Una traversata difficile: verso dove?

Una traversata difficile: verso dove? (Mt 14,22-33)

Il miracolo che viene descritto oggi, in sé sarebbe inutile: camminare sull’acqua non serve a nessuno, non ci sono malati guariti né morti risorti, né affamati sfamati.

Dobbiamo ricordarci che i miracoli di Gesù non sono mai solamente per fare del bene a chi ne ha bisogno, ma hanno sempre anche un carattere didattico: Gesù si serve di essi per istruire la gente, e soprattutto i suoi discepoli, circa la realtà del Regno di Dio, cioè in cosa consista il nuovo modo di vivere che lui è venuto ad insegnare al mondo. Questo insegnamento, essendo Parola di Dio ispirata, ha sempre una triplice portata: Prima di tutto serve ai discepoli per conoscere meglio Gesù (volontà di Gesù), poi serve ai discepoli dell’evangelista per i quali il Vangelo è stato scritto e stanno imparando cosa voglia dire essere cristiani (volontà dell’evangelista), infine serve a tutti i cristiani di tutti i tempi e luoghi come messaggio di salvezza e conversione (volontà dello Spirito Santo).

Veniamo al brano di oggi, che in questa triplice prospettiva assume un significato molto profondo.

Il brano inizia con un verbo strano: Gesù “costrinse” gli apostoli a precederlo in barca all’altra riva. Perché questo verbo che sembra sottintendere che gli Apostoli non vogliano andare, come se avessero paura?

Ai loro occhi, il fatto che li mandi avanti da soli sembra essere un nuovo invio in missione. È vero che già una volta li aveva mandati avanti a sé nei villaggi ed era stata un’esperienza molto bella, ma questa volta l’impegno è più rischioso e impegnativo. Non si tratta solo di andare a predicare l’arrivo di Gesù, si tratta piuttosto di portare tutti quegli insegnamenti che negli ultimi episodi hanno appreso: l’umiltà, la condivisione, l’opposizione delle autorità religiose locali. 

Io mi chiedo: era appena terminato il miracolo della moltiplicazione del pane e si dice chiaramente che ne erano avanzate 12 ceste piene, una per ognuno di loro, e sappiamo che questo pane è già una prefigurazione dell’Eucarestia e dell’impegno di farsi cibo per gli altri. Dove sono finite queste ceste? Chiaramente le staranno portando con loro, quindi non vanno solo ad annunciare ma a portare se stessi come messaggio di vita.

Partono da soli mentre Gesù sale sul monte a pregare. Sappiamo bene che buona parte di questi apostoli erano pescatori e quindi esperti di navigazione, tante volte avranno sperimentato un mare tempestoso e onde alte e forti. Chiaramente il richiamo fatto nel racconto, almeno da parte dell’evangelista è che questa traversata rappresenta anche molte traversate che noi dobbiamo fare nella vita. Nella bibbia, varie volte si parla del mare tempestoso come simbolo del male e della morte, dove le onde violente sono le prove della vita e il vento forte l’opposizione della società. La barca, invece, sta a rappresentare la Chiesa il cui timoniere è Pietro. Quindi ci è lecito fare una lettura spirituale di tale episodio. Tante volte ci imbarchiamo in propositi o progetti, belli e di carità, progetti legati alle nostre opere o alla parrocchia o comunque a favore di poveri. Spesso siamo partiti con entusiasmo, altre volte con un po’ di timore. Lungo la strada, occupati dalle cose materiali e concrete, ci dimentichiamo di Dio, cominciamo a remare con le sole forze umane, e allora tutto sembra più difficile, ostile. Senza di Lui i discepoli si sentivano soli e nell’oscurità, disorientati, e noi, in quelle occasioni, facciamo l’esperienza del silenzio di Dio. Sembra che Lui ci abbia abbandonato e allora ci chiediamo se gli sforzi che facciamo per essere fedeli al mandato di costruire un mondo nuovo abbiano ancora senso, di fronte a tutta la violenza di un mondo che la pensa in maniera opposta, e sembra essere sempre più forte. La barca, cioè la comunità, la Chiesa stessa, è agitata dalle onde, messa alla prova dalla mondanità di cui parla Francesco. Ci sono anche difficoltà dentro la Chiesa, non solo fuori, come gli scandali, certe attitudini sbagliate di chi ha autorità in essa, eccetera. C’è poi il vento contrario che impedisce loro di procedere, il vento della secolarizzazione.

Ecco che verso la fine della notte Gesù arriva camminando sulle onde del mare. Abbiamo detto che il mare è il simbolo della morte, come un mostro pronto ad ingoiare tutti, ma Gesù non lo può ingoiare perché Lui ha vinto la morte.

Al vederlo, i discepoli si spaventano, perché non lo riconoscono, credono di avere a che fare con un fantasma. È la situazione delle comunità cristiane che si sono dimenticate della promessa che Gesù aveva fatto: io sarò con voi fino alla fine del mondo; lo hanno dimenticato perché non hanno capito che lui si presenta ogni volta in un modo diverso, loro non lo sanno riconoscere. Accade così anche dopo la risurrezione, lo vedono e non lo riconoscono. Non è facile rendersi conto della presenza del risorto quando si vive in un mondo di morte. Spesso anche per noi Cristo è un fantasma, cioè non lo riconosciamo, e spesso, quando dobbiamo fare delle scelte importanti per la vita, non lo consideriamo presente.

Qualcuno, rappresentato da Pietro, ha un po’ più di fede e si chiede: Non potrà forse comunicare anche a noi quella vita divina perché non veniamo inghiottiti dalla morte? Matteo è l’unico evangelista che narra questo particolare del dialogo tra Pietro e Gesù.

Di per sé la domanda di Pietro è un po’ strana, specialmente se fatta da lui che è un nuotatore provetto. Si può fare se accettiamo di fare come lui ha fatto, fare la scelta della vita. Pietro ci prova e fin che tiene gli occhi fissi sul maestro riesce a camminare in mezzo alle onde, ma quando comincia a dubitare, comincia ad avere paura nel donare la vita, comincia a pensare solo al lato umano delle scelte, allora affonda, e rischia di perdere veramente la vita. Noi non siamo diversi da Pietro. Crediamo che la nostra buona volontà e la nostra generosità possano risolvere le tempeste che attraversiamo. Ma questo funziona soltanto all’inizio; man mano che andiamo avanti, la nostra generosità ci tradisce, ci abbandona, e la nostra disperazione si rivela. Il dubbio che ci assale non è che Gesù non sia l’uomo riuscito, o che la sua scelta non sia bella, il dubbio è se io ne sono capace, se ho la forza di arrivare fino in fondo, se so stare senza tutte le comodità del mondo. Questa è la poca fede, il coraggio di lasciar andare la vita vecchia per rivestirmi della vita nuova. All’inizio pensiamo di avere fiducia; ma quando arriviamo al punto in cui tutto naufraga, Dio ci toglie le illusioni. Questo è il momento in cui possiamo scoprire che gli avvenimenti che ci hanno travolti sono stati il mezzo per spingerci a fidarci di Gesù. Questi momenti di disperazione sono una grazia perché non possiamo trovare Dio senza gridare verso di lui dal profondo del nostro cuore. Beati noi se accetteremo di immergerci in questa disperazione per gridare verso Gesù.

Penso che quella descritta oggi nel vangelo sia una delle più belle preghiere fatte da San Pietro: “Signore salvami”, poche parole che dicono tutto.

Quando poi lasciamo entrare Gesù sulla barca della nostra vita, allora le onde si calmano e il viaggio prosegue tranquillo e spedito verso la meta.

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