Beato te! Quando?

 Beato te! … Quando? (Mt 5,8)

Per comprendere bene il vangelo delle Beatitudini dobbiamo ricordare che esso è inserito nel Discorso della montagna di cui fa da Introduzione o presentazione. Nella mente di Gesù questo discorso è il sommario della vita cristiana, la presentazione di un programma di vita che poi lui realizzerà e che lascerà a noi suoi discepoli da seguire. Subito dopo questa introduzione che sono le Beatitudini, c’è poi la spiegazione del perché dobbiamo vivere così: Per essere sale della terra e luce del mondo. Quindi le beatitudini e soprattutto le promesse che sono ad esse collegate non sono basate nel futuro e nella vita eterna ma sono dirette all’impegno per il qui e l’oggi.

Il termine “Beato” è molto ricorrente sia nell’AT che ne NT, quindi probabilmente era molto usato e compreso anche dalla gente comune.

“Beati” vuol dire  “felici”, “fortunati”, quindi si parla di una realizzazione personale che genera serenità, senso di compimento. Oggi noi usiamo questa espressione per esprimere qualcosa che ci manca: “beato te, perché …”. Ci sembra di dover dire: “I tuoi desideri di pace, serenità, compimento, si realizzeranno se …”. Qui, allora, entrano le 8 dichiarazioni di Gesù che normalmente contrastano quelle della mentalità comune. Beati i poveri, gli afflitti, i miti, i perseguitati, ecc. tutte cose inaccettabili nel sentire della cultura moderna che cerca di evitare di parlare di questi aspetti che sono segno di fallimento.

Vorrei fermarmi su una di esse: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”.

Essa fa riferimento, in qualche modo, alla legge di purità dell’AT. Secondo la legge di Mosè, per accostarsi a Dio era necessario astenersi da tutte le cose “non degne” o che sono in contraddizione con la purità di Dio. Siccome, però, la nostra vita non è mai veramente “degna di Dio”, allora chi si accostava alla preghiera, per essere degno di essere ascoltato da Dio, doveva compiere dei riti di purificazione come il lavarsi le mani fino al gomito perché, pur senza volerlo poteva aver toccato qualcosa di “impuro” (un peccatore, un lebbroso, un animale impuro, del sangue, ecc.), poi lavarsi i piedi che camminando nella polvere potevano aver accumulato cose impure,  e, infine, fare delle preghiere o dei sacrifici di richiesta di perdono. I profeti avevano già cominciato a mettere in guardia la gente contro troppi ritualismi esteriori che poi non corrispondevano ad un comportamento interiore coerente. Per loro era importante puntare verso la purezza morale che derivava dal comportarsi veramente bene verso gli altri. Nel salmo 51, dopo il suo peccato, Davide chiede: “Crea in me o Dio un cuore puro”. Chiaramente il cuore non è inteso come sede delle emozioni o degli affetti, bensì come l’organo che dirige la vita dell’uomo, la volontà, il desiderio, le decisioni, che poi portano veramente ad amare Dio e il prossimo.  Solo chi ha il cuore puro avrà diritto a “vedere Dio” . Questa è la grande aspirazione di tutti i giusti Israeliti. Tale incontro, naturalmente, per essi, avveniva durante la preghiera al tempio, qualcuno, però, aveva iniziato a intravedere la possibilità di un incontro interiore con Dio attraverso rivelazioni o visioni personali, come quelle dei profeti o di Mosè.

A partire da questa analisi del suo tempo e della sua cultura, Gesù lancia la sua “beatitudine” che però, se letta all’interno del discorso della montagna che descrive tutti gli aspetti della vita cristiana e del rapporto con gli altri basati sul comandamento dell’amore, e letta alla luce del capitolo 25 dove si dice che a vedere Dio alla fine saranno quelli che avranno fatto opere di misericordia, allora assume un tono tutto particolare.

Prima di tutto il “vedere Dio”, o meglio il godere della sua presenza, non è più solo un’esperienza mistica e neppure escatologica, ma è quotidiana, e ci permette di vedere Dio che è presente nei fratelli, specialmente i più bisognosi.

Però chi riuscirà a vedere realmente Dio negli altri? Chi ha il cuore puro. Cosa significa?

Ognuno deve chiedersi: cosa spinge le mie azioni? Quali sono le ragioni intime del mio agire? Attenzione!!! Non parliamo più di motivazioni esterne, ufficiali, dell’osservanza alle regole, ma di ragioni intime, di fine ultimo, conscio o inconscio. Io faccio un gesto di carità per servire il fratello, o per fare bella figura? Per essere lodato dai miei superiori? Per attirare l’attenzione di chi mi sta attorno? Per crearmi un nome che mi permette di fare carriera? Per comprarmi l’amicizia di quella persona particolare? Per interesse particolare?

Sappiamo tutti che un po’ di questi aspetti saranno sempre presenti nella nostra vita, ma dobbiamo fare uno sforzo costante per purificare la nostra mente e le nostre intenzioni? Ho usato di proposito la parole “fine ultimo” applicandogli la divisione di conscio o inconscio. Noi siamo bravi a mentire anche a noi stessi, illudendoci di agire per motivi buoni. Allora come faccio ad accorgermi di quali sono le motivazioni nascoste? Lo si vede quando le cose cominciano a non andare bene, cioè a non dare risultati che mi ripagano emotivamente, quando vedo chiaro il rischio della sconfitta e vedo venire meno la speranza di gloria o di onore, quando devo fare delle rinunce o dei sacrifici, quando devo accettare delle critiche o magari anche l’avversione di chi, invece, doveva ripagarmi con la sua gratitudine, lode, eccetera. Sono costante nei miei propositi o rinuncio facilmente in nome di un nuovo progetto che garantisca “risultati migliori”? Ecco perché questa beatitudine che, se paragonata alle altre che parlano di povertà, mansuetudine, persecuzione, apparentemente sembrava bella e positiva, invece è in continuità ed armonia con esse.

Ricapitolando possiamo dire che Gesù ci vuole “beati” perché vuole che siamo parte del suo Regno che è già presente ora, ed è carico di speranza anche per il futuro. Questa felicità, quindi è un dono suo e non è frutto dei nostri sforzi, ma per potervi partecipare, dobbiamo purificare il nostro cuore da tutti quegli attaccamenti terreni che ricercano solo la soddisfazione e la realizzazione personale, ed aprirci al grande mistero di una vita vissuta “con Lui” e “per Lui”. Umanamente parlando il processo di purificazione interiore richiederà sacrifici, sofferenze e molte sconfitte umane. La felicità annunciata nelle Beatitudini è una vera gioia, ma di natura profonda, fondata sulla fede e sulla speranza ma soprattutto sul sentirsi scelti e amati da Dio. Non è un qualche cosa che sperimenteremo solo nell’aldilà, ma invade tutte le dimensioni della persona e si ripercuote nella psicologia e nell’atteggiamento esteriore di colui che la vive rendendolo un vero “testimone” di Cristo.

 

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