Protagonisti nel grande film della Passione
La “Passione” di Gesù.
La parola Passione, in Italiano indica sofferenza, ma anche un interesse e un amore forte. Credo che non sia un errore teologico dire che durante gli ultimi momenti della sua vita, Gesù ha vissuto a fondo entrambi i significati.
Siamo arrivati al culmine della nostra riflessione quaresimale che era stata caratterizzata dalla parola Misericordia. Oggi leggendo il Vangelo della passione di Gesù abbiamo l’occasione di vedere l’espressione più alta di questa Misericordia, come essa si sia tradotta nella pratica.
Sembrerebbe poco riverente verso un testo così importante e profondo, volerne fare un commento, perché ogni singola parola di questa narrazione parla già direttamente a noi, senza bisogno di essere spiegata. Mi limito allora ad una breve riflessione sulle frasi che Gesù stesso ha detto. Forse avrete notato che nonostante il Vangelo sia stato molto lungo, Gesù rimane silenzioso tutto il tempo. Solo alla fine, dalla Croce, dice sette piccole frasi. Ricordiamoci che in quel momento Gesù sta vivendo una sofferenza molto profonda, prima di tutto da un punto di vista fisico; Ci sono le ferite inferte dalla flagellazione, dalla corona di spine, dal viaggio al Calvario portando la Croce, ed infine c’è la sofferenza causata dai chiodi che gli stanno trapassando i polsi e lo reggono al legno della Croce. Ma c’è anche la sofferenza psicologica di sapere che la sua vita sta per giungere al termine; per tutta la sua vita Lui ha beneficato la gente ed ora essi lo deridono e mettono in dubbio tutto quello che ha fatto (“ha salvato molti, salvi se stesso”); sa di essere innocente, eppure è condannato; le persone presenti lì sul Calvario non capiscono il senso di quello che sta succedendo e sembra che perfino rifiutino questa ultima offerta di amore. Ebbene, in quel frangente, Gesù esclama: “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”. La sua missione era quella di salvare i peccatori attraverso il suo amore, allora sono proprio coloro che lo stanno uccidendo che hanno più bisogno del suo perdono. Giovanni esprime lo stesso pensiero riportando un’altra frase di Gesù. Egli ci dice che ad un certo punto Gesù esclama: “Ho sete”, sete di fare la volontà del Padre e bere quel calice che nel Getsemani aveva chiesto gli fosse risparmiato; sete di quelle anime, di salvarle.
In questo momento supremo di sofferenza e di abbandono, Gesù non si chiude su se stesso per lamentarsi o per attirare la commiserazione degli altri, ma guarda chi gli sta lì a fianco per confortarlo e dargli speranza: “Oggi stesso tu sarai con me in Paradiso”. Noi chiamiamo tale persona il buon “ladrone”, per indicare che era un delinquente condannato giustamente, ma egli, proprio attraverso la sua sofferenza riconosce il suo errore e la sua indegnità, e si rivolge a Gesù con fede: “Ricordati di me quando sarai nel tuo regno”. Questo suo atteggiamento dà un senso nuovo a tutta la dottrina sul valore salvifico della sofferenza. È proprio il dolore che lo porta alla conversione, e quando lui si rende conto che al suo fianco c’è Gesù che sta soffrendo come lui e “per” lui, ha il coraggio di parlargli. La sua sofferenza diventa lo strumento della sua salvezza.
Gesù, poi, pensa non solo ai presenti, ma al futuro della Chiesa stessa, alla continuità della sua missione, e lo fa affidando i discepoli a sua Madre e la Madre ai discepoli: “Donna, ecco tuo figlio”.
Anche in quei momenti estremi, Gesù che non è chiuso in sé ma è in comando delle sue facoltà e azioni.
Matteo e Marco forniscono una presentazione un po’ diversa di questo momento supremo del dramma di Gesù come uomo. Essi riportano vari dettagli dal significato teologico e messianico importanti, ma riassumono l’intero dramma umano di Gesù nell’esclamazione: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!”. L’uomo Gesù ha raggiunto il massimo della sofferenza e della solitudine. La Fede e l’amore gli hanno permesso di accettare fino in fondo la sua situazione e di offrirla per la salvezza del mondo; ora è tempo di fare l’ultimo passo, quello dell’unione completa con il Padre. Questo passo è espresso da Giovanni nella frase “Tutto è compiuto”, mentre Luca, lo esprime in maniera più emotiva e spirituale con uno sfogo che diventa la preghiera finale: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”. Non so perché, ma ogni volta che leggo questa frase, mi viene in mente il salmo che dice: “Io mi sento come un bimbo sereno in braccio alla Madre”, mi sembra di vedere Gesù che si abbandona nelle braccia amorose del Padre per trovare lì il suo “meritato” riposo. Quella è anche la nostra destinazione finale, ciò che ci può dare la forza di vivere bene i momenti di dubbio e sofferenza.
Oggi inizia la Settimana Santa e rifletteremo molto su tutti gli aspetti della morte e resurrezione di Gesù. So che tutti voi avete una profonda conoscenza dei fatti che celebriamo e assisterete con fede a tutte le cerimonie liturgiche, ma vorrei invitarvi a trovare un po’ di tempo per una preghiera personale. Durante questo tempo, cercate di ricreare graficamente nella vostra mente i vari episodi della Passione di Gesù, come un film in cui voi stessi siete presenti. Lasciate che queste immagini producano in voi emozioni forti che potrebbero essere di pietà, di tristezza, ma anche di rabbia, di paura, di angoscia. Questa è una preghiera diversa che può toccare il cuore, ispirare in voi il desiderio di fare qualche cambiamento nella vostra vita. Gesù è morto per noi, ci ha invitati a prendere la nostra croce e a seguirlo. Se tutta questa vicenda ha avuto un senso per Lui, lo avrà anche per noi, se lo seguiamo con sincerità. Don Orione diceva a noi suoi figli: “Gesù lo si ama ai piedi della croce e crocifissi con Lui”. Per quaranta giorni abbiamo imparato la Misericordia, ora è il momento perché essa si trasformi in un programma di vita nuova.
Auguri!