La figlia di Giairo e l'emoroissa. Come ci poniamo di fronte alla vita?



La figlia di Giairo e l'emoroissa (Mc. 5, 21-24, 35-43)
perdita della vita, perdita della speranza, dei progetti

Ancora una volta per capire bene l'episodio bisogna inquadrarlo nel posto che occupa nel Vangelo. Siamo subito dopo l'episodio dell'indemoniato di Gerasa. Lì l'invito era stato quello di considerare che tutto nella nostra vita deve essere subordinato all'incontro salvifico con il Signore.
Nel brano di oggi c'è un fatto strano, unico: non si tratta di un episodio semplice ma di due incastonati uno nell'altro. Per comprendere il tema di fondo, che è unico, bisogna leggerli assieme. Il centro della questione è la vita in tutti i suoi aspetti: fisico ma anche morale e di significato. Vita che è così preziosa e che trova il suo vero significato solo nell'incontro con il Cristo.
Quali sono gli elementi che uniscono questi due episodi? Prima di tutto il fatto che sono incastonati l'uno nell'altro. Se fossero due cose separate i vangeli ne avrebbero fatto due racconti separati. I vangeli non hanno mai un puro scopo cronologico, ma tematico di salvezza, quindi non si fanno problemi a spostare cose qua e là se aiutano a trasmettere meglio il messaggio. Seconda cosa da tenere presente è che nella mentalità ebraica il sangue rappresenta la vita, infatti si può mangiare la carne di un animale solo dopo che ci si è assicurati di aver fatto uscire tutto il sangue. Se uno tocca il sangue di un'altra persona diventa impuro e per tre giorni, nonostante le abluzioni di purificazione, non può entrare nel tempio a pregare. Allora avere una donna che per tanti anni sta perdendo sangue vuol dire avere una donna che per tanti anni sta perdendo la vita, o meglio il senso della vita, lo scopo della vita. Non è viva ma sopravvive, è un cadavere ambulante proprio come la piccola bambina che ora è un cadavere che dorme. Il contatto con Gesù ridona la vita, blocca le perdite, riavvia i processi vitali.
Tanti altri aspetti li mettono in parallelo: si tratta di due donne; i 12 anni di età (ha raggiunto la maturità sufficiente per potersi fidanzare, aprirsi alla vera vita e invece muore) o 12 di malattia (lo stesso periodo di mancanza di vera vita e quindi il momento di morire o cominciare a vivere davvero; il verbo toccare la morta o essere toccato da una sporca di sangue che indica impurità; la folla che diventa ostacolo all'incontro; il prostrarsi della donna e del padre di fronte a Gesù. 
Cominciamo con la donna. Abbiamo qui una donna che da dodici anni sta perdendo sangue. Dodici indica una vita intera, un numero completo. Nella cultura ebraica il sangue era il luogo, nel nostro corpo, dove la vita risiedeva, infatti, se uno è ferito e continua a perdere sangue ad un certo punto muore perché la vita è uscita da lui. Ecco allora la legge che esigeva che per uccidere un animale da mangiare bisognava sgozzarlo e far uscire tutto il sangue altrimenti chi mangia si appropria della vita di quell’animale e quindi si contamina con essa. Quindi questa donna da anni perde sangue. Forse fisicamente parlando si sarà trattato di un problema di mestruazioni o qualche ferita che non si rimarginava.
L’episodio è senza dubbio da leggere in maniera metaforica: la donna sta perdendo la vita o meglio il senso di essa. È andata a consultare tanti dottori ma senza risultato. Si tratta non solo di dottori medici ma di tanti che si spacciano per esperti di vita. Quanti dei nostri giovani dopo i primi anni a catechismo e da chierichetti abbandonano la pratica religiosa e un po’ alla volta la fede. Ora sono attratti dalle illusioni degli eroi dello sport, dello spettacolo, del mondo dei film, sono attratti dal guadagno facile, sono attratti dal gruppo di amici che indica il piacere facile attraverso il fumo, la droga, il sesso, la vita sregolata e sfrenata. Si sentono finalmente liberi e pieni di vita e invece si stanno inesorabilmente svuotando. Quando si rendono conto di essere in errore si trovano smarriti ed è difficile risalire la china del senso della vita. Ebbene questa donna ha trovato una speranza, ha sentito parlare di un uomo straordinario, un amico dei peccatori, dei poveri, uno che non giudica ma che ha parole di fuoco e lei, fredda dentro, ha bisogno di questo fuoco. Ma come fare a presentarsi di fronte ad una persona così importante, lei che è così indegna? Come presentare il suo caso? Come parlare di argomenti così privati e così tabù? che dire? La mancanza di fiducia in sé, lo scoraggiamento è un sentimento comune tra quelli che sono arrivati al fondo, un sentimento che li blocca inesorabilmente lì, impedisce loro di mettersi in cammino. Il diavolo ci intrappola con mille scuse, non può permettersi che gli scappiamo. Invece la donna si mette in movimento, “se anche solo riuscissi a toccare il lembo del suo mantello”; è un senso di indegnità ma almeno un barlume di speranza: meglio di niente. Metà della guarigione è già fatta perché ha ritrovato un minimo di senso nella vita. Infatti appena tocca il mantello il flusso del sangue si ferma già. Non è ancora la guarigione piena perché l’incontro con Cristo è stato a senso unico, però è un inizio importante. C’è gente che ha vergogna di far vedere che torna in chiesa e quindi cerca dei contatti più anonimi, magari attraverso delle letture, andando in posti dove non è conosciuta. Questo è un inizio ma non basta. Gesù vuole tutto, ci vuole salvare davvero, ci vuole dare delle basi dalle quali non rischiamo di ricadere. Quindi vuole che la persona esca allo scoperto: “Chi mi ha toccato?”.  L’umile dichiarazione “sono stata io” vale quanto una professione di fede e la donna è innalzata a segno della misericordia di Dio.
Veniamo ora alla bambina. Il ritardo causato dall’episodio dell’emoroissa è sufficiente perché la bambina muoia e i messaggeri vengono a portare il messaggio.
Questo episodio, come altre volte nel vangelo, si impernia sul rapporto tra tre gruppi: a) una persona in bisogno (la bambina, l’emoroissa, il paralitico, l'indemoniato, ecc.), b) Chi riconosce Gesù e la sua potenza e si avvicina per intercedere per i bisognoso (il padre della bambina e i suoi accompagnatori e che mostrano fede e intraprendenza, coloro che portavano la barella del paralitico, il diavolo che chiede di essere risparmiato), c) coloro che stanno attorno e non credono ed esprimono la loro mancanza di fede (i farisei che criticano, i mandriani che cacciano Gesù e qui, i presenti che lo deridono).
a) Il primo posto deve naturalmente essere dato al bisognoso. Esso rappresenta sempre una situazione di incapacità, quasi una impossibilità a trovare una vita normale. Qui, addirittura, la ragazza è morta. Umanamente parlando non c'è soluzione. E' un caso pietoso come lo è sempre la morte di un caro e specialmente di un bambino. Aveva 12 anni. 12 è sempre un numero simbolico nella bibbia, un numero di completezza. Quindi i 12 anni rappresentano tutte le età della vita. Inoltre a 12 anni si diventava adulti, i ragazzi venivano inseriti nella società (pensate a Gesù che per la prima volta a 12 anni scende a Gerusalemme con i suoi), per le ragazze è l'età in cui i genitori cominciavano a cercare un marito per la figlia e la madre cominciava ad addestrare la ragazza all'arte di gestire la casa e la famiglia. Quindi è una vita che ha già una sua completezza ma anche che si apre a un ciclo nuovo. Ebbene questa vita è spezzata. Tutte le illusioni, i piani, crollano. Non è un problema solo suo ma di tutta la famiglia, ecco allora che il padre stesso si mette in movimento.
b) Il movimento, l'intraprendenza di questi famigliari rappresenta la fede che non è mai una cosa statica ma che ha sempre un doppio elemento: dipendenza assoluta da Dio, intraprendenza, azione; come se tutto dipendesse da Dio ma tutto anche da noi. Questa è una cosa da tenere presente quando riflettiamo sul nostro rapporto con Dio, e anche quando insegniamo alla gente a pregare. I miracoli li fa solo Dio e noi dobbiamo credere in questo, abbandonarci alla sua volontà, non con la certezza che Dio farà quello che chiediamo, ma con la certezza che Dio farà quello che è meglio per noi. Però c'è anche il secondo aspetto e cioè l'attività che deriva dalla fede. Dobbiamo metterci in cammino, andarlo a cercare questo Dio che fa i miracoli, darci da fare per prepararli, combattere contro tutti quegli aspetti esteriori che vorrebbero toglierci la fede. È un lavorare attivo ma senza essere protagonisti, è un lavorare gioioso perché si sa che la soluzione ci sarà ma senza sapere quale sarà.
La fede di queste persone è preziosa anche perché porta con sé un altro valore: l'amore. Sono persone che soffrono con chi è malato o morto e soffrono perché lo amano. Gesù non può rimanere indifferente a questo dolore che è amore. Allora si mette in cammino con loro e li aiuta a passare attraverso la purificazione dell'incredulità degli altri.
c) E qui possiamo inserire il terzo gruppo: gli increduli. Alle volte sono degli spettatori, capaci solo di guardare e giudicare, in questo caso, invece, sono amici, vicini, gente che amava la bambina ed è venuta a condividere il dolore. Il loro problema è che sono immobilizzati, chiusi nel loro pessimismo e nel loro fatalismo. Ad onor del vero il testo dice che si agitavano e piangevano, ma il loro movimento non è di chi cerca una soluzione, ma di chi, invece, col suo pessimismo accresce il dolore. Amano la bambina e i suoi genitori ma non fanno niente, se ne stanno lì fuori a piangere. Mi ricordano tante persone che passano il tempo in Facebook. Si credono vivi perché mettono il “mi piace” a tutti i post che richiamano problemi sociali di ogni tipo, magari ne copiano e condividono alcuni, ma la loro attività è tutta lì, e se guardiamo ai post sono tutti di critica o di richiamo a incoerenze, imbrogli, corruzione. Non c'è nulla di costruttivo, di creativo, di novità per la crescita. Sono immobili perché il loro amore non è sostenuto dalla fede. Lasciato il computer rientrano nel mondo reale e nella routine e nulla è cambiato dai post di facebook. La fede non è dire a parole che crediamo in Dio ma è avere una certezza interna che Dio ha una soluzione anche per noi ed allora non c'è posto per il pessimismo, non c'è posto per l'immobilismo. La fede è un motore diesel che fa un po' di fatica a partire ma una volta partito ha bisogno di girare in continuazione e se si ferma per lungo tempo si ingrippa.
Cristo ridà la vita alla bambina. Attenzione io non userei il termine risurrezione ma riportare alla vita. La bambina torna a fare quello che faceva prima, con le persone di prima e come tutti ora crescerà si ammalerà, guarirà ed eventualmente morirà (come Lazzaro e il figlio della vedova di Naim). La resurrezione è quella di Gesù che ritorna alla vita ma in un modo diverso, glorioso, definitivo per non uscirne più, e questa è promessa a tutti noi. La bambina, dopo morta, era entrata nell'eternità e quindi stava anche meglio. La sua rianimazione benefica i parenti e gli amici più che lei. Però questa rianimazione è già segno della risurrezione futura. Essa ci fa vedere come siamo ancora attaccati a questo mondo e che abbiamo ancora bisogno di purificarci. Infatti, se notiamo bene la tempistica, Gesù lascia morire la bambina (quando il padre viene da lui, la bambina è ancora viva, Gesù avrebbe potuto fare una guarigione a distanza come ha fatto in un'altra occasione col centurione che gli aveva detto non sono degno che tu entri nella mia casa). Farà lo stesso con Lazzaro perché alla chiamata delle sorelle non risponde se non dopo la morte dell'amico. In quell'occasione lui dice: questa morte non è per se stessa ma per la gloria di Dio. Gesù permette che la bambina muoia perché da una parte per lui non fa differenza tra malata e morta, ma anche perché vuole dare un insegnamento a tutte quelle persone: Lui è il Signore della vita. La vita vera non ha senso senza di lui. Il dolore delle persone circostanti e la loro incredulità sottolinea la loro limitatezza, il non aver ancora capito la verità. Lo deridono perché sono chiusi nella loro piccolezza. Se non ci fosse questo significato profondo Gesù avrebbe fatto un'ingiustizia a lasciarla morire e fa un'ingiustizia tutte le volte che lascia che giovani o bambini muoiano, gente di fede che prega per una guarigione e non la ottiene, ecc.
Gesù suggerisce ai suoi genitori di dar da mangiare alla piccola, segno del suo ritorno alla vita normale, ma anche, forse, un richiamo a quello che dirà più tardi: “io sono il pane di vita, chi mangia di me non morirà in eterno”.
Veniamo a noi che spesso ci troviamo in una delle tre posizioni.
Siamo ammalati o siamo afflitti da altri tipi di sofferenza: fisica, spirituale, morale, emotiva. Non capiamo il senso di quello che sta succedendo, il senso del nostro vivere in quelle condizioni. Cerchiamo una soluzione al problema: che soluzione?
Alle volte lavoriamo o preghiamo per gli altri ma ci sembra di lavorare inutilmente, di pregare inutilmente perché non vediamo alcun risultato dei nostri sforzi: che risultati ci aspettiamo?
Il nostro servire chi è ammalato deve essere contrassegnato dalla fede perché non è sufficiente il coinvolgimento umano, il lavoro che facciamo, ma non è neppure sufficiente il pregare perché queste persone, o noi stessi, abbiano la soluzione umana che tutti ci aspetteremmo.
La nostra priorità deve essere cercare il senso vero della vita, la qualità che non è data dall'ambiente o dagli accessori ma dall'unione di mente e cuore con Colui che dà il vero senso. Spesso il nostro efficientismo o il fidarci solo del nostro giudizio, della nostra conoscenza, delle nostre capacità, diventano ostacoli per la fede di chi ci sta attorno. Il nostro lavoro non può essere solo cercare una soluzione ma anche e soprattutto il testimoniare e insegnare il significato ultimo, la soluzione ultima, il “Solutore” ultimo.






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