Chi è il vero re?
Gv 18,33-37 GESÙ E PILATO.
La festa di oggi fu istituita solo nel 1925, periodo in cui in Europa stavano sorgendo regimi totalitari. Papa Pio XI vuol far capire ai Cristiani che non è con il potere forte di questi regimi che si ottiene la pace (era appena terminata la Prima guerra mondiale), ma mettendo a capo della nostra vita Gesù, unico re dell’universo.
Il pericolo che si corre celebrando questa festa è quello di vederne il significato secondo criteri umani. A tutti noi piacerebbe essere dei re o almeno membri di una famiglia reale.
Quando pensiamo a un re ci viene in mente una persona che ha potere, denaro, che può aiutare gli altri, che abita in una bella casa, anzi in un palazzo, che ha tanti servitori eccetera: essere re vuol dire avere potere. Nei secoli si sono succeduti tanti tipi di potenze: re, imperatori, dittatori, potenze economiche, politiche. Il parlare di potere ci porta sempre a pensare all’influsso o al dominio che uno ha su un’altra persona.
Il Vangelo oggi paragona chiaramente due tipi di potere: quello di Pilato, responsabile politico della regione, e quello di Gesù che si proclama re ma che dice chiaramente: il mio regno non è di questo mondo.
Si capisce subito dall’inizio che quando Gesù parla di essere re non si riferisce a nessuna delle cose di cui abbiamo detto sopra.
Qual è il significato della regalità di Cristo? È Gesù stesso che ce lo dice, infatti fin dall’inizio del suo ministero ne ha parlato e nel Vangelo troviamo ben 104 volte la parola “il regno di Dio”.
Il vangelo di oggi svolge la tematica attraverso un dialogo a 3: Pilato fa continuamente la spola tra i Farisei che sono fuori ad attenderlo e Gesù che sta all’interno, e dal confronto tra i due tipi di risposte si ha la soluzione al nostro quesito.
Si nota subito che la domanda di Pilato a Gesù non è coerente con l’accusa fatta dai Farisei. Loro lo avevano presentato come un malfattore pericoloso e lui si limita a chiedere: “sei tu il re dei Giudei?” Chiaramente a lui interessa solo sapere se Gesù è un tipo che può essere pericoloso per l’imperatore e Gesù lo rassicura spiegando: “Il mio Regno non è da questo mondo”. Attenzione! C’è scritto “da”, complemento di provenienza e non “di”, complemento di appartenenza. Chiaro che Gesù è il re “di” questo mondo, ma la sua regalità non viene “da” questo mondo ma dal Padre e quindi il suo modo di regnare non segue i parametri e gli scopi di questo mondo ma quelli di Dio.
La logica di questo mondo è quella delle tentazioni che troviamo all’inizio del vangelo, infatti questo di oggi è l’ultimo tentativo di distogliere Gesù dal compiere il piano di Dio. Nelle tentazioni il diavolo faceva vedere a Gesù che il successo nella vita si ha attraverso la ricchezza, il potere politico, la popolarità. Gesù aveva resistito a queste tentazioni e per tutta la sua vita ha praticato il servizio, l’umiltà, la povertà. Ora Gesù sa che sta per morire e la tentazione di cercare qualche scappatoia attraverso qualche miracolo gli sarà di certo passata per la testa, infatti dice: “Se io ragionassi secondo questo mondo, i miei angeli verrebbero a combattere per liberarmi”. Inoltre dice: “Per questo io sono venuto, per dare testimonianza alla verità”. Pilato, invece, agisce secondo quello che ritiene meno pericoloso per la sua posizione, cioè asseconda le richieste della gente e consegna loro Gesù, ma non segue quello che la sua coscienza gli richiede, infatti dentro di sé voleva salvarlo.
Anche noi siamo terribilmente influenzati dalle idee della gente che ci sta attorno, dalla mentalità del mondo. Quante volte diciamo: “Ma fan tutti così”; “Ma poi gli altri cosa diranno”; “Che figura ci faccio”.
Vivere in compromesso è una situazione molto comune al giorno d'oggi. Ci permette forse di salvare la nostra posizione sociale ma spesso rovina tutto quello in cui crediamo.
Ci troviamo quindi di fronte al problema di voler seguire Cristo ma al tempo stesso al non voler accettare le rinunce, le prove, le sofferenze che la nostra scelta cristiana comporta.
Cos’è questa verità di cui Gesù parla e che turba tanto Pilato? La verità che Gesù ha proclamato e testimoniato con la sua vita ha tre livelli:
a) Verità su Dio. Il Dio di Gesù Cristo è ben diverso da quelli dei pagani, ma anche diverso da come è presentato dai Giudei. È un Dio amore, non un dio castigo; è un Dio vicino non un dio lontano.
b) Verità sull’uomo. Spesso utilizziamo l’espressione “è un vero uomo”, intendendo una persona buona, retta. L’uomo è figlio di Dio e quindi chiamato ad amare. Lui non è una belva che sbrana gli altri ma uno che ha bisogno degli altri.
c) Verità sull’autorità o sulla regalità. È l’autorità dell’agnello che si presenta in mezzo ai lupi, che si fa servo di tutti, che dà tutto se stesso per gli altri.
In un altro brano del Vangelo di Giovanni Gesù dice: “Se voi rimarrete nella mia parola sarete veramente miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.
Essere nella verità vuol dire conoscere la parola di Dio, ascoltarla, rifletterla e farla nostra nella vita.
Rimanere nella verità è l'unico atteggiamento possibile per i veri Cristiani.
Pilato non comprende questo messaggio, chiede a Gesù: “Cos’è la verità?” La sua non è una domanda inquisitoria ma uno sfogo di scoraggiamento ed esce subito senza attendere una risposta di Gesù. Rimane schiavo delle sue paure e consegnerà Gesù in mano ai Giudei perché lo crocifiggano.
Anche la gente, pur di andare contro Cristo non esita a dire: "Non abbiamo altro Dio all'infuori di Cesare" e così si mettono nelle mani dei loro oppressori, si rendono ancora più schiavi.
Il compromesso che Pilato fa con le sue paure manda Cristo sulla croce; i nostri compromessi mandano sulla croce tanti valori che sappiamo sono veri e importanti, ma che vanno contro quello che la maggioranza vuole o dice.
Festeggiare Cristo re vuol dire festeggiare l'importanza di tutti questi valori.
La descrizione del processo, rappresenta un po' anche il travaglio interiore della nostra vita.
Pilato esce, parla con la gente, poi rientra e parla con Gesù. Quando è dentro riconosce la bontà di Gesù, ma poi quando esce si lascia sopraffare e intimorire dal vociferare della gente.
Nella nostra vita spirituale è solo quando ci poniamo in silenzio e riflessione che possiamo cogliere il messaggio di Dio. Se ci limitiamo a stare fuori, il rumore del mondo ci distrae e ci distoglie dalle cose di Dio per consegnarci alla mentalità del mondo.
Siamo vicini alla fine dell'anno. Riflettere su Cristo re vuol dire riflettere sulla nostra vita e imparare a leggerla come tempo di grazia, di peccato, di libertà:
“Di grazia” perché riconosciamo che Dio agisce in noi. Egli non può rimanere indifferente a tutte le nostre necessità se è il re.
“Di peccato”, perché nonostante la bontà di Dio, la nostra debolezza umana è grande e la nostra inclinazione al male ci porta a tradire gli ideali che ci proponiamo.
Di libertà perché la venuta del Signore sulla terra ha restaurato la nostra libertà dalla schiavitù del peccato.
Allora non c'è posto per nessun pessimismo o sfiducia, la nostra debolezza è solo un motivo in più per confidare nella bontà del Signore. "Dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia”.
La festa di oggi fu istituita solo nel 1925, periodo in cui in Europa stavano sorgendo regimi totalitari. Papa Pio XI vuol far capire ai Cristiani che non è con il potere forte di questi regimi che si ottiene la pace (era appena terminata la Prima guerra mondiale), ma mettendo a capo della nostra vita Gesù, unico re dell’universo.
Il pericolo che si corre celebrando questa festa è quello di vederne il significato secondo criteri umani. A tutti noi piacerebbe essere dei re o almeno membri di una famiglia reale.
Quando pensiamo a un re ci viene in mente una persona che ha potere, denaro, che può aiutare gli altri, che abita in una bella casa, anzi in un palazzo, che ha tanti servitori eccetera: essere re vuol dire avere potere. Nei secoli si sono succeduti tanti tipi di potenze: re, imperatori, dittatori, potenze economiche, politiche. Il parlare di potere ci porta sempre a pensare all’influsso o al dominio che uno ha su un’altra persona.
Il Vangelo oggi paragona chiaramente due tipi di potere: quello di Pilato, responsabile politico della regione, e quello di Gesù che si proclama re ma che dice chiaramente: il mio regno non è di questo mondo.
Si capisce subito dall’inizio che quando Gesù parla di essere re non si riferisce a nessuna delle cose di cui abbiamo detto sopra.
Qual è il significato della regalità di Cristo? È Gesù stesso che ce lo dice, infatti fin dall’inizio del suo ministero ne ha parlato e nel Vangelo troviamo ben 104 volte la parola “il regno di Dio”.
Il vangelo di oggi svolge la tematica attraverso un dialogo a 3: Pilato fa continuamente la spola tra i Farisei che sono fuori ad attenderlo e Gesù che sta all’interno, e dal confronto tra i due tipi di risposte si ha la soluzione al nostro quesito.
Si nota subito che la domanda di Pilato a Gesù non è coerente con l’accusa fatta dai Farisei. Loro lo avevano presentato come un malfattore pericoloso e lui si limita a chiedere: “sei tu il re dei Giudei?” Chiaramente a lui interessa solo sapere se Gesù è un tipo che può essere pericoloso per l’imperatore e Gesù lo rassicura spiegando: “Il mio Regno non è da questo mondo”. Attenzione! C’è scritto “da”, complemento di provenienza e non “di”, complemento di appartenenza. Chiaro che Gesù è il re “di” questo mondo, ma la sua regalità non viene “da” questo mondo ma dal Padre e quindi il suo modo di regnare non segue i parametri e gli scopi di questo mondo ma quelli di Dio.
La logica di questo mondo è quella delle tentazioni che troviamo all’inizio del vangelo, infatti questo di oggi è l’ultimo tentativo di distogliere Gesù dal compiere il piano di Dio. Nelle tentazioni il diavolo faceva vedere a Gesù che il successo nella vita si ha attraverso la ricchezza, il potere politico, la popolarità. Gesù aveva resistito a queste tentazioni e per tutta la sua vita ha praticato il servizio, l’umiltà, la povertà. Ora Gesù sa che sta per morire e la tentazione di cercare qualche scappatoia attraverso qualche miracolo gli sarà di certo passata per la testa, infatti dice: “Se io ragionassi secondo questo mondo, i miei angeli verrebbero a combattere per liberarmi”. Inoltre dice: “Per questo io sono venuto, per dare testimonianza alla verità”. Pilato, invece, agisce secondo quello che ritiene meno pericoloso per la sua posizione, cioè asseconda le richieste della gente e consegna loro Gesù, ma non segue quello che la sua coscienza gli richiede, infatti dentro di sé voleva salvarlo.
Anche noi siamo terribilmente influenzati dalle idee della gente che ci sta attorno, dalla mentalità del mondo. Quante volte diciamo: “Ma fan tutti così”; “Ma poi gli altri cosa diranno”; “Che figura ci faccio”.
Vivere in compromesso è una situazione molto comune al giorno d'oggi. Ci permette forse di salvare la nostra posizione sociale ma spesso rovina tutto quello in cui crediamo.
Ci troviamo quindi di fronte al problema di voler seguire Cristo ma al tempo stesso al non voler accettare le rinunce, le prove, le sofferenze che la nostra scelta cristiana comporta.
Cos’è questa verità di cui Gesù parla e che turba tanto Pilato? La verità che Gesù ha proclamato e testimoniato con la sua vita ha tre livelli:
a) Verità su Dio. Il Dio di Gesù Cristo è ben diverso da quelli dei pagani, ma anche diverso da come è presentato dai Giudei. È un Dio amore, non un dio castigo; è un Dio vicino non un dio lontano.
b) Verità sull’uomo. Spesso utilizziamo l’espressione “è un vero uomo”, intendendo una persona buona, retta. L’uomo è figlio di Dio e quindi chiamato ad amare. Lui non è una belva che sbrana gli altri ma uno che ha bisogno degli altri.
c) Verità sull’autorità o sulla regalità. È l’autorità dell’agnello che si presenta in mezzo ai lupi, che si fa servo di tutti, che dà tutto se stesso per gli altri.
In un altro brano del Vangelo di Giovanni Gesù dice: “Se voi rimarrete nella mia parola sarete veramente miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.
Essere nella verità vuol dire conoscere la parola di Dio, ascoltarla, rifletterla e farla nostra nella vita.
Rimanere nella verità è l'unico atteggiamento possibile per i veri Cristiani.
Pilato non comprende questo messaggio, chiede a Gesù: “Cos’è la verità?” La sua non è una domanda inquisitoria ma uno sfogo di scoraggiamento ed esce subito senza attendere una risposta di Gesù. Rimane schiavo delle sue paure e consegnerà Gesù in mano ai Giudei perché lo crocifiggano.
Anche la gente, pur di andare contro Cristo non esita a dire: "Non abbiamo altro Dio all'infuori di Cesare" e così si mettono nelle mani dei loro oppressori, si rendono ancora più schiavi.
Il compromesso che Pilato fa con le sue paure manda Cristo sulla croce; i nostri compromessi mandano sulla croce tanti valori che sappiamo sono veri e importanti, ma che vanno contro quello che la maggioranza vuole o dice.
Festeggiare Cristo re vuol dire festeggiare l'importanza di tutti questi valori.
La descrizione del processo, rappresenta un po' anche il travaglio interiore della nostra vita.
Pilato esce, parla con la gente, poi rientra e parla con Gesù. Quando è dentro riconosce la bontà di Gesù, ma poi quando esce si lascia sopraffare e intimorire dal vociferare della gente.
Nella nostra vita spirituale è solo quando ci poniamo in silenzio e riflessione che possiamo cogliere il messaggio di Dio. Se ci limitiamo a stare fuori, il rumore del mondo ci distrae e ci distoglie dalle cose di Dio per consegnarci alla mentalità del mondo.
Siamo vicini alla fine dell'anno. Riflettere su Cristo re vuol dire riflettere sulla nostra vita e imparare a leggerla come tempo di grazia, di peccato, di libertà:
“Di grazia” perché riconosciamo che Dio agisce in noi. Egli non può rimanere indifferente a tutte le nostre necessità se è il re.
“Di peccato”, perché nonostante la bontà di Dio, la nostra debolezza umana è grande e la nostra inclinazione al male ci porta a tradire gli ideali che ci proponiamo.
Di libertà perché la venuta del Signore sulla terra ha restaurato la nostra libertà dalla schiavitù del peccato.
Allora non c'è posto per nessun pessimismo o sfiducia, la nostra debolezza è solo un motivo in più per confidare nella bontà del Signore. "Dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia”.