La gioia della preparazione
XXXII domenica anno A. Le dieci ragazze Mt 25,1-13
Domenica scorsa abbiamo parlato di santità, poi abbiamo celebrato la giornata di commemorazione dei defunti e siamo andati al cimitero a visitare i nostri cari. Forse avremo pensato al fatto che un giorno, quando Dio vorrà, anche noi li raggiungeremo. La morte arriva improvvisa, nessuno, normalmente ne conosce il tempo, ma se lo sapessimo, che messaggio manderemmo ai nostri cari prima di partire? Gesù, nella sua ultima settimana, trascorsa a Gerusalemme prima di essere catturato, si era reso conto che entro pochi giorni per Lui si sarebbe conclusa la sua vicenda terrena e sa che la sua morte creerà uno shock fortissimo nei suoi discepoli. Vuole prepararli perché in quel momento non abbiano a perdere la fede, allora che fa un lungo discorso chiamato il “discorso escatologico”. Potremmo dire che con questo discorso Gesù voglia aiutarci a comprendere la realtà della fine dei tempi o, almeno, della nostra fine personale, ma più correttamente dovremmo dire che l’argomento principale non è “la fine”, ma “il fine”, lo scopo della nostra vita. Che senso ha la mia vita? Come viverla bene fino in fondo?
Questo discorso si trova nel capitolo 25 del vangelo di Matteo ed è imperniato su tre parabole. La Chiesa ci offre questi tre racconti per la riflessione delle ultime tre domeniche dell’anno. Oggi abbiamo la prima, la così detta parabola delle 10 vergini, domenica prossima avremo la parabola dei Talenti ed infine la terza domenica la parabola del giudizio finale. Inutile dire che trattandosi di un discorso unico le tre parabole vanno tenute assieme e non si può comprenderne una separandola dalle altre due.
Lo scopo della nostra vita è incontrare il Cristo, nostro sposo ed entrare con lui nelle nozze eterne. Come si celebravano le nozze ai tempi di Gesù? C’erano tradizioni diversa da tribù a tribù, ma di solito, dopo un momento di preghiera al mattino presto dove si svolgeva il vero rito delle nozze con lo scambio delle promesse di fedeltà, lo sposo si recava alla sua casa per celebrare con i suoi parenti e amici e altrettanto faceva la sposa a casa sua. Nel tardo pomeriggio, lo sposo, o spesso il suo migliore amico, veniva alla casa della sposa a prenderla per condurla nella “loro” nuova dimora. Le dieci ragazze di cui si parla nel vangelo di oggi, rappresentavano il corteo della sposa, attendevano questo arrivo e accompagnavano la loro amica danzando e cantando in processione fino alla casa dove si concludeva la celebrazione. Per questo avevano le lampade, per fare luce e dare un tocco di festa e solennità al cammino.
Ma questo sposo sembra tardare a venire. Qui entriamo già nel punto centrale della nostra riflessione: l’attesa e la preparazione. Questa vita che per molti sembra essere il tutto, è in realtà un momento di attesa e di preparazione. Tutti noi abbiamo sperimentato la forte tensione emotiva del preparare una festa importante. Più essa è importante per noi, e più questa attesa e preparazione genera in noi ansietà, ma anche gioia; pregustiamo già il risultato, pensiamo già a come saranno belli quei momenti, cosa diranno gli invitati, eccetera. Per questo ci impegniamo nel fare le decorazioni, nel preparare la torta, nello scegliere i vestiti migliori, le musiche, eccetera. Leopardi direbbe che c’è più gratificazione emotiva nella preparazione che nella festa stessa. Può anche capitare che alla fine siamo stanchi, e, in attesa della festa, ci concediamo un po’ di riposo, niente di male in questo, basta che al momento opportuno tutto sia pronto.
Ci potrebbe, però, essere qualcuno a cui la festa non interessa molto, vi partecipa senta particolare gioia, prepara le cose in modo sbadato o ordinario. C’è chi si accontenta di cose preconfezionate, veloci e quindi non curare i dettagli, l’armonia.
Noi dobbiamo investire su questa attesa, investire sulla bellezza; siamo fatti per lo sposo e solo con Lui avremo la felicità vera e la pienezza della gioia. Questo rende bello ed eccitante la nostra vita. Per prepararci bene il Signore ci ha dato un apparato speciale fatto di tanti doni, l’intelligenza, la salute, la famiglia, la cultura, la vocazione, tante capacità pratiche, tutte cose necessarie che cambiano da persona a persona. Queste sono la lampada che ciascuna delle dieci ragazze del vangelo porta con sé per l’incontro con lo sposo. Ma la lampada ha bisogno dell’olio per poter funzionare e fare luce. Non importa la forma, la grandezza, il costo della lampada, quello che importa è che ci mettiamo dentro dell’olio e accendiamo la fiamma. Questo è l’amore che mette in movimento e fa funzionare tutto l’apparato nel modo giusto, è quello che rende bello tutto il lavoro di preparazione. Senza questo amore, o se preferite senza la sua attuazione pratica che possiamo chiamare “carità”, tutti gli altri doni diventano inutili o addirittura dannosi. Le cinque ragazze chiamate stolte, avevano la lampada ma forse l’hanno usata per fare cose per se stesse, per farsi piccole feste, per procurarsi momenti di gioia effimeri, passeggeri, non volevano attendere, volevano la gioia subito e solo per se stesse. Quindi, quando lo sposo viene, sono lì ad attenderlo ma non sono pronte, la loro lampada è vuota e non fa luce né produce festa. Quanto spesso vediamo persone che utilizzano la loro intelligenza per scopi sbagliati, le loro doti per vana gloria o successo economico, la loro cultura o posizione sociale per fare del male agli altri. Questa lampada spenta non lavora per amore dello sposo che viene, ma per se stessi e quindi non riusciranno ad entrare alle nozze di Cristo. A loro manca l’amore che brucia.
Le ragazze stolte si illudono che basti l’olio delle altre più diligenti. Ma l’amore, nonostante sia qualcosa che si diffonde o fa del bene a tutti, non può essere passato al vicino per giustificare la sua pigrizia. Nessuno può arrivare da Cristo e dire fammi entrare perché mio papà ha fatto tanto del bene, perché mia mamma ha pregato tanto o perché mio fratello ha aiutato i poveri. Io ho partecipato alle preghiere della mia parrocchia, anche se in modo distratto e senza particolare fervore, ho fatto l’elemosina alla Caritas, anche se non ho fatto nient’altro personalmente. La festa va preparata personalmente e non solo assistita. Dobbiamo educare le persone, specialmente i giovani a saper scegliere ciò che è veramente bello e valido anche se difficile da ottenere, dobbiamo saper educare all’attesa, all’operosità, al lavorare sulle piccole cose, i dettagli della vita che sono quello che rendono bello l’ambiente. Essi sono i contenitori d’olio che alla fine alimenteranno il fuoco della nostra festa eterna. La cultura dell’usa e getta, del veloce e immediato, sta travolgendo le nostre tradizioni; si vuole celebrare subito e in fretta, non si vuol fare la fatica del preparare e non si capisce più la bellezza dell’attesa e dell’impegno a far sì che tutto sia messo al posto giusto. Il problema delle fanciulle stolte non è il sonno, anche le altre dormivano, il loro problema è più antico, non si sono mai prese cura della lampada che è stata loro affidata. Lo sposo infatti dice loro: “In verità vi dico, non vi conosco!”. Nella loro vita non si sono mai preoccupate di conoscere lo sposo, per questo adesso sono trovate impreparate.
Siamo tutti invitati a una vita di unione con il Signore che è già iniziata di qui e troverà il suo compimento di là, ma questo incontro diventa possibile e significativo se alimentiamo la nostra vita con carità semplice, ma sincera, e se la accendiamo con la fiamma dell’amore per i più piccoli, i più bisognosi.