La tentazione di un Gesù solo umano o di un Dio che non si fa uomo.

 

La tentazione di un Gesù solo umano o di un Dio che non si fa uomo.    Mc 8,27-35

Nei vangeli, specialmente in quello di Marco, abbiamo un fatto particolare: dopo i miracoli Gesù intima ai beneficiari, di non dirlo a nessuno, ma ogni volta essi vanno a fare grande pubblicità. Perché questa strana richiesta di Gesù? Si stava creando un’immagine di Lui come Messia che era diversa da quella vera, quella che Lui voleva dare e che appare nella sua predicazione. La gente ricercava l’uomo dei miracoli, l’uomo di successo dalle soluzioni facili, un condottiero capace di guidare il popolo alla riscossa contro gli invasori e gli infedeli. Lui, invece, ci vuole presentare un Messia servo, umile, costruttore di pace, predicatore del perdono. Il vangelo di oggi affronta proprio questo argomento.

Gesù chiede ai suoi discepoli: “La gente, cosa pensa di me?”. Le risposte sono varie, ma a Gesù veramente non interessano. La sua domanda era solo un pretesto per introdurre un altro discorso: “E voi, chi dite che io sia?” Il pensiero della gente, più o meno, Gesù lo conosce già, ma quella è una fede di massa, anonima. Lui vuole una risposta personale per sapere fino a che punto i suoi discepoli sono disposti a lasciarsi coinvolgere nel suo progetto. Anche oggi esistono molti cristiani anonimi che si accontentano di una fede vissuta nei momenti delle celebrazioni comuni, persi nel numero dei presenti. Dio vuole una relazione personale con ciascuno di noi, dove ci invita a coinvolgerci in prima persona impegnando tutto noi stesso.

Una prima tentazione che potremmo avere è quella di ritenere Gesù come un grande uomo del passato, un predicatore migliore di tanti filosofi o letterati apparsi sulla terra, un gran benefattore dell’umanità, uno che veramente ha introdotto una rivoluzione sociale importante. Tutto vero e bello ma solamente umano. Quel Gesù è morto duemila anni fa.

La risposta che Pietro dà a Gesù è dogmaticamente corretta, e chiaramente superiore a tutte quelle della gente perché è basata sulla fede e sulla certezza che Dio è all’opera in Gesù, ma con la sua risposta il problema si sposta su un piano diverso, altrettanto importante e forse più aderente alla realtà odierna. La vera domanda, ora, non è chi sia Gesù, ma chi è Dio.

Chi è Dio per noi? Il distributore automatico di grazie da ottenere introducendo qualche preghiera? Il giudice onnipotente da tenere tranquillo attraverso la nostra osservanza dei comandamenti e attraverso i nostri riti? Questo era l’immagine che aveva la gente dei tempi di Gesù ed è l’immagine che ancora oggi molti cristiani hanno. È proprio questa immagine che Gesù vuole cancellare dalla religione Cristiana. Per questo subito dopo la dichiarazione di Pietro, lui “impone severamente di noi parlare di Lui a nessuno”.

Il vero senso della parola “Dio” e la divinità di Gesù vanno chiariti non a parole ma con i fatti. Allora Gesù passa alla seconda parte della sua lezione: l’annuncio della Passione. «Cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere».

Quanto Gesù predice circa la loro prossima visita a Gerusalemme contraddice chiaramente ciò che l’Antico Testamento dice riguardo al Messia. Egli era il prescelto da Dio, protetto da Lui, incoronato come re, discendente e restauratore del regno di Davide. A dire il vero Isaia aveva parlato di un “Servo di YHWH” che avrebbe sofferto per la redenzione del suo popolo, lo abbiamo sentito nella prima lettura di oggi, ma per lui non viene usata la parola Messia, ma quella di servo, quindi questo testo non era considerato tra i testi messianici. Gesù si presenta, invece come un Messia che coincide proprio con l'esperienza del "Servo sofferente". Il profeta Isaia presenta questo misterioso personaggio, di cui descrive le sofferenze e l'abbandono fiducioso in Dio: «Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi».

Allora Pietro si sente in dovere di correggere l’errore di Gesù, di togliere da Lui quel che egli crede sia il “demone di eresia” che si annida nelle parole di Gesù e nel suo presunto pessimismo. Pietro è figlio del suo tempo e non è ancora in grado a cogliere la novità che Gesù vuole introdurre. Lui che un momento fa ha proclamato Gesù Figlio di Dio, ora si scandalizza di Lui e rifiuta il discorso della sofferenza. Anche lui, come gli altri, vuole un Dio a misura d’uomo, un Dio che soddisfi i parametri della mente umana, come se Dio fosse stato creato da noi, dalla nostra mente, controllabile con le nostre preghiere. Quest’ultimo punto è il principale problema dell’uomo d’oggi.

Gesù ritorce contro Pietro la sua stessa frase: Satana sei tu quando con i tuoi discorsi umani vuoi metterti davanti a me ed indicarmi la via. Non prendere il posto di Dio e pretendere di essere tu a decidere; stai dietro, da buon discepolo, e lascia che sia Dio a dettare la strada, o sarai di “ostacolo” al piano di Dio (questo è il vero senso della parola “diavolo”). E così dicendo spiega chiaramente qual è la via che Lui, per volontà di Dio deve intraprendere.

E noi? Se vogliamo seguire Gesù, cioè se vogliamo lasciare che sia lui a decidere la nostra strada, allora facciamo nostra la sua raccomandazione: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

Non basta riconoscere Gesù come Figlio di Dio, bisogna imitarlo in ciò che egli ha di più specifico, cioè nell’amore alla croce che non è il fine, ma il mezzo necessario per compiere la Redenzione. Se vogliamo essere corredentori non possiamo rifuggire la croce, perché solo attraverso di essa, perdendo la nostra vita, la ritroveremo nell’eternità, partecipando alla risurrezione di Cristo.

Prendere la propria croce significa fare le scelte difficili costose che però portano i veri frutti. Gesù ci vuol far capire che non è l'orgoglio che vince bensì l'umiltà; non è la prepotenza che trionfa bensì la mitezza. Dio non si trova nel divertimento ma nel sacrificio. Non sono le gioie del mondo a darci la felicità: soldi, potere, successo, ma soltanto la carità che spinge a consumarsi per ciò che veramente conta e resta in eterno.

Gesù ci invita ad uscire dall'egoismo, perché esso è causa di infelicità. Siamo stati creati ad immagine di Dio, e Dio è Amore. Solo se viviamo la carità saremo felici. Ma non vi è vero amore che non comporti anche l’esperienza della sofferenza, del dono di sé.

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