Non solo credere in Lui ma Diventare come Lui

Mangiarlo per diventare come Lui. (Gv. 6, 51-58)

Il Vangelo di oggi fa parte di un lungo discorso fatto da Gesù a Cafarnao subito dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Il tema centrale di questo discorso è: voi mi cercate perché con i miracoli volete soddisfare i vostri bisogni materiali: fame, malattie, eccetera. Non date importanza a queste cose ma a quelle spirituali. Cercate prima di tutto una vera relazione con Dio. Ma come si ottiene tale relazione? Le parole che Gesù usa per spiegare questo sono più o meno le stesse usate durante l’ultima cena: mangiate il mio corpo e bevete il mio sangue, solo così potrete avere la vita eterna cioè vivere in comunione completa con Dio.

Secondo gli Ebrei Dio era distante da noi, inavvicinabile, non poteva essere visto né toccato né raffigurato con alcuna statua o immagine, e nemmeno il suo nome poteva essere pronunciato. Gesù ribalta completamente questa visione religiosa. Attraverso di Lui Dio si è fatto vicino, si fa vedere e toccare. Dio era l’essere Perfetto, onnipotente, mentre Cristo è un uomo, pertanto è debole. Nel Vangelo si vene molte volte che i Giudei rigettano le parole di Gesù perché il suo modo di parlare è troppo duro. Non era difficile capire cosa Gesù intendesse, ma era impossibile accettarlo perché per loro le parole di Gesù risuonavano come bestemmie. La sua predicazione creava scandalo e divisione. Lui andava a casa dei peccatori, mangiava con loro, si è reso impuro toccando i lebbrosi e i feriti, si fermava a parlare con le donne e ad alcune di loro, adultere, perdonava i peccati. Come si può attribuire tutto questo al Dio perfetto, Santo, intoccabile, immortale? Gesù chiede alla gente di rinunciare al potere per mettersi a servire, di rinunciare ad essere il popolo eletto per accogliere tutti, peccatori e pagani. Come si può accettare tutto questo?

Nel vangelo di oggi, Gesù aggiunge un concetto nuovo e più forte: il Dio del Nuovo Testamento non solo lo possiamo vedere e toccare, ma addirittura lo dobbiamo mangiare. I Giudei avevano capito che non si trattava di cannibalismo. Mangiare vuol dire assimilare, fare proprio. La carne rappresentava l’uomo nella sua totalità, fragile e limitata, mentre il sangue era la sede della vita, del pensiero, delle emozioni. I Giudei avevano capito che Gesù intende che noi ci appropriamo della sua natura nella sua fragilità umana ma anche nella sua spiritualità, in poche parole che facciamo nostro il suo stile di vita e il suo pensiero, il suo modo di concepire le cose. Però questo discorso Gesù lo collega col fatto che lui stesso è Dio e questo per loro è una bestemmia, e inoltre è un Dio che si è fatto debole e questa è un’altra bestemmia. Loro non possono accettare un Dio che si fa uomo e si fa debole.

Giovanni dice che dopo aver sentito queste parole tutti se ne andarono scoraggiati e scandalizzati, solo i dodici apostoli rimasero con Lui.

Oggi è la festa dell’Eucarestia. So che in parrocchia ogni giorno voi fate l’adorazione Eucaristica, aspetto importante e bello. Dobbiamo stare attenti a un pericolo: Abbiamo l’idea di dover stare vicino a Gesù, consolarlo, fargli compagnia, ecc. Queste idee non portano cambiamenti nella nostra vita pratica. La richiesta che Lui ci fa non è di essere lì a fargli compagnia ma a lasciarsi coinvolgere nella sua vita. Noi chiamiamo quel pezzo di pane, “Il Santissimo”, che significa l’essere perfetto e intoccabile. Adorare significa riconoscere che Lui è immensamente più grande di noi, irraggiungibile. Questa devozione eucaristica i Giudei avrebbero potuto accettarla senza difficoltà. Ma Gesù ci chiede molto di più della semplice devozione, ci chiede di mangiarlo, di assimilarlo, di diventare come Lui, agire come Lui, pensare come Lui. Egli infatti non lo chiama Santissimo ma pane da mangiare. Gesù poteva usare qualsiasi altro segno, perché cibo e bevanda? Perché sono necessari per la nostra sopravvivenza. Il pane era il cibo più comune presente in tutte le case. Quando noi, alla fine della messa, ci accostiamo per ricevere l’Eucarestia da mangiare, chiamiamo quel momento “Comunione”, cioè diventare uno con Lui. Se le nostre preghiere davanti al Santissimo, se la nostra comunione non cambiano il nostro stile di vivere e pensare, allora diventano inutili, diventano una rappresentazione teatrale. Noi di cosa ci nutriamo? Cosa è veramente importante per la nostra vita? Troppo spesso ci riempiamo di cose precarie, di stupidaggini che presto o tardi vengono distrutte dalle vicende della vita. Sprechiamo anni della nostra vita rincorrendo cose vane e futili. Di cosa si vive veramente? Cosa è necessario? Ciò che esce dalla bocca di Dio, i suoi decreti. Questo i discepoli lo hanno capito bene.

Gesù, creando il Sacramento dell’Eucarestia, non ci sta dando l’obbligo di andare a Messa la domenica, e nemmeno di ricevere la comunione. Ci sta facendo un invito a entrare in “comunione” con Lui, ad accettare il suo amore gratuito, a lasciare da parte il nostro modo stolto di vivere e condividere il suo modo di pensare e di agire che rappresenta per noi l’unico modo di vivere la vita in verità e pienezza, cioè una vita secondo quello per cui Lui l’ha creata.

Alle volte noi pensiamo di poter andare avanti nella nostra vita con una preghiera occasionale, pensando di accettare la volontà di Dio solo quando ne avremo estremamente bisogno. Tanti dicono di vivere di Cristo ma poi si lamentano di ogni cosa, c’è sempre qualcosa che manca. Cristo è il vero cibo. Quando le cose si fondano su Cristo, la sua presenza le rende buone e saporite e ci basta molto meno di quello che pensiamo.

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