Noi siamo invitati a nozze, ma come sposi.
XVIII Domenica anno A
Gli invitati alle nozze del Figlio del Re (Mt 22,1-14)
Il vangelo di oggi
ci presenta la parabola degli invitati al banchetto delle nozze del figlio del
re. Gesù inizia il suo racconto dicendo: il regno dei cieli è simile a … Noi sappiamo
bene da altre parti del vangelo e datante altre parabole che quando Gesù parla
del regno dei cieli si riferisce alla sua presenza tra di noi o meglio al
nostro essere invitati a stare con lui. In questa parabola si legge che gli
invitati rifiutano il primo invito a partecipare al banchetto, e, ad un
ulteriore invito, alcuni rispondono inventando scuse, altri addirittura
rispondono con violenza maltrattando e uccidendo gli inviati. Questo ci ricorda
anche la parabola di domenica scorsa cioè quella dei vignaioli che si rifiutano
di condividere il raccolto col padrone e maltrattano i suoi messaggeri e
addirittura ne uccidono il figlio. Il senso di tutto questo è chiaro e i
farisei che stavano ascoltando lo hanno di sicuro compreso: Gesù sta parlando
del popolo di Israele, il popolo prescelto da Dio che in molte occasioni si è
ribellato al patto stipulato, ha maltrattato molti dei suoi profeti e alla fine
ucciderà anche Gesù, il figlio di Dio. In entrambe le parabole viene detto
chiaramente che i prediletti vengono scartati e un nuovo gruppo o nuovi
invitati sono scelti. Anche questo chiaramente si riferisce al fatto che dopo
la morte di Gesù la Chiesa si apre ai fedeli di tutte le provenienze e, di
fatto, gli Ebrei, un po’ alla volta, si autoescludono.
Questa parabola,
però, oggi è proposta a noi che, in virtù del nome “cristiani”, ci possiamo
considerare il nuovo popolo di Dio, e tanto più qui a Roma, che da duemila anni
ha preso il posto di Gerusalemme come centro della religione. Come ci
comportiamo noi riguardo all’invito che Dio ci dà di vivere con lui, di “sposarci”,
cioè condividere la vita e le scelte di Gesù?
Non diamo per
scontato di essere a posto solo perché siamo battezzati o perché frequentiamo
la Messa ogni domenica. Queste sono cose importanti ma non sono sufficienti.
Lui non vuole una relazione formale con noi ma intima, un vero matrimonio, cioè
condivisione di stile di vita e di ideali.
Il motivo per cui Gesù
fu rifiutato dai Farisei ed, eventualmente, dalla maggior parte del popolo è
perché lui predicava una religione di misericordia, di perdono dei peccatori,
di umiltà, impegno personale e servizio, mentre loro preferivano la vecchia
religione dove avevano autorità, potere, gloria, e dove Dio castigava i
peccatori e premiava i giusti. Gesù predicava pace e riconciliazione e loro
volevano un condottiero che li guidasse in una guerra contro i Romani.
E noi? Che stile di
Dio vogliamo? Quello che ci risolve tutti i problemi, quello che fa i miracoli,
quello che ascolta le nostre preghiere? Quello che si lascia comprare dalle
nostre opere buone, quello che castiga tutte le persone che ci fanno del male?
Ebbene, quello non è il Dio di Gesù. Dire che accettiamo l’invito a nozze di
Cristo vuol dire mettersi l’abito nuziale che lui ci ha preparato, noi siamo
sposi, non spettatori, e l’abito nuziale da indossare è fatto dal suo esempio
di misericordia, di attenzione agli ultimi, di perdono ai peccatori, di rifiuto
di ogni logica di potere e sfruttamento, di condivisione e fratellanza. Se
pretendiamo di entrare nel suo regno scegliendo noi il modo di vedere Dio, un
Dio che si adatta al nostro modo di vedere e porta a compimento i nostri
desideri, siamo fuori posto e verremo buttati fuori dalla sala del banchetto,
il nostro vestito stona, non è adatto.
Papa Francesco ci
ha spesso invitato a portare sempre con noi un piccolo vangelo e di leggerne di
frequente qualche frase. Questo lo dice perché un po’ alla volta, quello che
leggiamo diventi il nostro stile di vita e di pensiero. Seguiamo l’invito del
Papa. Se ci dobbiamo sposare con Cristo meglio conoscerlo bene in modo da
amarlo veramente.