Il protagonismo di Giovanni


26° domenica Anno B   Mc 9, 38-48
Giovanni si presentò a Gesù e disse: “Abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito perché non era uno dei nostri”. Dove sta il problema? La frase “nel nome di” indica l’origine della forza o dell’autorità con la quale si fa qualcosa. I vari guaritori che esistevano all’epoca di Gesù, nel fare le loro guarigioni, invocavano il nome di qualcuno dei profeti del passato o magari anche di qualche divinità pagana. Si vede che, la fama di Gesù si stava diffondendo per cui qualcuno aveva pensato di invocare il suo nome. Ora noi siamo abituati a vedere Giovanni come il discepolo prediletto di Gesù, il più giovane e forse il più fedele tra i dodici, ma se guardiamo bene nel vangelo vediamo che di sicuro era una persona dal carattere un po’ focoso. Se vi ricordate quando l’evangelista fa la lista dei dodici apostoli dice che c’erano Giacomo e Giovanni chiamati figli del tuono, proprio per il loro carattere irruento. In un’occasione, mentre si trovavano a passare dalla Samaria e gli abitanti del villaggio si rifiutano di accoglierli, Giovanni chiede a Gesù: “Vuoi che invochiamo fuoco dal cielo che li distrugga?”, e in un’altra occasione la madre dei due si era recata da Gesù chiedendo che i suoi figli potessero sedere uno a sinistra e uno a destra nel suo regno. Ebbene Giovanni probabilmente soffriva di un piccolo problema, quello del Protagonismo, del voler essere al centro, del sentirsi padrone della situazione. Nel suo modo di pensare Gesù è un qualcosa di esclusivo loro: noi siamo i soli buoni, i soli capaci, guai a chi ci tocca questa prerogativa. Quando uno comincia a pensare in questo modo l’attenzione non è più posta sul lavoro, sullo scopo, ma sul suo essere al centro.
Questo è un atteggiamento che alle volte si riscontra anche nelle comunità cristiane. Ci sono persone che prese singolarmente sono molto brave, impegnate, con ottimi princìpi, ma quando sono messe in un ruolo, quando assumono una responsabilità nella struttura del gruppo o della parrocchia, diventano dei fanatici, gli unici depositari del bene: tutto deve passare attraverso di loro perché se no niente va a buon fine.
Ognuno di noi ha mozioni interiori che lo spingono. Alcune di esse ci vengono da Dio e, facendoci sentire la sua paternità, ci ispirano alla misericordia, al senso del bene, al desiderio di salvezza, eccetera. Ma ci sono anche delle mozioni che vengono dalla nostra natura umana e che se lasciate libere, senza nessuna educazione, si trasformano in gelosia, orgoglio, e tutti quegli altri vizi che conosciamo.
Spesso sono questi i “diavoli” da cui dobbiamo essere liberati e la Chiesa deve mettere in moto delle azioni per combattere il male che agisce attraverso queste tendenze. Chiunque lavora in questo senso lavora per il regno di Dio. Lo spirito di protagonismo e di esclusivismo è molto nocivo alla Chiesa e Gesù lo combatte con le sue parole, quindi continua spiegando: “Chi scandalizza uno di questi fratelli più piccoli …”
Lo scandalo è un porre un impedimento, un ostacolo. I fratelli più piccoli non sono certo i bambini, il termine greco non lascia dubbi, ma i più fragili, i più deboli, cioè quei cristiani la cui fede non è forte, la cui conoscenza non è profonda, gente che magari è alle prime armi, che vorrebbe entrare nella Chiesa ma vi trova un ostacolo: l’atteggiamento di coloro che invece di accoglierli e aiutarli li “scandalizzano”. Essi vogliono accostarsi alla fede ma vedono che i “fedeli” fanno ogni sorta di intrighi, ci sono competizioni, corsa ai primi posti; non sentono lo spirito di famiglia e di amore di cui parla il Vangelo ma rivalità e divisioni. Allora, data la fragilità della loro fede, si scoraggiano e si allontanano.
Voi mi direte: “Ma anche i Cristiani sono esseri umani con tutte le debolezze!” È vero. Ma Gesù ci ha posto come città da essere messa sul monte per essere veduta, per attirare tutte le genti, o sale per dare sapore al mondo. La gente si aspetta da noi “qualcosa” di diverso e noi dobbiamo fare del nostro meglio per dare esempio di coerenza tra quello che predichiamo in nome di Gesù e quello che pratichiamo con la nostra vita.
Per spiegare ulteriormente la sua idea, Gesù usa parole molto dure, tipiche del linguaggio semitico che usa sempre immagini forti per attirare l’attenzione sulla serietà dell’argomento.
Se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio ti conducono allo scandalo cioè ad essere di ostacolo, tagliali. Naturalmente Gesù non ci può comandare di mutilarci, ma più che agli arti o organi fisici egli si riferisce alle facoltà da essi espletate. Se il tuo agire, il tuo modo di fare (mano), se le tue scelte, la direzione verso la quale il tuo comportamento ti porta (piedi), se il tuo modo di vedere le persone, i tuoi preconcetti (occhio) diventano un ostacolo al vivere e testimoniare il comandamento dell’amore, rimuovili dalla tua vita altrimenti la tua vita non vale più niente, diventa spazzatura.
La Geenna di cui Gesù parla non è l’inferno ma la valle a sud di Gerusalemme dove venivano gettati i rifiuti della città, un luogo che per la puzza, il fumo e le immondizie ammassate e bruciate, era considerato il luogo più orribile del mondo. Ebbene la nostra vita, se non viviamo del comandamento dell’amore, serve solo ad essere gettata in questo luogo.
Il mondo di oggi con il suo permissivismo considera lecite o addirittura appetibili ogni sorta di esagerazioni, vizi e atteggiamenti contrari alla morale e al bene. Assieme ad essi ci sono il fanatismo, il protagonismo, l’autoritarismo, l’egoismo delle cosi dette “persone per bene”. I cristiani che si sforzano di vivere secondo i sani princìpi del Vangelo sono spesso derisi, considerati pazzi, stolti, monchi o castrati. Ebbene: è meglio essere considerati tali ma vivere nel giusto, che essere immondizia ambulante che finisce col trascinare anche molti altri lontano da Dio.

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