Come preghiamo il Padre Nostro?

 La Preghiera (Lc 11,1-13)

Ai tempi di Gesù, era normale che ogni maestro insegnasse ai suoi discepoli una preghiera personalizzata. Così, quando qualcuno pregava, si capiva subito da chi aveva imparato.

Il Vangelo di oggi ci rivela una cosa interessante: fino a quel momento, Gesù non aveva insegnato alcuna preghiera ai suoi. Pregava da solo, di notte, senza costringere nessuno. Ha aspettato che i discepoli sentissero dentro il desiderio di pregare.

Ed è proprio così che avviene. Vedendo Gesù, i discepoli capiscono quanto sia importante pregare. Si avvicinano e gli dicono: “Maestro, insegnaci a pregare.”

Anche noi, se preghiamo ogni giorno, non lo facciamo perché è un dovere o perché ci è stato detto. Lo facciamo perché vogliamo parlare con Dio. E lo stesso vale per la Messa: non ci andiamo per obbligo, ma per incontrare Gesù, ascoltare la sua Parola, riceverlo nell’Eucaristia.

Avrete notato che le parole della preghiera che abbiamo letto sono diverse da quelle che usiamo di solito per il Padre Nostro. Quelle che conosciamo meglio vengono dal Vangelo di Matteo. Proprio Matteo ci riferisce che prima di insegnare quella preghiera, Gesù dice: “Quando pregate, non fate come gli ipocriti che usano tante parole senza pensarci davvero. Credono che Dio li ascolti solo perché parlano tanto. Invece, voi pregate così...” E poi insegna il Padre Nostro.

Gesù, quindi, non ci vuole dare formule da ripetere a memoria, ma ci insegna un modo profondo di parlare con Dio. Ecco perché Matteo e Luca ci trasmettono due versioni diverse della stessa preghiera: perché non è la forma che conta, ma il cuore con cui ci rivolgiamo a Dio.

E allora mi chiedo: quando recitiamo il Padre Nostro, siamo davvero attenti a ciò che stiamo dicendo? Ci rendiamo conto che stiamo parlando con Dio, che ci sta ascoltando? Oppure lo recitiamo distrattamente, con la testa altrove? Se è così, stiamo facendo l’opposto di quello che Gesù ci ha insegnato.

La preghiera deve nascere da un desiderio vero, non da una regola. Gesù spiega questa idea con una parabola: uno che bussa a casa di un amico nel cuore della notte, per chiedergli aiuto. E Dio è proprio così: ascolta sempre, e ci dona ciò che è davvero bene per noi.

Poi Gesù aggiunge un esempio: se un figlio chiede al padre un pesce, il padre gli darà un pesce, non un serpente. Dio ci ama più di qualunque padre terreno, e vuole solo il nostro bene. Allora, di nuovo mi chiedo: se un figlio chiedesse un serpente, il padre glielo darebbe? Ovviamente no. Gli darebbe lo stesso qualcosa di buono, di adatto. Gesù ci fa capire che, se a volte Dio sembra non rispondere alle nostre richieste, può essere che stiamo chiedendo nel modo sbagliato o stiamo cercando qualcosa che non ci farebbe realmente bene.

Se guardiamo con gli occhi della fede, possiamo riconoscere che Dio ci sta già donando qualcosa di migliore di ciò che abbiamo chiesto. Lui ci conosce meglio di quanto conosciamo noi stessi. Sa di cosa abbiamo veramente bisogno.

Magari noi chiediamo cibo, e Lui sa che in quel momento è meglio digiunare. Gli chiediamo di guarirci, ma forse rimanere ammalati può aiutarci a crescere nella pazienza, nella generosità, nel capire la sofferenza di Gesù. O magari la nostra malattia sta toccando il cuore di chi ci sta accanto, spingendoli alla carità e alla fede.

Quindi quando preghiamo, non preoccupiamoci tanto di “ottenere” qualcosa. Cerchiamo piuttosto di stare vicino a Dio, con fiducia, perché Lui sa già cosa è giusto per noi. Ma noi dobbiamo essere consapevoli della sua presenza e del suo amore.

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