Apostoli e Tommaso: incredulità e paura. Gesù si serve anche di quello
Giovanni
20: 19-31
“La sera di quel
giorno”. È già sera quindi hanno già sentito cosa hanno detto le
donne e hanno già visto la tomba vuota, eppure hanno le porte chiuse
per timore. È normale avere paura sapendo che i Giudei li
perseguiterebbero, il problema è che questa paura impedisce loro di
andare fuori ad annunciare. Ci troviamo di fronte all'avvenimento più
importante della storia eppure loro, i discepoli, coloro che hanno
condiviso con il Signore 3 anni, che sono stati i più diretti
testimoni delle parole e dei fatti di Gesù, che sono stati scelti
direttamente da Gesù, preferiti a molti altri, che hanno lasciato
tutto per seguirlo, eppure fanno ancora fatica a credere e hanno
paura.
Ci sono due tipi di
paura: Quella fisica, la possiamo chiamare paura esterna. Sanno che
se i Giudei li arrestano li picchieranno e magari anche li
uccideranno come hanno fatto con Gesù; c'è poi la paura
psicologica, quella interna cioè la paura di se stessi. Io la
chiamerei senso di colpa. Sanno che hanno tradito Gesù, sono
scappati. Ora se lui è vivo e ritorna da loro, come affrontarlo,
cosa penserà di loro? Questa seconda paura è forse più importante
e più potente della prima, è quello che veramente impedisce loro di
accettare la resurrezione.
La presenza di Gesù
è la sorgente della pace tanto desiderata e necessaria. Gesù dice,
abbiate pace, dentro e fuori, sconfiggete queste due paure che vi
bloccano e vi lasciano irrequieti.
Attenzione: la pace
che Gesù offre loro non corrisponde alla soluzione dei problemi, non
corrisponde nemmeno a un cambiamento di fede, è un dono di Cristo
che deve essere accettato per quello che è.
Ecco quindi che Gesù
mostra loro le mani e il fianco feriti. La pace che sta offrendo
andrà assieme alle ferite, non le nega e non le cancella, neppure la
resurrezione ha cancellato le ferite. La resurrezione dà la forza
per accoglierle, per superare il dolore, il blocco, per far aprire le
porte. Le ferite non spariscono ma diventano una forza, un'arma
potente.
Ora i discepoli
possono gioire.
Gesù ripete il
saluto di pace, vuole che comprendano che quella situazione è un
punto di partenza, fondamentale, per un ulteriore passo nella vita.
Ora che le porte si spalancano essi possono andare a tutto il mondo.
Il saluto di Gesù ha cambiato i Discepoli? No essi sono gli stessi
di prima, ma il saluto è accompagnato da qualcosa che veramente può
provocare il cambio: lo Spirito Santo. Un cambio non fisico, ma un
cambio di fede che non toglierà le difficoltà ma darà la forza di
affrontarle, accettarle, sublimarle, offrirle. Le difficoltà e le
persecuzioni diventeranno il carburante che farà funzionare il
motore della crescita della Chiesa degli inizi.
Quindi pace e
Spirito Santo sono doni in funzione della nuova vita, della nuova
missione, dell'andare.
Prova che questo
cambiamento è frutto dell'incontro diretto con Cristo e non frutto
di speculazione intellettuale è il fatto che Tommaso che era assente
non riesce ad accettare il cambiamento dei suoi fratelli, ha bisogno
di fare anche lui l'esperienza diretta del Cristo e del Cristo
ferito. Allora esclamerà “mio Signore e mio Dio”. Chiede di
vedere e toccare le ferite perché ha bisogno di sanare il suo senso
di colpa, di indegnità e Gesù mostra le ferite, le mostra con
amore come per dire a lui: non mi interessa quello che è stato, fa
parte della tua natura umana, fa parte di quel Tommaso che io ho
scelto, amato, chiamato. Questo stesso Tommaso allora io lo amo
ancora e mi fido ancora di Lui, quindi rimboccati le maniche e va con
tutti gli altri alla missione che ho preparato per voi.
Oggi è la domenica
della Misericordia e questo è il punto centrale della misericordia.
Gesù non pretende che noi non pecchiamo, che noi non abbiamo paura,
lui chiede solo di accettare il suo amore, di fidarsi della sua
forza, del mettere Lui al contro invece delle nostre emozioni o
desideri.
Lui ci ama e ci
sceglie nonostante le nostre debolezze e i nostri peccati, anzi ci
sceglie proprio per la nostra debolezza, come dirà a San Paolo:
“perché nella tua debolezza posso mostrare la mia forza”.
L'andare a
testimoniare Cristo, specialmente in un mondo come quello di oggi
così lontano dai valori del Vangelo e così subdolo, non deve essere
un atto di eroismo da parte nostra, ma il risultato della nostra
esperienza di sentirsi amati da Cristo. Mi viene in mente il profeta
Geremia che in un momento di scoraggiamento causato dalle
persecuzioni dice: “Non seguirò più il mio Signore, non lo
predicherò più”, ma poi subito aggiunge: “Ma c'era dentro di me
come un fuoco che bruciava, un fuoco a cui non potevo resistere” e
ritorna a predicare e accetta che le persecuzioni continuino e si
inaspriscano.
Il Signore ha
bisogno di ciascuno di noi, ma ha bisogno, prima di tutto, che
smettiamo di guardare a noi stessi per vedere se ne siamo capaci, se
ne abbiamo voglia, se la missione è alla nostra portata o difficile,
cosa dovremo dire o fare, quale sarà il risultato. Lui ha bisogno
solo che ci sentiamo amati da Lui e che testimoniamo questo amore.