le
parole di Don Orione riguardo a sua madre che lui descrive come donna sempre in
movimento dal mattino presto sino a sera tardi, “come fuso che si muove nel
telaio, donna che sapeva fare da madre e all’occorrenza anche da padre”. Penso
che anche tante delle nostre mamme possono entrare in questa categoria.
Il Vangelo di oggi ci presenta solo uno di
questi momenti, forse il più eccezionale perché qui Maria è ancora una giovane
ragazza, non sposata ma promessa sposa, e si mette in cammino per attraversare
il paese senza il marito e senza il padre.
Analizzando più direttamente il brano della
visitazione si nota subito la sottolineatura: “raggiunse in fretta”.
Chiaramente non c’è da pensare che Maria si sia messa a correre, il “in fretta”
si riferisce al fatto che non si è fermata esitando davanti a difficoltà quali:
“è troppo distante; sono sola; avranno qualcun altro che può aiutare; la
cultura dice che …; chissà cosa penserà la gente di me; ecc.”. Se uno non
agisce spinto dalla carità, di fronte al bisogno di un altro troverà mille
ragioni per non muoversi, e solo poche per agire. Le prime sono tutte rivolte a
se stessi, al proprio comodo, interesse eccetera, le seconde verso l’altro, il
suo bisogno. Per spiegare meglio questo concetto direi quando si tratta di
mettersi in cammino c’è chi chiede: Dove si va? Cosa c’è da fare? Altri, invece
chiedono: Perché? Per Chi?
Quando ci chiediamo “dove?” ci viene spontaneo
pensare: quel luogo mi piacerà o no? Il viaggio è lungo o corto? Se chiedo
“cosa?” mi viene da dire: “è un lavoro che mi piace? Ne sono capace?” In
entrambe i casi al centro della decisione ci sono io con i miei interessi. Quando
invece chiedo “perché?” mi trovo di fronte al bisogno dell’altro, alla volontà
di Dio; e quando mi chiedo “per Chi?” deve cercare il mandante, cioè Dio, e il
destinatario, il povero con i suoi bisogni.
Guardando alle prime domande tutto e tutti
avrebbero detto a Maria: “Stattene a casa tua che ad Elisabetta penserà qualcun
altro”; ma Maria ha guardato solo alle seconde domande e si è messa in viaggio
“in fretta”.
Quando Maria giunge alla casa di Zaccaria
Giovanni il Battista ed Elisabetta riconoscono la presenza di Gesù, cosa che
nessun altro finora aveva notato. Maria è ancora ai primi mesi di gravidanza
per cui esteriormente non si notava nulla, quindi loro lo hanno compreso grazie
all’azione dello Spirito Santo. Il compito dello Spirito Santo, che ci è stato
promesso da Gesù prima di andarsene e che ciascuno di noi ha ricevuto
abbondantemente, è proprio questo: farci riconoscere la presenza di Cristo
nelle persone. Quando andiamo in contro ad un povero, è Gesù che ci visita, e
ci visita con uno scopo ben preciso: amarci e beneficarci. La domanda da porci
è questa: noi lasciamo agire lo Spirito Santo? Cerchiamo di ascoltarne la voce?
Elisabetta esclamò: “Beata colei che ha
creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. Uno dei tanti nomi che diamo
a Maria è quello di “nuova Eva”, cioè colei che ripristina ciò che la prima Eva
ha danneggiato. La prima Eva aveva creduto alla parola del serpente e ne
conosciamo le conseguenze, Maria ha creduto alla parola dell’angelo e ne
conosciamo le conseguenze. E noi, a che parola crediamo? Al mattino meditiamo
il vangelo (almeno spero), poi durante la giornata leggiamo giornali, libri,
ascoltiamo la radio, la televisione, sentiamo tante persone che ci parlano, con
tanti messaggi diversi, spesso contraddittori. In quali crediamo, o meglio,
quali seguiamo? Senza contare poi che ci sono le voci interiori, quelle dei
nostri desideri, delle nostre paure, dei nostri sospetti: è lo Spirito Santo
che ci parla o il demonio?
Maria rimane stupita dalle parole di
Elisabetta perché si rende conto di quanto queste parole siano pericolose. Esse,
senza dubbio, rappresentano la verità, ma sono anche una tentazione di mettersi
al centro, di credersi grandi, importanti, di attirare su di sé l’attenzione. Allora
Maria chiarisce subito le cose con il canto del Magnificat. Lei “rende grande”
il Signore perché lei è piccola. Tutti siamo grandi se il Signore ci fa grandi
perché lui ha potere sulle cose e noi dobbiamo guardarci bene dal rubargli
quella gloria che tocca solo a Lui. Non rifletteremo mai a sufficienza sulla
virtù dell’umiltà. È nostro dovere, comunque, chiederci quanto, nel profondo
del nostro cuore, amiamo essere lodati, essere riconosciuti per quello che
facciamo, desideriamo che la gente si accorga di noi, faccia commenti positivi
al nostro lavoro. Questi sentimenti, naturali, sottili, ci distolgono da Dio,
ci tolgono la gioia della libertà interiore, l’entusiasmo della donazione. Umiltà
non è negare la verità dei fatti, ma il riconoscere l’origine, la causa, la
motivazione di tali fatti. Tutto viene da Dio ed è per Dio, e solo partendo da
qui che troviamo la libertà di agire e di relazionarci agli altri.
Usando le parole di Papa Francesco, dobbiamo
avere il coraggio di uscire da noi stessi, dal nostro comodo e metterci in
cammino per raggiungere gli altri, i poveri, quelli delle periferie e portare
loro il lieto annuncio che Dio vuole loro bene perché è già in loro.