Inviati: Chi? perché? Come?


La missione dei Dodici. 6,7-13
Il brano di oggi fa parte dell’invio dei discepoli di Gesù, raccontato con più dettagli nel capitolo 10 di Matteo.
Questa missione ha due scopi: prima di tutto far loro sperimentare in pratica quello che finora avevano imparato guardando e ascoltando lui, poi ha anche lo scopo di preparare la gente per la sua venuta annunciando: “il Regno dei cieli è vicino”. Vi ricordate che domenica scorsa Gesù era andato a Nazareth e lì i suoi compaesani non avevano voluto lasciarsi coinvolgere dal suo messaggio. Ora Gesù cambia tattica, manda avanti a sé gli apostoli.
Dalla presentazione di Marco risaltano subito alcuni aspetti principali necessari a tutti coloro che vogliono essere testimoni di Cristo nel mondo.
Il primo aspetto riguarda il modo in cui sono inviati: non li manda da soli ma a due a due. Il messaggio di Gesù non è un affare privato, e, se vuol essere vero, non può essere basato solo sulle parole, sulle prediche, sulle catechesi. Chi testimonia è parte di una comunità, di una famiglia e il messaggio è centrato sull’amore. Allora l’andare in due rende visibile questo aspetto famigliare attraverso l’aiuto vicendevole, la collaborazione tra i due, la condivisione, tutti sono elementi importanti di ogni rapporto di amore. Noi siamo chiamati a fare parte di questa comunità, famiglia, non di un gruppo o di una massa ma di una famiglia, cioè una struttura basata su unità di intenti e amore vicendevole.
Il secondo aspetto riguarda lo scopo della missione: “Diede loro il potere sugli spiriti immondi”. Immondo è tutto ciò che è contro la vera vita, cioè tutte quelle strutture, atteggiamenti, di cui ci siamo rivestiti e che ci impediscono di vivere liberi cioè di amare. Il Regno di Dio sarà veramente tra noi, solo quando l’amore regnerà, cioè quando toglieremo tutti i nostri stili di egoismo, divisione, giudizio, orgoglio, eccetera.
Un terzo aspetto riguarda lo stile di questi annunciatori che è quello della semplicità e fiducia totale nella Provvidenza di Dio.  La via sulla quale sono inviati è quella della vita cristiana. Siamo persone in cammino dietro a Cristo. Gli apostoli non vanno a nome loro e neppure per fare ciò che desiderano; è Dio che li manda, quindi Dio provvederà loro di tutto quello di cui hanno bisogno. La sobrietà di vita è un’arma indispensabile per il testimone perché più siamo attrezzati, più risaltano le cose materiali e umane e Dio viene messo in secondo piano. Più ci sentiamo bravi, capaci, attrezzati, più diventiamo indipendenti, più attiriamo l’attenzione su di noi invece che sul messaggio di Dio.
Un quarto aspetto, infine, riguarda la capacità di entrare in rapporto con le persone a cui li manda. “Dovunque entrate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì”. Gesù invita i discepoli ad entrare nella casa, cioè nel contesto di vita delle persone e lì soffermarsi. La missione del testimone non è una toccata e fuga, una predica e poi chi si è visto s’è visto. Un vero testimone, dato che il contenuto della testimonianza è l’amore, deve dare spazio all’ascolto, all’interessarsi degli altri, al farsi aiutare dagli altri, lasciarsi coinvolgere. Se poi qualcuno questo coinvolgimento diretto lo rifiuta, allora sarete giustificati a volgervi dall’altra parte, non perché rifiutate quelle persone ma perché rifiutate il loro stile di chiusura all’amore.
Il mondo di oggi ha bisogno di testimoni perché troppa gente anche se sono cristiani di nome, non sa più chi è Dio e non ne conosce il messaggio di salvezza. Pensiamo a chi insegna catechismo o a scuola e si rende conto che i ragazzi a cui parla non sono per niente interessati a ciò che si insegna, non apprezzano i valori che presentiamo. Senza contare poi quelli che con la Chiesa non hanno più collegamento. Essi non vengono né a sentire le mie prediche né partecipano alle vostre catechesi o incontri parrocchiali; probabilmente non entrano in chiesa da anni. Queste persone, però, incontrano voi tutti i giorni per strada, sul posto di lavoro, magari sono anche vostri parenti o amici.  Essi sanno e devono sapere che siete cristiani, non tanto perché glie lo dite a parole, ma lo devono capire dal vostro modo di vivere, di agire. Il Cristiano non è colui che annuncia a parole il messaggio cristiano ma colui che lo incarna. Ci sono troppe persone al giorno d’oggi che utilizzano il nome cristiano solo per interessi personali. Troppi cristiani a compartimenti stagni che su un settore sono papalini e su un altro dicono peste e corna degli insegnamenti della Chiesa. Gesù ha detto agli apostoli di portare solo una tunica, solo un modo di presentarsi, non con un pensiero quando sono in casa, uno diverso quando sono in Chiesa, uno diverso quando sono in politica o con amici. Queste divisioni a compartimenti della nostra vita, questi doppi sensi e compromessi, questo utilizzo sbagliato della religione, sono i demoni contro cui Gesù ha dato, agli apostoli, il potere di lottare. La nostra testimonianza diventa vera ed efficace quando è cosciente che è Dio che agisce per mezzo di noi (cf. 1a Lettura di Amos) e quando tende a mettere Cristo a capo di tutte le cose (cf. 2a lettura di Efesini 1).

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