La vera giustizia
18a Domenica anno c. Lc. 12,13-21 Qual è il piano di Dio sulla nostra vita?
“Signore di’ a mio fratello che ...”. Quante volte ci capita di chiedere al Signore che ci faccia giustizia per qualcosa di umano; Siamo sicuri che questo corrisponda al piano di Dio? Nel Vangelo di oggi sembra che il Signore non sia d’accordo con il nostro tipo di giustizia, infatti la maggior parte delle volte le nostre preghiere non ottengono l’effetto che vogliamo e tocca a noi prenderci con le nostre forze quello che reclamiamo. Perché? Dopo tutto stiamo chiedendo cose buone.
Il caso che gli è presentato è quello di due fratelli che nell’amministrare un’eredità si sono messi in lotta tra di loro nonostante che ci fossero regole chiare su come comportarsi. Gli viene chiesto di “fare giustizia”. La risposta di Gesù “Chi mi ha stabilito giudice su queste cose?” ci fa chiaramente capire che il suo modo di interpretare la giustizia è ben diversa dal nostro. Lui avrebbe potuto risolvere la disputa tra i due fratelli appellandosi alla legge, ma quanti altri casi sarebbero poi sorti? Lungo tutta la storia siamo testimoni di lotte all’interno di famiglie causate dalla divisione o dall’accumulo di denaro. Senza parlare poi delle lotte tra fazioni politiche e addirittura tra nazioni. Penso di non dire un’eresia se affermo che la maggior parte delle guerre che si sono verificate nella storia sono state causate dal desiderio di accumulare potere e ricchezza, o dal voler controllare risorse economiche strategiche. Qual è la giustizia che gli uomini cercano? Quella di avere sempre più, per poter garantire il mio futuro e quello della mia famiglia, e fin qui niente di male, ma possedere, in che misura? E dove prendo questi beni? E se ci sono altri che legittimamente reclamano gli stessi? Ecco le lotte.
Gesù non vuole risolvere il caso specifico perché vuole aprire la discussione sulla causa stessa. Cosa mi appartiene di diritto? Niente. Tutto appartiene a Dio che ha creato ogni cosa e l’ha creata perché tutti gli uomini potessero avere il necessario.
Per comprendere meglio questo Gesù ci presenta una parabola. Un uomo ricco, io credo anche onesto e buon imprenditore, è benedetto dalla fortuna che in quell’anno gli ha fatto avere una super produzione di grano. Non ha rubato, non ha evaso le tasse, non ha imbrogliato, eppure Gesù lo definisce “pazzo”, stolto. Perché? Ha fatto basicamente 3 errori:
1 - non ha considerato che in tutto c’è un momento finale da tenere in considerazione. Lui fa scelte come se dovesse vivere in eterno, non ha calcolato che tutto ha una fine, e non fa nessun preparativo per quel momento. Quando moriremo di tutto quello che abbiamo accumulato non ci porteremo dietro niente, tutto verrà confiscato alla frontiera. Quando non si pensa alla “temporalità” delle cose, ci si lascia prendere dalla bramosia di possedere.
2- Il suo secondo errore è dunque conseguenza del primo: ha accumulato tutto per sé. La bramosia del possedere è figlia primogenita della paura di morire. Pensiamo che più possediamo più siamo sicuri; crediamo che con i soldi possiamo comprare tutto. Allora ciò che conta di più sono l’assicurazione sanitaria, il calcolo della pensione, il conto in banca, credendo così di avere in mano il nostro futuro. È interessante l’ironia del racconto. Di fronte alla ricchezza, l’uomo che in teoria pensa di potersi godere la vita, si ritrova a passare una notte insonne assillato da una domanda: “Che farò?”. Questa è la stessa domanda che si pone il povero di fronte alla sua debolezza. Con i soldi si potrà allungare la vita di qualche anno, ma non si compra la “vera felicità, la vera vita”. Notate quante volte nel racconto ritorna la parola “io”, “mio”, “me”, e verbi in prima persona. Non si parla di famiglia, di operai, degli agricoltori, di vicini di casa. La ricchezza ci distoglie dalle relazioni e ci fa chiudere in noi stessi. La vera ricchezza non è data da ciò che si accumula ma da ciò che si dona. Le cose materiali non devono diventare più importanti di quelle spirituali. Cibo, casa, carriera, soldi sono importanti ma non possono diventare più importanti di cose come famiglia, amicizia, solidarietà, carità, e soprattutto non possono diventare l’unico scopo della vita. L’unico scopo della vita è conoscere Cristo, amarlo e vivere alla sua presenza
3- E qui viene il terzo errore: ha escluso Dio dalla sua vita. Dio ci insegna a fidarci di Lui; si prende cura di noi, molto più di quanto fa con gli uccelli del cielo o i fiori del campo. Quello che ci dà deve essere usato per soddisfare le nostre necessità, ma il resto deve essere usato per aiutare chi si trova nel bisogno. “Fatevi tesori nel cielo dove la tignola non consuma”. L’amore è l’unica cosa che potremo portare di là dopo la nostra morte.
Quindi Gesù non disprezza le cose materiali, ma vuole che siano usate nel modo giusto. È meglio una famiglia unita in una casa povera che una famiglia divisa dove non si parla, non ci si incontra e si vive, magari divisi in due o tre case, anche se bellissime. È meglio una famiglia dove si vive lavorando insieme, aiutandosi a vicenda, anche se ci sono pochi soldi, piuttosto che una famiglia dove non c’è mai tempo di incontrarsi perché ognuno è impegnato a fare il suo lavoro per avere più soldi possibile.
San Paolo dice: “Se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù, ... rivolgete il pensiero alle cose di lassù non a quelle della terra … Fate dunque morire ciò che appartiene alla terra come passioni, desideri cattivi e cupidigia”.
Smettiamo di ammirare gli uomini di successo, i ricchi, e cominciamo invece ad ammirare gli uomini retti, quelli dai principi morali solidi. Questi possono essere un esempio da essere seguito per il bene nostro e della società.