Quanto costa la felicità?

 Quanto costa la felicità? (Mc 10,17-27)

 Il Vangelo di oggi ci presenta una situazione che ci coinvolge tutti: cosa ricerchiamo nella vita? Ce lo presenta confrontando due persone: la prima è un uomo di cui non si descrive alcuna caratteristica particolare, eccetto il fatto che è ricco, un uomo qualsiasi e potrebbe essere ciascuno di noi; il secondo è Pietro che parla a nome dei discepoli e che rappresenta, forse, l'ideale a cui tutti noi dovremmo tendere. 

Siamo di nuovo in viaggio. Nel Vangelo di Marco, tutti gli insegnamenti importanti di Gesù sono fatti durante un viaggio; per Lui è il viaggio verso Gerusalemme, per noi il viaggio della vita, il viaggio verso Dio. Mentre Gesù cammina, gli si avvicina una persona, una persona brava che fin da piccolo ha sempre messo in pratica tutti i comandamenti; potrebbe essere lui il nostro modello, però di questa persona si dice che gli manca qualcosa, non si sente felice, sente un vuoto; allora va da Gesù, perché lo ha riconosciuto come un buon maestro e quindi spera che gli possa dare delle indicazioni giuste. “Cosa devo fare per avere la vita eterna?” Io credo che non stia parlando su come andare in paradiso, nell'aldilà. La parola che usa è “Zoe” che normalmente si traduce con “vita” ma che nel Vangelo è sempre contrapposta a Bios. Bios e la vita biologica, il sopravvivere; Zoe, invece, è la vita nella sua complessità nella sua totalità, quindi lui sta chiedendo cosa posso fare per far sì che la mia vita sia soddisfatta, piena, e produca in me una gioia che non si esaurirà mai. Ci tiene molto a questo, ma fa uno sbaglio: crede di potersela guadagnare con le sue opere; ci ha provato, ma finora non ci è riuscito.

Spesso anche noi sperimentiamo questa inquietudine interiore; c’è una zavorra pesante che non ci permette di fare il salto di qualità; in teoria conosciamo cosa fare, dove andare, ma in pratica c’è qualcosa che ci blocca, ci fa rimanere ancorati alla quotidianità, alla routine. Molti cercano di zittirla con musica, rumore, eccetera; altri, inverce, come quest’uomo, credono che la soluzione del loro problema possa essere in Dio e allora vogliono guadagnarsela, ma con le proprie forze cercando di comprare Dio. Vogliamo essere sicuri di meritarcela. Noi pensiamo che se siamo bravi, obbedienti, Dio non può rifiutarci quello che cerchiamo, dopo tutto ce lo meritiamo. Quindi consideriamo la religione come una serie di ordini da obbedire, cose da fare, ma più ci proviamo, più ci sentiamo insoddisfatti. Dietro questo atteggiamento c’è un duplice errore: Il primo è un errore teorico: pensiamo che l’amore di Dio o il suo interesse per noi sia condizionato dal nostro meritarcelo o no. Facendo così neghiamo la vera natura dell’amore che poi è la natura stessa di Dio. Il secondo è un errore pratico: con questo modo di pensare dimostriamo che per noi la cosa importante non è più Dio, ma la felicità; il dono, non il donatore.

Allora, alla domanda “Cosa devo fare per avere la vita eterna” Gesù risponde provocandolo sul suo terreno in modo da fargli capire lo sbaglio. “Tu conosci la legge …” e cita 6 comandamenti. Possiamo notare che ha tralasciato i primi tre, quelli che rappresentavano la caratteristica tipica del popolo di Israele e che riguardano il rapporto con Dio; mentre, invece, ha citato tutti gli altri che riguardano il rapporto con le persone e le cose e che sono delle norme morali da seguire, presenti, praticamente, in tutte le religioni. Ebbene, se tu questi comandamenti li hai seguiti, ma non ti hanno portato la gioia, vuol dire che la religione non si basa sulla sola obbedienza. Se viene meno l'incontro di amore con Dio e la ricerca della sua volontà, non c’è vera religione.

Noi potremmo pensare che Gesù sta giudicando male la persona che ha di fronte, invece no! Il Vangelo dice chiaramente che “Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse …”. Gesù vede in modo positivo questo giovane, ne vede le potenzialità, il desiderio, e allora risponde solo perché gli vuole veramente bene e vuole il suo bene. Ha visto che questa persona può fare il “salto di qualità”, ma in cosa consiste questo salto? Lui deve passare dall'attaccamento alle cose materiali e dalla fiducia nelle cose e nelle sue forze, all'attaccamento e alla fiducia in Dio stesso.  Tutte le cose che noi abbiamo provengono da Dio e non ci sono date con il semplice scopo di arricchirci, ma perché noi possiamo entrare in relazione con gli altri attraverso la condivisione. I salmi dicono chiaramente che “Tutto appartiene a Dio”, noi siamo solo amministratori delle cose di Dio. Quando noi permettiamo alle cose di diventare un tesoro privato da custodire gelosamente, allora succede un fatto strano: noi non siamo più i padroni delle cose, ma le cose diventano nostri padroni. Sembra una cosa assurda, ma se ben pensate, è la realtà che sperimentiamo tutti i giorni. Il nostro modo di comportarci, le nostre scelte, sono condizionate dal fatto di proteggere le cose o di possederne sempre di più, allora sono loro che comandano le nostre scelte, non noi. 

Quello che il Signore ci chiede, non è di buttar via le cose, ma di utilizzarle con piena libertà perché esse diventino lo strumento per la nostra relazione con gli altri attraverso la condivisione. Dio vuole che tutti vivano in gioia e siano salvi perché Lui è padre di tutti e ama tutti. Le cose del mondo appartengono a tutti perché devono essere lo strumento perché tutti possano essere felici. Per Dio non esistono uomini di serie A o di serie B, tutti siamo seguaci di Cristo, tutti siamo figli di Dio.

Il giudizio di Gesù è forte: “Quant'è difficile per quelli che possiedono ricchezza entrare nel Regno di Dio”. Non si tratta di guardare i conti in banca ma di capire chi è il vero padrone, che libertà abbiamo nel gestire le cose che possediamo; questo ci fa ricchi o poveri. In questo modo dobbiamo anche leggere il voto di povertà di noi religiosi. Come facciamo noi le nostre scelte quotidiane? Quali sono i criteri che ci guidano? La ricerca della sicurezza, la ricerca del piacere? Se le cose rischiano di creare divisione invece che unità, allora vuol dire che le stiamo gestendo male. Ci verrebbe spontaneo dire: “Ma in questo mondo moderno non si può più vivere senza soldi, senza le cose materiali. La macchina, il telefono, il cibo sono tutte cose necessarie e che costano quindi ci vogliono i soldi”. il Vangelo lo sa bene e per questo ci pone di fronte la frase di Pietro e degli altri discepoli. Pietro dice: “E noi che abbiamo lasciato ogni cosa per seguirti, cosa avremo in cambio?” Gesù risponde: “In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia rinunciato a famiglia o a cose che non riceva già qui in terra 100 volte tanto e in più la vita eterna”. Cento volte tanto vuol dire che le cose materiali si possono avere, che sono un dono di Dio, ma che devono essere amministrate con la libertà di dire: “ho rinunciato a queste cose e Dio me le ha restituite in abbondanza”. Noi crediamo nella Provvidenza di Dio, ma la Provvidenza non viene per darci una vita comoda, ma per darci degli strumenti per realizzare quella che è l'unica cosa essenziale della nostra vita: la capacità di amare tutti e di amare soprattutto Dio.

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