Bello da morire

Bello ma a che prezzo?  (Gv 10,11-18)
 

Noi siamo stati abituati a chiamare Gesù “Il buon Pastore”. Chi non si ricorda le belle immagini di Gesù che cammina con sulle spalle un agnellino? Ebbene il vangelo di oggi ci parla di lui, ma dobbiamo subito dire che il testo originale greco non parla di pastore “buono”, ma di pastore “bello”. Per la filosofia greca il concetto di bello è molto più completo e pregnante che non quello di buono perché chiaramente non si fa riferimento alla bellezza esteriore o estetica ma alla sua natura trascendentale. Uno per essere bello dentro, deve anche necessariamente essere buono, generoso, saggio, ecc.
Cosa rende un uomo o una donna “belli”? Cosa li rende attraenti agli occhi degli altri? Quando io vedo una persona che attira la mia attenzione mi viene spontaneo dire: “c’è in lui qualcosa di diverso, di speciale” e lo si riconosce dal sorriso sulle sue labbra, dal suo modo di comportarsi e parlare che esprime una pace, una serenità, gioia di vivere, una libertà interiore che spesso a noi manca. Pace, serenità, gioia di vivere, libertà interiore, entusiasmo sono più contagiosi del Coronavirus, ma non vengono automaticamente, bisogna faticare per costruirseli, per farli diventare una realtà stabile della nostra vita.
E una volta ottenuti, tutto diventa facile? No! Anzi spesso i problemi esterni crescono a causa della gelosia di altri, della rabbia di chi si sente inferiore o indirettamente denunciato nelle sue mancanze.
Gestire la propria libertà ha un prezzo, e l’amore? Anche l’amore, che spesso è il frutto di tutte queste virtù appena nominate, anch’esso costa? Gesù era attraente, ma è stato venduto per trenta denari; nel libro della Genesi abbiamo Giuseppe che è il più amato dal padre ma è venduto dai fratelli come schiavo.
L’amore umano è spesso un amore mercenario. Se non è basato sulla libertà interiore, sulla serenità, allora perde la sua natura, diventa una merce di scambio, un tavolo da gioco su cui puntiamo le monete della nostra vita. Rischiamo, e per lo più ci va male. Esso non è più vero amore ma infatuazione, desiderio passionale, ricerca di soddisfazione personale. Ci vendiamo pur di conquistare un po’ di attenzione. Usiamo quello che chiamiamo amore per ricattare le persone, farle sentire in colpa, forzarle a fare quello che vogliamo. Ogni giorno leggiamo sui giornali di persone che vengono uccise o rese schiave in nome di ciò che essi chiamano amore e che il vangelo chiama amore mercenario. Sull’amore mercenario non puoi mai contare. Il mercenario è pronto ad andarsene quando la paga non lo soddisfa più. Il mercenario scappa quando il nemico sembra troppo minaccioso. Quando i lupi attraversano le pianure della relazione, il mercenario è pronto a fuggire. Così anche nelle nostre relazioni, se amiamo da mercenari, ce ne andremo quando ci sembrerà di perdere, quando non ci conviene, quando il rischio è superiore al guadagno.
Come si riconosce se il nostro amore è vero o è mercenario? Il vangelo di oggi ci dà una mano. Lui dice che il mercenario: 

- Non sente amore vero e appartenenza ma guarda solo all’interesse personale (la paga)
- Non conosce in profondità le sue pecore perché esse altro non sono che lo strumento della sua gratificazione personale, della sua realizzazione professionale, appagamento della sua vanagloria. Non condivide la vita con loro ma si pone al di sopra, vuole comandare non servire, non accetta idee o suggerimenti o correzioni che pongano in dubbio la sua autorità.
- Non ha interesse ad allargare il gregge, ad aprirsi ad altre persone, ad allargare il suo lavoro, a meno che questo non serva per avere più gloria e più ricchezza.

La presentazione di questi aspetti negativi ci fa accapponare la pelle perché spesso ci troviamo in situazioni simili. Tutti abbiamo provato l’ebrezza nel soddisfare un desiderio e la bocca secca quando questo svanisce.
Per fortuna il vangelo di oggi ci presenta anche l’amore puro, quello di Gesù per noi che viene descritto come il comportamento del “Pastore bello”. Come si comporta questo pastore? Cosa lo rende così attraente?

- Offre la vita per le pecore perché gli appartengono. Il suo non è un lavoro, ma la ragione del suo essere.
- Conosce le pecore ed è conosciuto da esse. Il criterio non è il nome, il criterio è l'appartenenza. Scopriamo chi siamo veramente soltanto se siamo capaci di capire di chi siamo, a chi apparteniamo. Questa conoscenza è la stessa che c’è tra Gesù e il Padre, quindi è basata sulla partecipazione di vita. Ricordiamo che nella Bibbia la sede della conoscenza è sempre il cuore e non il cervello.
- Il suo compito non è limitato solo a quel piccolo gregge, ma lavora per fare dei vari greggi uno solo. Lavora per l’unità, criterio di scelta è l’amore. Il criterio di appartenenza delle pecore al gregge è ascoltare la parola del pastore.

L’amore vero, quello del pastore, non può mai essere costrizione ma dono spontaneo. Gesù in questo passo dice: «Io do la mia vita». Nell’amore ci si dona non per un prezzo, ma per la bellezza di donarsi. L’amore vero è scelta, non obbligo. Il mercenario è spinto da un bisogno, il pastore da un desiderio.
Il Cristianesimo è rinascere dall’alto. Noi spesso facciamo delle cose sbagliate perché apparteniamo a una logica sbagliata: vogliamo meritarci la salvezza, ma nel Cristianesimo la salvezza si merita accogliendo l’opera di Dio in Noi. I santi più grandi della carità sono quelli che meglio hanno vissuto la dinamica della ricezione della grazia.
Il Signore si è fatto una cosa sola con loro. Se la mia vita è nelle mani del Signore, non ho nulla da temere né da guadagnare, ma ho solo voglia di amare.

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