Quando si mettono gli ultimi al primo posto

Ragionare a partire dagli ultimi (Mt 20,1-16)

“Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.

Ci è sempre difficile capire il modo di agire di Dio. Esso è infinitamente più grande del nostro modo di pensare, considera il passato, il presente e il futuro, conosce il pensiero e le necessità di ogni uomo e per tutti ricerca ciò che è meglio. Per realizzare questo, però, si serve di mezzi che per noi, chiusi nella nostra piccolezza di esseri umani, limitati dai nostri desideri, dal nostro orgoglio, dal nostro egoismo, sembrano strani e a volte sbagliati.

Per aiutarci a capire e superare queste nostre limitazioni Gesù oggi ci racconta questa parabola, una parabola molto difficile da accettare. Penso che molti Cristiani, e forse anche molti di voi pensano che Gesù abbia agito in modo ingiusto contro gli operai della prima ora, e forse ci sentiamo in diritto di rimproverare a Gesù di andare contro i principi più basilari della giustizia.

Perché Gesù racconta questa storia? Perché poco prima Pietro gli aveva chiesto: “Noi che abbiamo lasciato ogni cosa per te, cosa avremo in cambio?” è il tema del “Salario”, tema molto dibattuto anche oggi. Che paga ci darà Gesù alla fine? Userà giustizia? Che tipo di giustizia? Noi vogliamo in qualche modo fare un contratto con Dio per mettere la mani avanti.

Cerchiamo di capire il racconto.

Ci troviamo in una società contadina, è giunto il tempo della vendemmia e tutti coloro che hanno delle vigne sono preoccupati di fare il lavoro presto e bene per avere il migliore risultato. Il padrone arriva sulla piazza del mercato presto al mattino, si deve essere alzato almeno alle 4 per preparare tutto in tempo. Avrebbe potuto mandare uno dei suoi collaboratori, invece va di persona perché i suoi collaboratori li vuole scegliere lui. Però, c’è una cosa strana: non va solo alle 6 del mattino, ma ci va di nuovo altre quattro volte, Ai primi operai fa un contratto formale con una paga giusta: un denaro, Questa era la paga ordinario per un giorno di lavoro ed era sufficiente per coprire i bisogni della famiglia per quel giorno. Agli operai dei turni successivi si limita a promettere un ricompenso congruo, promessa accettabile, visto che hanno iniziato a lavorare tardi.

Fin qui niente di strano, ma cerchiamo di capire il valore simbolico del racconto. In tutto l’Antico Testamento, la vigna è il simbolo del popolo di Israele. Ci sono tantissimi riferimenti a questo simbolo, basti ricordare il passaggio del libro di Isaia al capitolo 5 dove si dice che Dio pianta una vigna in Israele e che questa vigna, invece di dare frutti gustosi produce solo uva aspra. Per trasposizione, ora la vigna siamo noi cristiani. L’uva è il frutto che dà il vino. Se da una parte la bibbia condanna l’ubriachezza, dall’altra il vino indica sempre la festa, la gioia; i banchetti di nozze sono sempre pieni di vino, anche quello delle nozze tra Dio e il suo popolo. Vi ricordate che a Cana il banchetto rischiava di fallire perché non c’era più vino. Non è una cosa indispensabile per vivere come l’acqua, ma è segno della gratuità e dell’amore.

Dio è il vignaiolo e vuole che la sua vigna produca frutti abbondanti di gioia e di amore per tutti.

Infine si parla di paga. Abbiamo già detto come funzionava. Si lavorava dal sorgere del sole al tramonto ed era obbligatorio pagare gli operai prima che si facesse buio perché dovevano andare a comprare le cose necessarie per la loro famiglia. Ma qui c’è un fatto strano: Alcuni arrivano a lavorare solo alle cinque di sera, solo un’ora prima della fine. Ci possono essere solo due possibilità: o sono degli scarti, cioè nessuno li ha voluti assumere perché sono dei buoni a nulla, oppure quando il fattore era venuto a cercarli essi erano all’osteria a godersela per non lavorare troppo: dei lazzaroni.

Arriva il momento della paga; il padrone è contento perché è stato fatto un buon lavoro. Noi come pagheremmo? Dai primi fino agli ultimi in base alla quantità di ore fatte; il computer ci permette di calcolare le cose fino al centesimo. Gesù agisce in un modo diverso. Se decideva di essere generoso, avrebbe dovuto farlo di nascosto per non offendere i primi, che oltretutto, dopo aver lavorato dodici ore sotto il sole, devono star lì in piedi ad aspettare e vedersi tutta la scena della paga degli altri. Il comportamento di Gesù sembra favorire i fannulloni e gli scrocconi.

Chi sono questi bravi operai che dopo aver lavorato sodo ora si lamentano? Sono i Farisei osservanti, ma ora siamo noi cristiani devoti che abbiamo sempre seguito tutte le regole, ogni sera abbiamo detto le nostre preghiere compiacendoci di tutte le cose buone che abbiamo fatto e pregustando il premio che ci attenderà. Chi agisce così non comprende perché mai chi è arrivato tardi si goda gli stessi favori. Vi ricordate il fratello maggiore della parabola del Figliol prodigo che si lamenta della festa fatta per il fratello minore e si rifiuta di entrare?

Il problema più grosso non è la bontà di Dio, ma l’invidia e l’orgoglio che ci sono dentro queste persone e che non le lasciano gioire del fatto che Dio sia generoso con qualcun altro. Se il padrone avesse pagato gli altri operai pochi centesimi, essi sarebbero stati contenti del loro Denaro, quindi il problema non è nella paga ma nel sentirsi paragonati agli altri, anzi, quasi imbrogliati da loro. Inconsciamente essi pensano che chi ha conosciuto tardi Dio sia il fortunato, perché ha potuto godersi la vita, loro, invece, sono tristi perché hanno dovuto faticare, sacrificarsi per guadagnarsi la felicità finale. Quindi la loro visione di Dio e della religione è che è una cosa triste, quasi una punizione. Questa è la falsa giustizia che spesso anche noi abbiamo in mente.

Non possiamo obbligare Dio a pensare come noi. Lui ha voluto essere generoso con gli altri, gli ultimi, i meno fortunati, coloro che hanno trovato lavoro solo alla fine, ma hanno, come tutti gli altri una famiglia da mantenere, cibo da comperare o affitto da pagare.

Possiamo considerare un errore o un peccato l’essere generosi? La nostra non è una religione di meriti, nella meritocrazia non c’è spazio per l’amore. Molti cristiani non hanno ancora capito che il vangelo non è un castigo, una serie di doveri da compiere, ma un tesoro, una serie di doni preziosi; è stata una fortuna averlo capito subito e accolto subito, abbiamo potuto godercelo di più.

Per troppo tempo abbiamo presentato la nostra religione come una cosa triste, allora molti se ne sono andati. Le nostre celebrazioni sono noiose, affrettate, stanche, o esagerate. Non sono una festa ma un obbligo da assolvere. Chi vuol sentirsi libero se ne va e la chiesa resta semi vuota.

Gesù ci vuole vedere felici; dovremmo dire ogni giorno: “Che bello aver incontrato il Signore fin dall’inizio, essere nato in una famiglia cristiana, aver potuto lavorare al suo servizio. Ho una vita bella e sono contento di aver vissuto così”.

C’è chi, a questa convinzione, ci arriva in fanciullezza, chi in giovinezza, chi, invece vi arriva da adulto o magari anche da anziano, e il mio atteggiamento verso di loro dovrebbe essere quello di dire: “Che bello che anche tu, finalmente, sei arrivato a partecipare alla festa con noi”, e loro, di risposta dovrebbero dire: “Che peccato che siamo arrivati tardi, chissà quante belle cose ci siamo persi”. Il peccato non è una fortuna, è una perdita.

Gesù, oggi, con le sue parole, demolisce definitivamente la religione dei meriti, dei musoni, di coloro che si crogiolano nella loro falsa pietà.

La parabola non è conclusa, non ci dice cosa rispondono gli operai della prima ora, se accettano la logica del padrone o si limitano a prendere la paga e andarsene scontenti. Era successo così anche nella parabola del Figlio maggiore, non si sa se è entrato alla festa o no. Tocca a noi dare la risposta, perché la maggior parte di noi fa parte di questo primo gruppo.

Quanto è difficile accettare la logica di Dio; alla fine i Farisei preferiscono mettere in croce Cristo per farlo tacere, invece di convertirsi.

Facciamo attenzione alle piccole occasioni che ogni giorno ci si presentano per amare gli altri e alla fine della giornata chiediamoci: “Oggi quante volte ho amato Dio e quante volte l’ho crocifisso?”

Quando penso alla mia vita da Cristiano, mi sento contento o insoddisfatto?

Rischiamo di rovinarci la festa e la possibilità di essere felici.

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