Tra i discepoli all'Ascensione: Don Orione
Ascensione del Signore Mc 16, 15-20
Oggi è la festa dell’Ascensione di Gesù al cielo. Per noi figli di Don Orione è anche la festa del nostro santo fondatore. A prima vista potrebbe sembrare che ci sia una lotta tra le due feste e più di una persona sarà ricorsa al calendario liturgico per sapere cosa celebrare. Io credo che non ci sia alcun conflitto; celebrare Don Orione proprio in questa festa del Signore ha un significato molto importante e ce lo spiega proprio il vangelo di oggi. Don Orione ha vissuto la sua vita concentrandosi in Gesù e cercando di mettere in pratica quello che Gesù ha insegnato. Le sue opere, spesso grandiose, proprio come dice il vangelo, non sono altro che il frutto del suo sforzo di annunziare al mondo l’Amore di Dio che riempiva il suo cuore. Ma vediamo cosa ha fatto e detto Gesù in occasione della sua salita al cielo.
Prima di tutto va sfatata una credenza molto diffusa che io ritengo errata, e cioè che la festa di oggi rappresenti la fine della presenza di Gesù sulla terra, la conclusione di una bella storia fatta dai suoi miracoli, i suoi insegnamenti, la parte tragica della sua passione e morte e finalmente la conclusione gloriosa della risurrezione e quindi la sua partenza per il cielo. Non può essere così. Lui stesso ha detto “Io sarò con voi fino alla fine del mondo”: Quindi non si parla di partenza definitiva di Gesù. Allora di cosa si parla?
Questa è l’ultima parte del vangelo di Marco. È vero che l’evangelista sta dicendo ai suoi contemporanei che la storia di Gesù non si è conclusa nel sepolcro ma nella gloria del Padre, ma poi il racconto non finisce lì, lui aggiunge un versetto che segna l’inizio di una nuova storia, quasi che tutto quello detto finora sia solo una preparazione di questa nuova storia in cui siamo coinvolti anche noi oggi. “Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano”.
Il vangelo di oggi è un passaggio di consegne ai discepoli. Per tre anni li ha preparati e ora gli consegna la missione di costruire il mondo nuovo, un mondo da “Instaurare in Christo”. In questo anche noi siamo coinvolti. Allora al centro della festa di oggi non c’è tanto la fine di Gesù, ma il nostro coinvolgimento con Lui. Cominciate a capire ora perché vi ho detto che celebrare Don Orione è in consonanza con la festa di oggi?
Passiamo con calma i vari punti del vangelo.
I discepoli vedono il risorto mentre sono seduti a mensa. Non è un dettaglio da poco. Tutti i vangeli dicono che i discepoli lo riconoscono nello spezzare del pane. L’espressione è una catechesi. Lo spezzare del pane era ormai diventato il centro della religione dei cristiani, l’Eucarestia, rito che essi celebravano ogni domenica “in memoria” di Lui. Ebbene queste celebrazioni sono il momento in cui dobbiamo riconoscere il risorto, cioè vederlo all’opera e convertirci a Lui. Pensiamo a come Don Orione celebrava la Santa messa, a quanta devozione aveva e con quanta intensità predicava.
Chi sono questi undici discepoli? È un gruppo ferito. Giuda si è perso, neppure Gesù è riuscito a convincerlo; gli altri sono spaventati, timorosi; Pietro per proteggere la sua vita aveva addirittura maledetto il maestro (questo è un dettaglio riportato solo da Marco). E Gesù li rimprovera, non perché sono scappati o lo hanno rinnegato, ma perché sono duri di cuore. Marco insiste sulla difficoltà che hanno nel credere, sia alla Maddalena che ai discepoli di Emmaus. Che cosa vuol dire credere? È la stessa difficoltà che abbiamo noi oggi. Gli undici non dubitano della sincerità di chi parla, ma questa non è ancora fede, è ragionevolezza. Credere è qualcosa di più, è una scelta d’amore, non solo di intelligenza. La scelta di Gesù va in direzione opposta a quello che la natura umana ci chiede. Se Gesù è risorto, cioè se il Padre lo ha accolto nella gloria, allora significa che lui aveva ragione quando diceva che chi tiene per sé la vita la perde, ma chi la dona la realizza in pienezza. Se Lui è risorto, allora l’uomo riuscito è chi dona tutto se stesso, non chi insegue i sogni di gloria che anche loro, i fedeli discepoli di Gesù, avevano coltivato. Ecco perché fanno fatica a credere: perché questo richiede da loro il cambiamento radicale dello stile di vita, delle priorità di pensiero e di scelta. La durezza di cuore dei discepoli è simile alla nostra. Anche noi ci chiediamo: sarà poi vero che a dare la vita come ha fatto Gesù poi non ci rimetto? Se rinuncio a tutte le soddisfazioni personali poi non avrò rimpianti? Non è meglio fare come fanno tutti? Don Orione è stato un mirabile esempio di rinuncia a se stesso, a una carriera umana, alla gloria e al successo, all’essere un prete “normale” in una parrocchia tranquilla della sua diocesi. Lui è stato un esempio di dono di sé, del suo tempo, delle sue forze senza attendersi un ritorno.
Dopo il rimprovero, ci aspetteremmo che Gesù chieda loro un segno di pentimento o di presa di coscienza del loro errore, invece Gesù tira dritto e li invia. Devono partire, mettersi in movimento, allontanarsi dalla loro situazione precedente, le loro tradizioni, il piccolo mondo, e andare verso nuove terre e culture per annunciare il vangelo, non le loro tradizioni e credenze. Il risorto non ci chiede di convertire altri ma di annunciare fedelmente la parola del Vangelo e fidarsi della forza divina di questa parola. Vi ricordate quando Don Orione deve lasciare l’Italia e la gestione della congregazione e parte per l’America Latina per 3 anni? Questa partenza ha significato un’espansione impensata nell’opera. Don Orione non era andato là col proposito di fare altre fondazioni, ma semplicemente non ha potuto rinunciare ad essere se stesso, cioè a portare avanti la sua vocazione di testimoniare il Vangelo vissuto. Il Vangelo è la lieta notizia che deve essere annunciata a tutti: l’amore incondizionato di Dio che vuole salvare il mondo. Questo Vangelo deve cambiare non solo il cuore degli uomini ma tutta la creazione, cioè non si limita alla teoria o alla spiritualità, ma si trasforma in azione pratica, concreta per il miglioramento del mondo. Ecco il senso delle opere fondate da Don Orione.
“Chi crederà sarà salvo, chi non crederà sarà condannato”. Facciamo attenzione al senso profondo di queste parole per non essere riduttivi. Non si tratta solo della salvezza futura che otterremo in paradiso dopo che moriremo, ma di un qualcosa vero già adesso. La nostra vita è salva, cioè trova la sua pienezza e il suo senso se accettiamo la proposta d’amore di Dio. Se, invece, la rifiutiamo, attiriamo su di noi la condanna ovvero sprechiamo la vita perché non facciamo l’esperienza di essere amati da Lui. È già qui in terra che perdiamo molto se viviamo staccati da Gesù.
Poi il brano presenta una lunga lista di segni che i discepoli riusciranno a fare. Essi rappresentano la forza della fede che riesce a sconfiggere tutte strutture di male di cui è pieno il mondo, le strutture del peccato: le tensioni, le bramosie interiori, l’ingiustizia, l’odio, la calunnia, eccetera. Se siamo riempiti dello spirito del Vangelo, tutte queste cose non avranno alcun potere su di noi. Pensiamo a tutte le calunnie che Don Orione ha dovuto affrontare, alcune delle quali non erano concluse neanche dopo la sua morte. Pensiamo a quante volte è stato osteggiato non solo dagli anticlericali, ma anche da membri stessi del clero. Eppure Don Orione non ha mai perso fiducia nel Signore e non ha mai abbandonato il suo progetto. La sua risposta al male è sempre stata la carità, e sappiamo bene quanti miracoli fanno ogni giorno le opere di carità che lui ha iniziato.
Don Orione diceva: Instaurare Omnia in Christo. Lui si è veramente sentito mandato dal Signore a portare a tutto il mondo il lieto messaggio di salvezza, ha capito che per farlo doveva rinunciare a tutti i sogni di grandezza e successo che naturalmente ogni giovane ha, e si è messo subito all’opera per riempirsi di questo amore e passarlo ai più lontani e bisognosi, “fino ai confini del mondo”.
Buone feste