La voglia di Gesù di farsi ammazzare per amore nostro


Lc 9:51-62


Se leggiamo con attenzione il Vangelo di Luca, vediamo che dopo un primo periodo in cui Gesù si dedica a tutta la gente della Galilea, predicando e compiendo miracoli, ad un certo punto cambia decisamente modo di fare e si concentra più direttamente sui dodici apostoli mentre con essi si dirige a Gerusalemme dove sa che sarà catturato e messo a morte.
Mi piace molto la piccola frase con cui si apre il vangelo di oggi. Sembrerebbe un semplice passaggio messo lì per congiungere due episodi e invece ci mostra il cuore di Cristo. “Mentre stava per compiersi il tempo della sua assunzione dal mondo, Gesù decise fermamente di andare a Gerusalemme”. Non so se vi ricordate quel passo del vangelo in cui i dodici apostoli pieni di entusiasmo, e Gesù che chiede loro: La gente chi dice che io sia? Qualcuno dice: un grande predicatore; qualcuno dice: un grande operatore di miracoli; qualcuno dice: un profeta. Gesù incalza: Ma voi chi dite che io sia? E Pietro afferma: tu sei il Messia mandato da Dio. Siamo in un momento alto di entusiasmo. Gesù capisce il pericolo che corre tra i suoi discepoli, quello di lasciarsi trascinare dalla tentazione del potere e allora specifica bene che nel piano di Dio, essere il Messia, vuol dire andare a Gerusalemme, essere catturato, messo a morte e poi risorgere. Detto questo invita gli apostoli a seguirlo prendendo la loro croce e lasciando da parte ogni sogno di gloria altrimenti la loro vita sarà sprecata.

E’ interessante vedere questo avverbio “decisamente”. L’Evangelista ci sta dicendo che Gesù sapeva cosa gli sarebbe capitato a Gerusalemme ma non fugge, anzi si dirige là con decisione. Diventa una sua scelta, lui accetta di essere catturato e ucciso. Vediamo che da questo momento non solo la sua predicazione, ma anche l’apostolato dei dodici è imperniato sulla morte di Cristo. Solo attraverso l’accettazione dello scandalo della morte di Cristo i dodici saranno capaci di accettare la povertà e le rinunce richieste da Gesù, il modo di mettere in pratica il comandamento dell’amore, l’accettare le sconfitte e le disillusioni nel non essere accettati dalla gente.
Ora capite il significato della frase iniziale: Gesù, sapendo che era giunta l’ora di lasciare il mondo, decise con forza, con desiderio, con risolutezza, di scendere a Gerusalemme. Sta andando a farsi uccidere, e ci va con desiderio, non il desiderio di un suicida, e neanche quello di un maniaco, ma di chi abbraccia in pieno la volontà del Padre suo, costi quel che costi. Quanto aveva detto agli apostoli circa prendere la croce ora diventa pratica.
Lungo il cammino abbiamo un primo episodio di rifiuto da parte della gente. Vi ricordate che fino a qualche momento fa la gente accorreva a lui a migliaia, voleva farlo diventare re. Questo era ciò che aveva reso gli apostoli entusiasti, ma ora alcuni samaritani si rifiutano di farlo entrare nel villaggio perché sanno che sta andando a Gerusalemme. Qui bisogna sottolineare che storicamente i Samaritani erano contrari al fatto di dover scendere a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, loro avevano il loro luogo di culto sul monte Garizim. Ma l’episodio del rifiuto messo proprio in questo punto del vangelo e la sottolineatura del viaggio verso Gerusalemme, ha senza dubbio un significato più profondo di quello della diatriba politico/religiosa tra Giudei e Samaritani. Abbiamo letto sopra che Gesù decise risolutamente di andare a Gerusalemme a morire e ora dice che la gente lo rifiuta perché sapevano che voleva andare a Gerusalemme. Nella mente di Luca c’è il rifiuto di tanti bravi credenti che non sanno accettare il discorso della croce, della sconfitta, della debolezza, dell’umiltà. Se lui si fosse presentato facendo dei miracoli, di sicuro lo avrebbero fatto entrare. È duro anche per noi cristiani di oggi accettare che la nostra non è la religione della forza, del potere. Chi tra voi ha qualche anno in più si ricorderà, magari con nostalgia, i bei tempi della nostra fanciullezza dove la maggioranza della gente correva alla Chiesa, il prete era venerato e seguito, nessuno si permetteva di parlare male dei Cristiani. Ora, invece, i praticanti sono pochi, le chiese sono semi-vuote, la società, i giornali, i politici attaccano in continuazione la Chiesa e i valori cristiani e molti ridono del nostro modo di pensare e di agire. Siamo diventati minoranza. Questo spesso ci scoraggia, ma Gesù ci sta mostrando che dovrebbe essere vero il contrario: Lui si incammina risolutamente sulla via di Gerusalemme. I discepoli, che pure stanno viaggiando sulla stessa strada, sono ancora ripieni di orgoglio e vorrebbero mostrare la loro forza mandando un fuoco che distrugga gli eretici samaritani ma Gesù li rimprovera e dice loro semplicemente: andiamo in un altro villaggio.
Cari fratelli e sorelle, è difficile per noi accettare che Cristo abbia dovuto soffrire e morire per salvarci, ma se non lo accettiamo e non ne seguiamo l’esempio non possiamo dirci veramente cristiani; quindi  questo non è il momento di scoraggiarsi ma di lanciarsi con più entusiasmo e gioia nel vivere a fondo la nostra fede perché l’essere pochi o l’essere oggetto di scherno non indica che siamo nell’errore, anzi, indica che siamo sulla strada giusta, quella che passa dal Calvario e che finisce al sepolcro vuoto.
È interessante il fatto che Luca inserisce proprio qui il discorso vocazionale. Qualcuno è già con Gesù, qualcuno si avvicina spontaneamente a Lui, qualcuno è invece chiamato direttamente da Lui. A tutti, indistintamente, il Signore propone la radicalità della vita e della chiamata cristiana. Notate bene che le tre cose che queste persone richiedono a Gesù non sono per niente sbagliate, anzi fanno parte dei doveri di ogni persona per bene: Avere una casa in cui rifugiarsi, seppellire i propri genitori, salutare e dare rispetto ai parenti, sono il minimo di civiltà. Gesù non sta assolutamente dicendo che esse sono cose sbagliate. Quello che Gesù indica è il primato che deve avere il seguire Cristo, la sua chiamata. Nulla si deve intromettere, sminuire questo aspetto che è il fondamentale della nostra vita. Questo è un richiamo forte specialmente per noi preti e consacrati che sciegliamo il Signore, ma poi, in pratica, diamo priorità a tutti gli aspetti umani del nostro ministero. Siamo esperti di sport, di musica, siamo ottimi amministratori di scuole e ospedali (naturalmente scuole e ospedali cattolici che fanno tanto del bene), ma siamo preoccupati degli aspetti amministrativi e spesso perdiamo la capacità di servire, di essere vicini ai piccoli, ai bisognosi, di perdere tempo ad ascoltare chi ha bisogno di esprimere le sue angosce. Abbiamo tanto da fare e non abbiamo più tempo per pregare, per confessare, per preparare bene le prediche eccetera. Gli aspetti organizzativi, cioè di potere, sono attraenti, danno soddisfazione, ma sono veramente quello che il Signore vuole da noi? Non sono forse un mettere la mano all’aratro e continuare a guardare indietro, a quello che avremmo potuto fare meglio non consacrandoci a lui? Scusate questo piccolo sfogo indirizzato ai confratelli sacerdoti, ma questo vale anche per tutti voi quando vi accorgete che l’impegno per le cose normali, quotidiane, vi fa perdere il fervore della preghiera, la fiducia in Dio, la capacità di ascoltare e servire chi vive con voi.

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