Cos'è il vero amore?
L'amore più grande. Gv 15:9-17
"Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici."
Frase misteriosa di Gesù inserita in un lunghissimo discorso, quello dell'ultima cena, dove più volte Egli invita i suoi discepoli a vivere dell'amore e seguire il comandamento dell'amore.
Ma cos'è questo amore di cui si parla tanto?
“Amore” è una parola strausata oggi, in canzoni, poesie, romanzi, film, sceneggiati, ecc. Quando uno dice: “ti amo”, cosa vuol dire?
Di solito si identifica l’amore con tutto ciò che nell’ambito sentimentale ci affascina, attrae, sia esso una persona o una cosa. Dio ci ha fatti così; siamo costretti a cercare l’altro. Questo sentimento è ciò che nella cultura greca era chiamato Eros. Una nota curiosa: mentre nella mitologia greca, Eros è accostato ad Afrodite, Platone dice che Eros è figlio di Penìa, la povertà e Poros, il cammino o il guado, cioè la capacità di trovare una soluzione. Allora l’amore è il bisogno di riempire un vuoto interiore, e ci spinge a cercare qualcuno che possa saziarlo. È un aspetto naturale in tutti noi che siamo esseri limitati, ma l’esperienza ci dice che il nostro vuoto non potrà mai essere totalmente saziato, la natura umana ci spingerà sempre a ricercare qualcosa in più. Se da una parte questo desiderio è un motivo sufficiente per iniziare una relazione, dall’altra, se non troviamo qualche ragione superiore per restare assieme, allora tutto crolla. Un’ottima descrizione di questo processo è quella fatta da Papa Benedetto nell’Enciclica Deus Charitas est.
Che cosa può aiutarci a trasformare il nostro bisogno in qualcosa di veramente soddisfacente e duraturo? La risposta ce la dà oggi Gesù parlandoci di un tipo diverso di amore.
Il Vangelo, quando parla di amore, non si riferisce alla ricerca di qualcosa che ci soddisfi, come l’Eros, ma alla capacità di donare e donarsi. Per fare questo utilizza una parola che, fuori dalla bibbia è usata molto raramente: Agape.
Il Vangelo è chiaro: è impossibile stabilire legami stabili, duraturi che siano basati solo sull’Eros, cioè sulla ricerca di soddisfazione. Dobbiamo puntare all’Agape che non è qualche cosa che si contrappone all’Eros, ma qualcosa che lo trascende. Non ci si può chiudere in noi stessi ma bisogna uscire, fare appello a qualcosa di più.
Questo è un piccolo segreto della mistica: quando ci troviamo di fronte a una necessità, una tentazione, a cose che suscitano in noi il desiderio di una soddisfazione, la prima idea che ci viene in mente è che la soluzione sia nel soddisfare questo bisogno, ma ci accorgiamo che non funziona, o meglio, funziona per un tempo limitato ma crea poi un bisogno maggiore. Un’altra soluzione che ci viene è quella di pretendere che il problema non esista, ma il mentire non funziona mai. Allora che fare? La vera soluzione sta nel “trascendere” il bisogno, cioè analizzarlo da un punto di vista più alto e trovare una soluzione che viene dall’alto. Dobbiamo cercare dei valori più alti che diano la stessa gioia che ricerchiamo senza soddisfare direttamente il bisogno. Una soluzione da fuori? E da dove?
Domenica scorsa il Vangelo ci parlava di una vite che deve dare frutti; il brano di oggi ne è il continuato. La vite è Gesù, ma in che cosa consiste questo frutto vero? Cioè qual è questo valore dall’alto che può risolvere la nostra sete e riempire in modo stabile il nostro vuoto interiore? L’Agape, cioè l’amore vero che viene non dalla nostra natura umana (che cerca solo soddisfazione) ma dalla nostra natura di figli di Dio, infatti solo i figli di Dio sono capaci di donare in modo puro. Rimanendo attaccati a Dio, condividendo il suo modo di amare, troviamo la sorgente che ci disseta in modo permanente. Ecco perché non è più sufficiente l’Eros ma ci vuole l’Agape.
“Come il Padre ha amato me, io ho amato voi”. L’origine dell’amore è in Dio, non sulla terra. In Dio non c’è la povertà che ci porta a voler riempire dei vuoti, quindi non ha senso la ricerca, Dio ha già tutto; Lui dona solo per il bene dell’altro, perché sia felice, senza ricercarne un ritorno. Siamo di fronte a un amore assolutamente gratuito, pura perdita, che vuole niente in cambio. Noi siamo chiamati a vivere questa stessa vita. Al culmine del cammino dell’evoluzione umana, non c’è il “sapiens sapiens”, cioè colui che maneggia perfettamente la scienza e la tecnica, ma l’uomo che ama perché il sapiens sapiens potrebbe anche essere una macchina, oppure essere una belva. Uno diventa vero uomo solo quando trascende il suo limite per andare verso l’altro con un sentimento positivo, anche se avesse di fronte uno che, in teoria, è un nemico. Il poter fare questo è solo frutto della natura divina perché la natura umana ci porterebbe solo a combattere, sopprimere il nemico.
Quindi dobbiamo dire che l’Agape è un dono del cielo, dato da Gesù, e questo amore è la stessa natura di Dio.
Gesù prosegue: “Dimorate nel mio amore”. Come riconoscerlo: dal fatto che è gratuito. Il modo di parlare erotico, in sé è bello, ma esprime la povertà: “Io non potrei vivere senza di te”. Quello di Gesù, invece, ci fa dire: “Io farei tutto perché tu sia felice, anche dare la mia vita per te”. L’Agape, quindi non si oppone all’Eros, non ci chiede di rinnegare il desiderio o la soddisfazione, ma di trascenderli, perché solo così noi troviamo la gioia piena. L’Eros viene spontaneo, mentre l’Agape è dato da Gesù e la nostra scelta sta nell’accoglierlo e viverlo. Lui ci chiede di dimorare in questo amore; il corpo e la mente possono vagare in mille luoghi diversi ma il cuore deve restare nell’amore.
Come si fa a dimorare in questo amore? Ce lo dice Lui: “Se osserverete i miei comandi”. C’è qualcuno che obbedisce alle regole e non è mai contento, si sente legato, lo fa per mettere in pace la sua coscienza; ma il comando di Gesù non è di seguire la lista dei dieci comandamenti o delle altre leggi di Mosè e neppure il libro delle leggi moderne, il suo comandamento è uno solo: “Amatevi gli uni gli altri”.
I comandamenti erano una legge esterna che Dio aveva dato al suo popolo perché Gli rimanesse fedele. Il comando di Gesù non è una cosa esterna da fare, ma una forza che è dentro di noi e che ci viene dal fatto che siamo figli di Dio. Questo ci porta ad amare in modo incondizionato. Ecco perché il comandamento di Gesù è uno soltanto, perché la natura di Dio è una: l’amore.
Esso è uno ma poi si manifesta in tante situazioni concrete. Giovanni stesso, nella sua prima lettera dice che l’amore che abbiamo per Dio, che non vediamo, non può essere disgiunto dall’amore al fratello che vediamo. Il nostro non deve essere un amore fatto con la lingua e a parole, ma nella verità.
Poi aggiunge: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi fino a donarci il suo Figlio”. Se Dio ci ha amato, allora anche noi dobbiamo amare il fratello. Non ci dice che dobbiamo rispondere al suo amore amando Lui, ma che la vera risposta è amare il fratello. Questo è bello ma suscita in noi anche la paura che accettando questo amore, ci perdiamo, perché dobbiamo sacrificare il nostro tempo, le nostre idee, i nostri programmi per venire incontro all'altro. Questo è un po' come morire pian piano.
Gesù risponde: “È proprio in questo amore che sta la mia gioia e che voglio che sia la vostra, e che sia piena”. Noi proviamo tante gioie, anche molto grandi, ma ci chiediamo sempre: “e dopo?” Noi ricerchiamo una gioia infinita. Noi abbiamo scritto nel nostro DNA il bisogno dell’infinito. Ebbene questa gioia duratura è presente solo in chi dimora nel vero amore. Il primo segno che si è bloccato l’amore è che si spegne la gioia; può rimanere la soddisfazione, ma non la vera gioia, quella che veramente ci riempie e non ci fa cercare altro.
C’è un altro tipo di amore, quello che i greci esprimevano col verbo fileo, quello tra gli amici. Gesù ci vuole coinvolgere anche in questa esperienza. “Non vi chiamo servi ma amici”. Di per sé la parola “servo” indica la completa disponibilità. Tutti diciamo di voler servire Dio, ma Gesù introduce un nuovo titolo: amico. Il servo obbedisce e non deve chiedere il perché; il rapporto tra amici è diverso; l’amico è al corrente di tutto, non è legato a orari o regole. Gesù non vuole un rapporto di servi, vuole che i discepoli siano amici, che con loro vi sia una condivisione piena del progetto. Lui ha rivelato loro ciò che ha udito dal Padre e li vuole coinvolgere in questo disegno di amore. Se noi ci comportiamo solo da servi non veniamo coinvolti completamente nel suo piano. Molti Cristiani sono ancora troppi legati a Dio con il rapporto di servi insegnatoci da Mosè: “Obbedite e riceverete le benedizioni”. Gesù ci insegna che questo argomento non vale più. Nei tanti secoli da Mosè fino a Gesù, l’obbedienza servile non è riuscita a generare un vero rapporto con Dio. Allora Gesù propone un nuovo modo di vivere, più bello; invita i suoi discepoli ad accettare la vita vera fatta non da ordini da obbedire ma dal coinvolgimento totale. Purtroppo do poco tempo i Cristiani sono ricaduti nel formalismo che è una via più facile e umanamente più attraente. Si può vivere da servi del proprio marito o della propria moglie, oppure anche da servi dei propri genitori, del proprio gruppo di amici, perfino dei passanti e dei vicini. Se diciamo troppo spesso all’altro “facciamo come vuoi tu”, “lo faccio solo per te”, “ho paura di deluderti”, allora stiamo già abitando nella piazza del mercato dell’affetto.
Chi vive la sua vita da servo molto spesso è una persona insicura: non ha molta stima di sé e pertanto pensa di non avere diritto ad essere amato gratuitamente. Il servo si deve guadagnare il pane, quanto basta per sopravvivere; chi vive da servo pensa di doversi guadagnare anche l’amore. Il servo ha sempre paura di essere licenziato, perciò chi sta in una relazione da servo ha sempre paura di essere abbandonato.
L’amico, invece, fin dall’antichità è il simbolo della relazione sana. L’amico è il gratuito: l’amico è colui che non mi fa mai sentire in dovere; l’amico non misura l’amore.
A differenza del servo, l’amico non ha turni di lavoro, e proprio per questo l’amico è colui che sorprende con la sua presenza. Il servo non vede l’ora di finire il suo turno e andarsene, l’amico non vede l’ora di incontrare l’amico.
In qualunque tipo di relazione ci troviamo, l’immagine dell’amico resta il modello di una relazione sana.
Un rapporto di amicizia comporta la gratuità. Tra amici c’è la gioia di fare qualcosa per l’altro. Spesso noi sentiamo il bisogno di sdebitarci, ma questo rovina il rapporto perché toglie la gratuità.
Gesù ci libera dal rischio di vivere la relazione con Dio come l’amore per un padrone. Ci chiede di stare nella relazione con lui da amici e non da servi. Dio non è un padrone, ma uno che desidera rispondere al nostro desiderio di sentirci voluti bene. Dio non è un’idea di cui essere schiavi, Dio è relazione in cui sentirsi amati.
Nel nostro rapporto d’amore non dobbiamo partire dal nostro sforzo ma dal suo dono: “Non voi avete scelto, me, io ho scelto voi”. Partiamo dalla coscienza che Lui ci ha già scelti, si è già messo in gioco per noi.
Non abbiate paura ad aprire il vostro cuore all’amore di Dio.