Amare "come" Gesù, non come piace a noi
5a
domenica di Pasqua anno c
Il comandamento nuovo.
(Gv. 13,31-35)
Siamo nel tempo di Pasqua e ci
aspetteremmo di trovare nel vangelo qualche altro episodio di
apparizioni, invece siamo tornati nel cenacolo, durante l’ultima
cena, mentre Giuda si prepara ad andare dai Giudei per consegnare
Gesù. Perché questo episodio nel periodo di Pasqua? Perché qui
inizia un grande discorso di ben 4 capitoli. Tutti i grandi della
Bibbia, prima di morire, hanno fatto un grande discorso di addio.
Anche Gesù vuol dettare le sue ultime volontà, il suo testamento,
quello che dà senso a tutto,
anche alla Pasqua.
Questa è la domenica del comandamento
dell’amore. Gesù ci ordina: “Amatevi
gli uni gli altri come io ho amato voi”.
Il nodo centrale della frase è in quel “come”.
Gesù non ci chiede un amore generico ma un amore grande come quello
che Lui
ha appena mostrato loro.
Come è l’amore di Gesù? Abbiamo detto
che siamo nell’ultima cena, Gesù è pienamente cosciente di quello
che sta per succedere, sa che è arrivato alla fine dei suoi giorni e
che Giuda ha già complottato con i capi del Sinedrio per
consegnarlo. In questa cena Gesù, prima di dare agli apostoli il suo
testamento compie un atto che gli servirà per far comprendere il
senso di quello che dovrà dire loro. Il suo testamento è una frase
anzi un comando: amatevi come io vi ho amato. Lui, il maestro, si
alza da tavola e lava i piedi ai suoi discepoli. L’amore è prima
di tutto servizio, farsi schiavo dell’altro. L’estensione di
questo gesto la si comprende se si pensa al fatto che tra i discepoli
c’è Giuda che ha già tradito Gesù, ed è in attesa di portare a
compimento questo suo piano. Gesù è cosciente di questo. Come si
sarà sentito? Arrabbiato? Irritato? No! In Gesù non troviamo
nessuno di questi atteggiamenti. Di sicuro avrà provato un grande
dolore per non essere riuscito a fare breccia nel cuore di questo suo
fratello. In questo contesto Gesù dà ai suoi discepoli il
“comandamento nuovo”, le sue parole più belle, il suo
testamento. Il gesto di Gesù, il lavare i piedi, non è
semplicemente un atto di purificazione Gesù non lava i piedi agli
apostoli perché essi diventino puri, infatti subito dopo aggiunge
“Non
tutti sono mondi”
riferendosi proprio a Giuda. Il suo è un vero atto di amore fatto di
abbassamento di fronte all’altro e di servizio. Gesù si fa piccolo
di fronte a Giuda e lo serve. Poi mentre sta condividendo la cena con
loro esplicitamente dà a lui il suo pane e gli dice “Quello
che devi fare fallo presto”.
Gesù si mette in comunione con il peccatore e lo manda come per dire
“sono io che ti invio. Io fra poco morirò assumendo su di me tutte
le colpe del mondo, e in questo momento mi assumo già anche la tua
colpa”. Dio non ha voluto che suo Figlio fosse tradito e consegnato
alla morte, ma di fronte a questo gesto voluto dagli uomini non
reagisce con rabbia o vendetta ma con umiltà e servizio. Il peccato
più grave di
Giuda non sta nell’aver tradito Gesù, colpa che gli è già stata
perdonata e che probabilmente non è stata commessa per odio ma per
delusione, per posizione politica errata, per incapacità di
accettare il nuovo volto di Dio presentato da Gesù. La sua colpa
maggiore è
stata nel non aver compreso l’amore di Gesù, non aver accettato
il suo perdono e quindi nella disperazione che
lo porta a suicidarsi.
Questo è un messaggio molto attuale per
noi perché se ci impegniamo a costruire un mondo migliore ci
troveremo di fronte all’opposizione di molti gruppi che predicano
dottrine contro tutti i valori più grandi in nome di piacere,
edonismo, progresso, ecc. In molti
casi ci verranno
in bocca parole di rabbia, di reazione, di maledizione,
scoraggiamento, disperazione.
Ma torniamo a Gesù. Nella prima frase
ritorna per ben 5 volte la parola “gloria”
o “glorificare”.
Nella nostra mentalità la glorificazione è la celebrazione della
nostra persona. Il maligno aveva promesso questo tipo di gloria anche
a Gesù, ma per realizzarla Gesù avrebbe dovuto onorarlo e
cominciare a sottomettere gli altri. Lui lo aveva rifiutato. Nella
Bibbia la gloria non è la fama che si gode presso gli altri. La
gloria vera che conta agli occhi di Dio, quella che dà “peso”
(Kavod) sta nella volontà di Dio
che si realizza in noi. Gesù dice
“Ora per me è giunto il
momento di raggiungere il massimo di questa gloria”.
Questo momento è il momento in cui Giuda lo consegna, è il momento
in cui inizia quel processo che lo porterà alla croce. Questa
situazione non è voluta da Dio, è stata creata dagli uomini ma in
questo piano degli uomini Dio si inserisce con la sua volontà e
allora arriva a dimostrare qui l’espressione
massima
del volto di Dio, del suo amore incondizionato. In questo momento
viene cancellata l’immagine diabolica di Dio che ci viene spesso
presentata, cioè del Dio potente che punisce chi gli è contro. Il
suo amore, quello che noi dobbiamo copiare, è un abbassarsi di
fronte all’altro, un farsi servi, indipendentemente da chi ci sta
di fronte e dal fatto che se lo meritino o no. Amore è essere
disposti a prendere su di sè la condizione dell’altro, anche i
suoi errori, per tentare di salvarlo.
Don Orione diceva: “Solo
la carità salverà il mondo”.
La carità di cui parla lui, è l’amore vero inteso non solo come
gesto di compassione verso i poveri o gli ammalati, ma come stile di
vita disposto ad annullarsi per salvare l’altro. “Da
questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore l’uno
verso l’altro”.
Troppo spesso noi consideriamo carità
quello che facciamo per persone distanti attraverso le nostre
offerte, o il tempo che dedichiamo come volontari, sia per i
disabili, o gli anziani, o i senza tetto. Queste sono cose bellissime
e sono carità, ma il nostro amore deve andare molto oltre, si deve
rivolgere a tutti ad iniziare da chi ci sta proprio di fronte, anche
chi non se lo merita, ed è vero solo se fatto di umiltà e servizio.
Pensiamo a quante volte noi facciamo la
carità con spirito di superiorità, di arroganza, di protagonismo,
alla ricerca di gloria o riconoscenza. Il fatto che usiamo la parola
“fare la carità“
ci dice che c’è qualcosa di sbagliato. La carità non può essere
un gesto, deve essere un atteggiamento, un’espressione della vita
di quello che siamo, cioè del nostro essere seguaci di Cristo.
Il testamento che Gesù ci dà, la sua
eredità, è un “comandamento
nuovo”. Non è una
raccomandazione o un suggerimento ma un comando. Però è un comando
che non rimane scritto fuori sulla pietra come i 10 comandamenti ma
qualcosa che viene da dentro ed è donato ad ogni uomo come bisogno
che viene da dentro di amare come Lui ha amato per essere come Lui è.
È “nuovo”,
il che non vuol dire che si
oppone all’antico, l’antico col tempo acquista valore, il vecchio
si butta, l’antico si conserva, ma non è definitivo, per cui si
adopera il nuovo. Questo nuovo comandamento, l’amore, è la
bellezza pura assoluta oltre la quale non si può andare. È un
qualcosa che non può invecchiare che sarà sempre nuovo.
“Come io ho amato voi, anche voi
amatevi gli uni gli altri”.
Un amore
completamente gratuito che non si lascia condizionare. “Da
questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se vi amate”.
Sarà l’amore,
non le preghiere o le devozioni che ci caratterizzerà.
Ecco da dove deve venire la nostra gloria, non da quello che facciamo
ma da come amiamo.
Buona domenica