Una cena da digerire con calma

Lui si fa cibo         (Mc 14,12-16.22-26)

Il racconto del vangelo di oggi riguarda quella che noi chiamiamo “l’ultima cena” e che è la cena che Gesù ha fatto con i suoi discepoli il primo giorno degli azzimi. Per gli Ebrei quel giorno era Pasqua, quindi è una cena tutta speciale che per i discepoli ha un grosso significato legato alla loro fede, e che Gesù trasforma dando un senso nuovo a quello che celebravano. È importante che noi che conosciamo poco le tradizioni giudaiche, cerchiamo di capire il senso originario di tale cena prima di affrontare il cambiamento posto da Gesù. Il primo giorno degli azzimi dava inizio ad una settimana in cui si celebrava una rottura radicale con il passato per iniziare una vita  nuova. Commemorava l’uscita dall’Egitto, la liberazione dalla schiavitù, quindi il simbolo di rottura con il passato era chiaro. Per significare questa rottura tutti i membri della famiglia facevano passare ogni angolo della casa per cercare ogni segno di lievito o pane lievitato. Per una settimana mangiavano pane senza lievito e solo dopo di questo periodo cominciavano a produrre il lievito nuovo. Il pane era il cibo base, il simbolo della vita, il lievito è ciò che rende il pane morbido, gradevole da mangiare quindi rappresenta tutte le comodità e le bellezze della vita. Voler tagliare il lievito vecchio indicava un rivedere la nostra vita passata per scoprire dove ci siamo adagiati, allontanati da Dio, e ricominciare coUna cena da digerire con calman più fervore.

Il problema stava nel fatto che la vecchia alleanza con Dio era basata sull’evento del Sinai, cioè sulle dieci leggi che Dio dà e attraverso le quali chiede al popolo di essergli fedele. Da questo dipenderanno l’amicizia con lui e le sue benedizioni. In ogni patto, poi c’era sempre il sacrificio di un animale come simbolo per dire che se uno dei due verrà meno al patto, Dio lo tratti come noi abbiamo trattato l’animale, cioè ne versi il sangue. Naturalmente sappiamo bene che non c’è nessuna persona al mondo che possa essere perfetto nell’osservanza delle regole e il fatto che quel giorno il popolo sia stato asperso con il sangue di un agnello sacrificato per l’occasione indica proprio che il Signore avrebbe potuto castigare il popolo se questi fosse venuto meno all'alleanza. Se voi guardate L'Antico Testamento, è tutto letto in questa chiave: il popolo disobbedisce e Dio lo punisce mandando gli eserciti nemici a sconfiggerli; il popolo chiede perdono e Dio ridà la pace e la prosperità. Una situazione del genere non poteva durare sempre; c'era bisogno di un’Alleanza nuova quella istituita da Cristo. Il patto non è più: se obbedisci, Dio ti benedice, se trasgredisci, Dio ti punisce; ma semplicemente: Dio ti ama tanto che vuole concederti la possibilità di condividere la sua vita, ora tocca a te accettare o no questa offerta.  Anche qui a suggellare il patto c'è il sangue ma non è più quello di un agnello immolato come simbolo di ciò che Dio farà, ma è Dio stesso che si fa uomo e si immola e quindi c’è la garanzia che il patto verrà rispettato. Quindi, quella sera, Gesù ha celebrando la Pasqua ebraica e l’ha trasformata in questo nuovo patto, dove Lui stesso si mette in gioco. Naturalmente i discepoli in quel momento non capiscono il valore religioso di quello che sta avvenendo, lo capiranno solo dopo la Resurrezione. Quando i primi cristiani cominciano a celebrare la cena del Signore, chiamata anche “il rito dello spezzare del pane”, mettendo in pratica quello che Gesù aveva detto: “Fate questo in memoria di me”, sanno benissimo che cosa stia accadendo in quella cena. Quindi, fin dall'inizio, la celebrazione eucaristica ha questa valenza sacramentale, proprio per la coscienza che la Chiesa ha di quello che sta succedendo in quel momento.

Vediamo ora qualche altro aspetto di quella cena.

Gesù chiede agli apostoli di preparare la cena e li invia in un luogo al piano di sopra, dove c’è una stanza grande già arredata per la festa; là devono preparare. Chi ha visitato Gerusalemme sa dove si trova il Cenacolo. Al pian terreno c'è una piccola sinagoga, dove si venera il re Davide. Poi, come sempre, al piano di sopra c'è una stanza grande che poteva essere usata per celebrare la parte non religiosa delle feste, cioè un banchetto. La parola “al piano di sopra” ha anche un significato spirituale: quando noi celebriamo l'Eucaristia, non ci stacchiamo dal mondo, però dobbiamo innalzarci ad un piano di sopra, a un piano più alto. Ciò che celebriamo è per il mondo ma non dobbiamo ragionare secondo la sua mentalità, ma imparare a guardare tutto con gli occhi di Dio. L'Eucarestia ci inserisce a pieno nella vita quotidiana, ma, al tempo stesso, attraverso la Fede, ci permette di analizzare la vita quotidiana in maniera diversa.

La stanza è grande perché la Chiesa è grande; c'è posto per tutti; è già arredata per la festa. Abbiamo detto che è la festa della libertà e del cambiamento di vita. Allora noi dobbiamo venire all’Eucaristia col desiderio di cambiare la nostra vita e guadagnarci quella libertà interiore che ci permetta di accogliere bene il nostro patto con Dio. Lui lì ci nutrirà con la sua parola e il suo corpo e in questi noi troviamo il modo di vivere a pieno la nuova libertà.

Dice a Pietro e Giovanni di preparare la cena. Le nostre celebrazioni devono essere preparate. Perché veniamo alla Messa? Cosa ci aspettiamo di ricevere? Quale sarà la mia parte in risposta a questo patto?

Durante la cena Gesù prende il pane. Di per sé il cibo che caratterizza la cena pasquale era l’agnello, ma lui, per rendersi presente sceglie il pane. L’agnello, pur essendo comune, era però un cibo costoso che si mangiava poche volte all’anno. Lui sceglie il cibo più umile, più comune. Sulle nostre tavole il pane c’è sempre, ma se alla fine vi chiedo: cosa avete mangiato oggi? Voi mi rispondete: Pollo arrosto e patatine, costine di maiale, pastasciutta, ecc. Nessuno dice ho mangiato anche una fetta di pane. È anche un alimento simbolico che sta ad indicare la fame che l'uomo ha,  ma la fame che l'uomo ha non è solo quella fisica; ci sono tanti altri tipi di fame che noi abbiamo: la fame di essere accettati, la fame di amore, la fame di sentirsi realizzati, eccetera. Tutte queste cose noi dobbiamo offrirle sull'altare, perché a tutte Dio vuol dare una risposta con il suo amore.

Gesù su questo pane pronuncia la benedizione. La benedizione era un ringraziare Dio riconoscendo che tutto viene da Lui, ci è stato donato, e noi glielo rioffriamo perché con esso offriamo noi stessi e la nostra vita. Lo stesso vale per il vino. Esso era ciò che allietava tutte le feste. Ebbene, Dio vuole che la nostra celebrazione sia una festa, di gioia, perché il suo amore è un aspetto positivo, in qualsiasi momento, e quindi qualcosa da celebrare. Noi questa festa la offriamo proprio a Lui.

È interessante che Dio interviene su questo patto in due modi: prima nel rendere se stesso la vittima che garantisce che il patto funzionerà, ma poi con il fatto che questa unione non è data solo da un'amicizia esterna a cui dobbiamo essere fedeli, ma Lui dà se stesso per essere mangiato, in modo che noi assimiliamo la sua natura e in qualche modo la nostra natura viene assimilata da Lui e resa Divina. Quindi se prima abbiamo detto che è impossibile per qualsiasi persona essere sempre fedeli alle leggi, adesso è possibile, non per i nostri meriti, ma perché noi siamo assimilati a Cristo stesso, quindi abbiamo in noi, parte della natura di figli di Dio. Questo dà la possibilità di essere fedeli. Allora la fedeltà non è frutto di sforzi e sacrifici, ma della grazia di Dio, del rapporto con Lui, del diventare un solo corpo con Lui.

Questa domenica, quindi, celebriamo l’alleanza con Dio in Cristo e l’impegno a vivere una vita nuova dove non si tratta di essere forti, ma di allearsi con il forte.

 

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