Com'è la vita eterna?
La moglie dei 7 fratelli e la
risurrezione dei morti. Lc 20,27-38
L’enigma della morte è angosciante. Che
risposta dare? L’uomo in sé non si rassegna alla vita che finisce, lui vuole
trattenerla. Nella vita abbiamo tanti sogni, speranze, tante realizzazioni, ma
poi tutto sembra interrompersi a causa della morte. La scienza e la tecnologia
sono riuscite ad aumentare di molto la durata della vita e allora qualcuno si
illude che si arriverà anche all’immortalità, ma sappiamo bene che questo non
accadrà mai. L’uomo è l’unico degli animali che sa che la sua vita ha un inizio
e una fine. Che senso ha continuare a far nascere delle persone per poi
consegnarle irrimediabilmente alla morte? E che senso ha un Dio che crea l’uomo
per la vita ma poi lo condanna alla morte?
Questi sono interrogativi che hanno afflitto le
persone di tutti i tempi e a cui le varie culture hanno dato risposte in modi diversi.
Cosa pensavano gli Ebrei? Durante tutta l’epoca dell’Antico testamento la
credenza comune era che tutto finisse con la morte. Circa 150 anni prima di
Cristo erano sorte delle correnti che ritenevano che se Dio esiste, non poteva
permettere che giusti e peccatori terminassero i loro giorni nello stesso modo,
dato che spesso, qui in terra, i peccatori erano i più fortunati (ricchi,
potenti). Allora essi avevano cominciato a pensare che dopo la morte Dio
avrebbe fatto risorgere i giusti inviandoli a una seconda vita materiale, del
tutto simile alla prima, ma in un mondo perfetto, cioè senza sofferenze,
malattie, peccato. E i malvagi? Qualcuno era arrivato a teorizzare un mondo
alternativo, lo Sheòl, l’inferno, per i peccatori. Al tempo di Gesù erano pochi
quelli che accettavano questa teoria, tra loro i Farisei; vi era invece la
categoria dei Sadducei, che rappresentavano la classe ricca, e tra loro tutti i
sacerdoti del tempio, che predicava che non esisteva alcun aldilà: la
ricompensa di Dio avveniva in questa vita. Sei ricco? È perché il Signore ti
benedice; sei povero o malato? Di sicuro hai fatto qualche peccato e Dio ti sta
punendo. Allora i sacerdoti non credevano alla resurrezione? Esatto. Essi erano
dei funzionari del sacro ed erano pagati per questo. A cosa servivano le
preghiere e i sacrifici fatti al tempio? A far andare bene la vita corrente: la
salute, i raccolti, il clima, ecc. Erano razionalisti e credevano solo al
tangibile. Essi accettavano solo la Torah e per loro in questi 5 libri non c’è
alcun accenno a un'altra vita.
Il vangelo di oggi presenta esattamente la
disputa su questo pensiero. I Sadducei del vangelo di oggi sono convinti che
Gesù la pensi come i Farisei, allora gli si avvicinano in modo gentile ma furbo
per ridicolizzarlo. Allo scopo inventano una storia che faccia vedere la
contraddizione in cui cade chi crede alla vita eterna. Questa storia si basa su una prassi dei tempi di Gesù legata ai decreti di Mosè: Se un
uomo muore senza eredi, la sua vedova deve andare in moglie al fratello più
prossimo. Questa legge serviva a un duplice scopo: ogni famiglia deve continuare attraverso una discendenza, naturalmente
maschile, e inoltre nessuna donna, appunto perché donna, dovrebbe stare sola,
deve sempre essere sotto la protezione/controllo o del padre, o del marito, o
del figlio. Se i farisei avevano ragione e dopo la morte si continua a vivere la vita di
prima, anche se in un altro mondo, allora come risolvere questo conflitto? Me la immagino la scena che sarà passata dalla testa di quei Sadducei: “è
mia moglie, no è la mia, ecc.”. Il ragionamento è inattaccabile. Ma Gesù la pensa in modo diverso.
In questi giorni ci siamo recati al cimitero, abbiamo posto fiori e
pregato sulla tomba dei nostri cari, ne sentiamo la mancanza. Da buoni
cristiani diciamo che ora essi vivono nella felicità eterna con Cristo, ma ci
crediamo davvero? Cos’è questa vita eterna che almeno a parole professiamo?
Bisogna che abbiamo le idee chiare perché dalla risposta a questa domanda
dipende molto il modo in cui impostiamo la nostra vita quotidiana.
Ma torniamo a Gesù. Come la pensa Lui? Prima
di tutto presenta un principio basilare: la vita è una, sì, ma ha due fasi, due
realtà ben distinte. Non si tratta, come dicevano i Farisei, di due momenti
uguali nella natura ma semplicemente vissuti in due mondi diversi. Le due
realtà sono distinte anche nella natura in cui si realizzano. In quella presente
predomina la materialità con tutte le sue conseguenze; si nasce, si cresce, ci
si ammala, ci si sposa e si fanno figli, ecc. Siamo legati al tempo che passa,
al luogo in cui viviamo, ecc. Ogni momento è come un morire e rinascere nel
senso che qualcosa di noi finisce e qualcosa rinasce. Questo continuo
cambiamento non cambia la nostra essenza ma il modo in cui essa si manifesta. C’è
poi la realtà futura che non è la riedizione migliorata di quella precedente,
ma ne è la continuazione glorificata. Lì la materialità perde il suo valore,
non siamo più legati al passare del tempo e alla limitazione del luogo, per cui
non ci sono più cambiamenti, abbiamo raggiunto la perfezione e, di conseguenza,
non si può più morire. Sua caratteristica principale è che viviamo la vita
stessa di Dio e in Dio troviamo il senso di tutto. La conclusione della vita
biologica non interrompe la “Vita” ma gli fa fare il salto di qualità, cioè non
sono dei morti che risorgono ma dei vivi che entrano nella nuova vita. Avevano
ragione i nostri antichi che chiamavano la morte: “Dies Natalis”.
Spesso noi siamo un po’ come i farisei e ci
illudiamo che la continuità sia data dalle cose contingenti. Per Gesù questa
vita è una gestazione per una nuova nascita che sarà quella definitiva. L’uomo non
è in grado di immaginare come sarà la sua vita, la possiede già oggi, in germe,
ma come si svilupperà, quando entrerà nella nuova vita, questo non lo sa. Quello
che c’era di contingente perde valore e quello che c’era di spirituale si
allarga fino a giungere alla perfezione. Ciò che noi chiamiamo morte non è un’interruzione
ma un manifestarsi in pienezza della vita vera. Lo dice bene San Paolo nella
lettera ai Corinti: “Quelle cose che
occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha
preparato Dio per coloro che lo amano”. Qui siamo caratterizzati da molte necessità fisiche e fisiologiche che
diventano lo spazio concreto in cui possiamo conoscere Dio, il suo agire, il
suo insegnamento e il suo amore, e grazie a queste esperienze siamo in grado di
scegliere liberamente se Lo vogliamo accettare o no. Nell’aldilà non avremo più
occasione di rifare la scelta perché saremo in contatto diretto con Lui, condividendo
la pienezza del suo amore o soffrendo per la sua mancanza.
Qualche
filosofo potrebbe chiedere: Perché allora Dio non ci ha fatti definitivamente
per questa seconda vita? Perché altrimenti non saremmo noi stessi. Abbiamo
bisogno di questa gestazione che ci permette non solo di prepararci, ma anche,
attraverso l’intelligenza e la libertà, di scegliere come entrare in questa
fase finale.
La nostra preparazione in questa vita consiste nel vivere pensando sempre
a Dio, già da ora, perché Egli è già presente qui tra noi. Lui non è diverso
qui o là, siamo noi ad essere diversi. La nostra imperfezione ci permette di
scegliere liberamente sul dove vorremo vivere, ma il modo giusto di scegliere è
di servirsi dell’amore che ci permette di pregustare già qui quello che vivremo
in pienezza di là.