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Visualizzazione dei post da settembre, 2025

Che c’è di male ad essere ricchi?

  Che c’è di male ad essere ricchi? (Lc 16,19-31) La parabola che ascoltiamo oggi è tra le più provocatorie di Gesù. Non perché condanni la ricchezza in sé, ma perché ci costringe a guardare in faccia il modo in cui viviamo. Ci mette davanti due uomini: uno ricco, senza nome, e uno povero, Lazzaro, che invece ha un nome e una dignità. E già qui c’è una prima provocazione: nella logica del mondo, conosciamo i nomi dei ricchi, dei potenti, dei famosi. I poveri, invece, sono spesso invisibili, numeri, ombre. Ma nella parabola di Gesù è il povero ad avere un nome. E quel nome — Lazzaro — significa “Dio è il mio aiuto”. È come se Gesù ci dicesse: Dio sta dalla parte di chi non ha nulla. Il ricco non viene descritto come malvagio. Non ruba, non imbroglia, forse prega anche. Ma vive per sé. Si veste di porpora, si ingozza di cibi prelibati, si circonda di lusso. Il suo vestito, dice la Scrittura, è simbolo del suo atteggiamento: vive per apparire, per essere ammirato. Ma se gli togliamo ...

Imparare ad essere furbi

  L'esempio di un imbroglione ( Lc 16, 1-13) Oggi il Vangelo ci propone una parabola che, a prima vista, ci lascia un po’ perplessi. Gesù sembra elogiare un uomo disonesto, un amministratore che ha imbrogliato il suo padrone. Ma come può essere un modello per noi? Per capirlo, dobbiamo fare un passo indietro e immergerci nel contesto storico. Al tempo di Gesù, la terra era spesso in mano a grandi proprietari che vivevano lontano, magari in città o addirittura all’estero. Le loro terre venivano coltivate da contadini, ma gestite da amministratori locali. Questi amministratori avevano ampio margine di manovra, e spesso approfittavano della situazione per arricchirsi. Era un sistema che favoriva imbrogli, ricatti, e ingiustizie. Ecco, in questa parabola, uno di questi amministratori viene scoperto. Il padrone lo convoca e gli chiede conto della sua gestione. È la prima scena: il momento della verità. L’amministratore sa di aver sbagliato, non si difende, non cerca scuse. Ma non...

Gesù e il serpente, che parallelo?

  Perché Dio dice a Mosè di innalzare il serpente? (Nm 21:4-9;   Gv 3:13-17) L'episodio del libro dei Numeri che abbiamo letto riflette la vita spirituale di molti di noi. Abbiamo scelto Dio, ci siamo impegnati e abbiamo avuto momenti in cui abbiamo apprezzato la sua grazia. Tuttavia, con il tempo subentra l'abitudine. Ripetiamo le stesse azioni, diventiamo esperti, ma perdiamo entusiasmo e il contatto spirituale. La preghiera e l'apostolato diventano una routine, un obbligo da soddisfare, dipendendo solo dai nostri sforzi. Quanto può durare questo prima che stanchezza, noia e difficoltà prendano il sopravvento? Quando arrivano le difficoltà, non riusciamo più a reagire; rabbia e disperazione prevalgono, e anche le grazie ricevute perdono di senso. Il popolo di Israele per anni era nutrito da Dio con la Manna, ora lo considera un cibo schifoso. Non bisogna interpretare letteralmente il passo che dice che Dio mandò serpenti come castigo. Dio non castiga nessuno. Il s...

Il coraggio di cambiare

 Nicodemo e il volto vero di Dio    ( Gv 3,13-17 ) Oggi il Vangelo ci presenta un incontro notturno, silenzioso, ma pieno di luce: quello tra Gesù e Nicodemo. Un uomo rispettato, colto, religioso… ma inquieto. Nicodemo non si accontenta delle risposte già pronte. Sente che nella sua vita manca qualcosa. E allora va da Gesù. Di notte, forse per paura, forse per discrezione. Ma ci va. E questo è già un atto di coraggio. Nicodemo ci rappresenta tutti. Quanti di noi, pur credenti, sentono che la fede non è ancora diventata vita? Quanti di noi portano domande nel cuore, ma non sanno a chi rivolgerle? Quanti di noi vorrebbero cambiare, ma non sanno da dove cominciare? Gesù non lo accoglie con risposte facili. Gli propone qualcosa di radicale: “Bisogna rinascere dall’alto.” Non si tratta di tornare bambini, ma di iniziare a vivere con uno sguardo nuovo. Ragionare come si ragiona in cielo. Cosa vuol dire? Vuol dire mettere Dio al centro. Vuol dire lasciarsi guidare dal...

A chi diamo la preferenza?

  Parole che provocano Il Vangelo di oggi (Lc 14,25-33) ci mette davanti a due affermazioni che, a prima vista, sembrano dure e quasi incomprensibili: “ Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre…” e “Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. ” L’originale greco usa la parola odiare; la versione moderna italiana ha giustamente tradotto “ Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo ”. La seconda frase è rimasta com’era. Sono comunque parole che ci turbano, parole che ci interrogano. Ma anche parole che ci invitano a guardare più a fondo. Cosa Gesù vuole insegnarci? Queste espressioni nascono in un contesto storico e linguistico molto diverso dal nostro. La lingua aramaica, con un vocabolario limitato, usava spesso contrasti forti per esprimere priorità. “Odiare” non significa disprezzare, ma “preferire meno...