Il buon Pastore e noi pastori


Il buon Pastore e noi pastori. Gv. 10
Ci troviamo di fronte a un brano molto conosciuto del Vangelo. Chi non ricorda qualche bel quadro di Gesù Buon Pastore con la pecorella sulle sue spalle mentre cammina per riportarla all’ovile? Guardandolo ci siamo sentiti meglio, più protetti. In effetti proprio questo è il punto centrale del vangelo di oggi: Gesù si prende cura di noi.
Per capire bene questo vangelo bisogna partire dall’episodio del capitolo precedente, il 9 cioè la guarigione del cieco nato. Al centro di quell’episodio vi è la disputa tra coloro che si credono capi del popolo e autorizzati a decidere su tutti e un cieco nato che con la sua semplicità manda all’aria tutta la struttura farisaica. Costoro, nonostante tutta la loro autorità e scienza non sanno riconoscere e accettare Gesù, il cieco, invece, nonostante il suo impedimento a vedere accetta Gesù e crede in Lui.
A partire da questo il capitolo 10 sviluppa un lungo discorso formato da due parti:
1- Io sono la porta del recinto. E’ solo passando attraverso Gesù che si può avere la garanzia di autenticità della nostra vita e del nostro apostolato.
2- Io sono il buon Pastore: è Gesù che si prende cura di noi e scopo della nostra vita e del nostro apostolato altro non è che essere lo strumento nelle mani di Gesù perché possa svolgere la sua missione di protettore e salvatore.
Il brano di oggi fa parte esattamente di questa seconda parte.

Elementi del pastore:
- offre la vita per le pecore perché gli appartengono. Il suo non è un lavoro ma la ragione del suo essere.
- conosce le pecore ed è conosciuto da esse.
Lo stile di questa conoscenza è la stessa tra Gesù e il Padre, quindi partecipazione di vita.
Ricordiamo che sede della conoscenza nella Bibbia è sempre il cuore e non il cervello.
- il suo compito non è limitato solo a quel piccolo gregge, ma lavora per fare dei vari greggi uno solo. In tutto l’AT la figura del gregge era riferita solo ad Israele e i pastori erano i profeti e i sacerdoti. Con Cristo questa chiusura è abolita. Lavora per l’unità, criterio di scelta è l’amore. Il criterio di appartenenza delle pecore al gregge è ascoltare la parola del pastore.

All’opposto del Pastore sta il mercenario che invece:
- Non sente amore e appartenenza ma guarda solo all’interesse personale (la paga)
- Non conosce in profondità le sue pecore perché esse altro non sono che lo strumento della sua gratificazione personale, della sua realizzazione professionale, appagamento della sua vanagloria. Non condivide la vita con loro ma si pone al di sopra, vuole comandare non servire, non accetta idee o suggerimenti o correzioni che pongano in dubbio la sua autorità.
- Non ha interesse ad allargare il gregge, ad aprirsi ad altre persone, ad allargare il suo lavoro, a meno che questo non serva per avere più gloria e più ricchezza.

Quindi al centro del messaggio sta il dover conoscere Gesù, fare esperienza della sua presenza e del suo amore e ascoltare la sua voce cioè cercare di vivere secondo lo stile e i comandi che lui ci dà.

Ecco allora alcuni elementi per noi da mettere in pratica:
1- Al cap. 3 Nicodemo dice a Gesù: “Maestro sappiamo che vieni da Dio”. I farisei hanno discusso riguardo a Gesù e si rendono conto che il suo operato viene da Dio, ma nonostante questo non se la sentono di accettarlo. Questo è l’esempio di una conoscenza che è solo intellettuale e non parte dal cuore. Noi abbiamo una formazione teologica e catechetica eccezionale, ma potremmo rischiare di fermarci a livello intellettivo per paura di lasciarci coinvolgere troppo e quindi dover rinunciare a tante nostre comodità.
2- Lui è la porta. Tutto, nella nostra vita, deve passare attraverso di Lui (fedeltà alla sua parola) e deve lavorare in vista di Lui. La nostra competenza a volte potrebbe farci correre il rischio di dare noi stessi alla gente invece di dare Dio, e l’abitudine al lavoro ci può far correre il rischio di non porre attenzione alla persona che abbiamo di fronte ma solo all’andamento della nostra giornata, del nostro tempo e lavoro.
3- L’opera di Gesù è rivolta al mondo intero. La nostra vita ha senso solo come partecipazione alla missione di Cristo, allora deve essere aperta a tutti, secondo quanto lo Spirito, nei modi più impensabili, vorrà indicarci. Quante volte siamo tentati di fare distinzioni, e favoritismi.
Essere Cristiani, oggi vuol dire essere pecore del gregge di Cristo e pastori delle persone che ci stanno attorno.

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