Perdono è amore

 

Il desiderio di salvare il fratello (Mt 18,15-20)

Spero che con tutte le volte che avete letto i miei commenti, siate riusciti a capire che per cogliere il messaggio di Gesù nella sua verità, è necessario mettere ogni brano nel suo contesto giusto. Quando si prendono frasi da sole si rischia sempre di cadere in errore. Ne è un esempio il brano di oggi.

La liturgia ha le sue regole di tempo, lunghezza, eccetera, quindi sceglie brani brevi ma significativi, però noi dobbiamo ricordarci da dove questi brani sono presi.

Se prendiamo il vangelo così come lo abbiamo sentito, ci viene spontaneo pensare che parli della correzione fraterna. Se vedi uno che fa un errore, correggilo da solo, per non fargli fare brutta figura, se non ti ascolta chiama un testimone, poi l’intera comunità, se rifiuta ancora allora lascialo perdere, ignoralo come si fa con i peccatori o i pagani; tu hai fatto la tua parte, ora se va all’inferno è colpa sua. Sembra una spiegazione logica e facile. Ma forse non è ciò che intendeva Gesù.

Siamo all’interno del capitolo 18, e subito prima di questo branetto c’è la frase: “Se un pastore ha 100 pecore e ne perde una, non lascia forse le 99 e va in cerca di quella perduta? Così il Padre vuole che nessuno si perda dei suoi”. Poi viene il nostro brano, e poi, c’è la frase di Pietro, che avendo sentito l’invito di Gesù dice: Allora bisogna perdonare anche i peccatori?, Ma quante volte? Fino a sette? E Gesù risponde: non sette ma settanta volte sette.

Come possiamo mettere d’accordo queste due frasi con la spiegazione che avevamo dato poco fa di allontanare o evitare i peccatori? C’è contraddizione tra le parole di Gesù? E ricordiamoci: non si tratta di frasi distanti tra loro o dette in contesti diversi, sono parte dello stesso discorso.

Per trovare una risposta al nostro dilemma dobbiamo chiarire un paio di cose. Prima di tutto nel parlare Gesù non dice: Se una persona …, ma dice “Se un tuo fratello”. L’altro, il peccatore, non mi è estraneo, è mio fratello, devo prendermi cura di lui. Se pensiamo a queste frasi alla luce di quanto affermato nel discorso della montagna al capitolo 5, dove Gesù diceva che al fratello non si può neanche dire stupido o pazzo, ma bisogna amare tutti, compresi i nemici, capite che forse l’intenzione di Gesù era ben diversa da quella che avevamo pensato all’inizio.

Un secondo aspetto da chiarire riguarda il peccato. Noi siamo abituati a vedere il peccato come un’offesa fatta a Dio, come se chi fa un peccato, di per sé ci guadagna, ma siccome offende Dio e gli disobbedisce, allora va punito. Questa è una concezione sbagliata del peccato. con i nostri peccati noi non feriamo Dio; Lui soffre, non perché è stato toccato direttamente, ma perché chi pecca è un suo figlio amato che si sta allontanando, che sta facendo del male a se stesso e Lui in qualche modo deve recuperarlo. Chi pecca, dunque, non fa del male a Dio, ma a se stesso. Sembra che umanamente parlando chi pecca ci guadagni, perché ne ha ricavato tanto piacere fisico (basti pensare ad una disobbedienza per fare i propri comodi, una mangiata esagerata, una ubriacatura, una rapina, un’orgia sessuale), ma quanti aspetti sono distrutti in lui da questi atti, la salute, le amicizie, le virtù, l’integrità, eccetera. Al lungo andare il suo peccato, non solo non lo soddisfa, ma lo porta a rovina. Dio non castiga, è il peccato stesso che castiga chi lo commette; Dio perdona perché ama tutti e cerca il modo di recuperare tutti. Come? Principalmente in due modi. Prima di tutto attraverso la sua Parola che continuamente sta davanti a noi per indicarci la strada giusta, e poi attraverso la carità esercitata da noi, suoi altri fratelli, strumenti dell’amore di Dio per lui.

Questa è la prospettiva nella quale dobbiamo leggere il vangelo di oggi.

Ecco allora la gradualità dell’intervento presentataci nel brano letto.

Se uno commette degli sbagli, prima di tutto prendilo a tu per tu e parlagli da fratello. Di solito,  quando uno sbaglia, la prima cosa che noi facciamo è di andare a dirlo a tutti. Questo è l’atteggiamento più sbagliato e meno cristiano. Ci piace parlare degli sbagli degli altri, ma questo spesso rovina la possibilità migliore di recupero, perché il fratello si vede attaccato e umiliato, allora si chiude e si mette sulle difensive, e spesso si radica nel suo peccato proprio per reazione alla nostra mancanza di amore. Ognuno cerca l’amore, se non me lo danno i miei fratelli lo cerco nella bottiglia o nel denaro o da qualche altra parte. Chiaramente il dialogo personale è una cosa molto difficile e delicata; spesso invece di ponderare le parole usiamo un tono da giudici, da superiori o da sapienti; anche in questo caso l’altro non si sente attirato, ma fugge più lontano. È sempre utile chiedersi: “Se fossi io al suo posto, come vorrei essere aiutato? Come vorrei che si comportassero con me? Cosa vorrei che mi dicessero?”

Mettiamo il caso che, nonostante tutti i miei sforzi lui rifiuti l’aiuto, allora posso chiamare una o due persone; forse loro sanno essere più amorevoli, più diplomatici. Ricordiamoci però che l’intenzione nostra è sempre quella di recuperare il fratello non di sottolineare i suoi errori.

C’è poi il terzo passo, quello che coinvolge la comunità. Attenzione! Non ha detto: “la società” e tanto meno “il tribunale”. Gesù ha usato la parola comunità, il luogo dove viviamo in comunione amandoci e aiutandoci a vicenda, condividendo lo stesso ideale che è quello di seguire Cristo e di imitarlo.

Infine arriva il caso in cui lui rifiuti anche questa possibilità; allora Gesù dice: “Trattatelo come un peccatore o un pagano”. Cosa intende dire? Basta chiedersi: Come trattava Gesù i peccatori e i pagani?

Se vi ricordate bene, Gesù era accusato di andare spesso a cena dai pubblicani, di aver perdonato l’adultera, di aver permesso alla peccatrice di lavargli i piedi e baciarli. Lui poi aveva portato i discepoli a incontrare i pagani, aveva lodato la donna Cananea e il Centurione Romano per la loro fede. Aveva detto: “Io ho altre pecore che non sono di questo ovile, a tutte io sono stato mandato”.

Dire di trattare come un peccatore chi rifiuta la nostra correzione, vuol dire di continuare ad amarlo, ma di un amore diverso, più intenso, senza interesse, cioè senza pretendere che lui ti accolga o ti ripaghi. Essi, sono i più lontani dall’amore, e quindi quelli che ne hanno più bisogno; “Solo l’amore salverà il mondo”.

Permettetemi una nota orionina. Il Papa di Don Orione fu San Pio X, a cui lui era legato in modo speciale e dal quale era molto stimato. Pio X, nella sua lotta al modernismo, aveva scomunicato varie persone ed altre erano state messe in guardia. Ebbene Don Orione fu amico di molte di esse, intratteneva con essi corrispondenza e, nonostante che fossero scomunicati, cioè cacciati fuori dalla Chiesa, lui li accolse nelle sue case. Molti di essi riuscì anche a recuperarli, cioè a farli rientrare nella comunione con Roma.

Ma questo è difficile! Chi riesce ad amare in questo modo? La soluzione è la preghiera, ma la preghiera comunitaria. “Dove due o più si metteranno d’accordo nel chiedere qualcosa nel mio nome, il padre mio lo concederà”.

Perché la preghiera comunitaria? Per 2 ragioni.

Prima di tutto c’è da dire che se l’argomento centrale è l’amore, cioè l’essere in comunione con Dio e poter sperimentare il suo amore, allora l’amore lo si manifesta in modo più vero e concreto quando si è in comunità. L’amore non può essere solitario, per amare bisogna essere almeno in due. Il pregare assieme vuol dire essere in armonia, condividere l’ideale, il desiderio, mettere già in pratica l’amore. Inoltre la comunità rispecchia la Trinità che dell’Amore è la sorgente inesauribile. In essa si superano tutte le differenze e le divergenze e quindi solo in essa c’è la possibilità di recuperare il fratello perduto.

C’è poi un aspetto psicologico da non sottovalutare. Pregando assieme agli altri mi prendo un impegno, di fronte a loro, di praticare quello che chiedo. Sarò più incoraggiato a continuare nel mio sforzo di riconciliazione, nel dare opportunità di accoglienza, esempio di amore, eccetera. Nella vita spirituale è facile scoraggiarsi, rinunciare, gettare la spugna; quando si è sostenuti dalla comunità si ritrovano nuove energie per ricominciare e continuare.

È chiaro che pregare insieme non vuol semplicemente dire: “essere seduti uno a fianco dell’altro”, o “dire le stesse parole”; Pregare insieme vuol dire desiderare le stesse cose, cioè che la volontà di Dio si compia in tutti noi.

Volete davvero fare dei cambiamenti nella vostra vita, volete davvero diventare capaci di perdonare chi sbaglia, di aiutare chi ha bisogno, di amare anche chi vi è lontano? Cercate di conoscere meglio Gesù, di fare vostro il suo modo di pensare, di imitare il suo modo di agire.

Quindi la preghiera e la lettura della Parola di Dio diventano momenti in cui impariamo qual’è la volontà di Dio e come metterla in pratica.

 

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