La salvezza e la porta stretta
Sono
tanti o pochi quelli che si salvano? Bella domanda che tradotta in
altre parole potrebbe essere: io posso farcela a salvarmi? Questa è
la tensione non solo di tutte le religioni ma anche della scienza e
della tecnica. Salvarsi da malattie, da pericoli, o anche più
semplicemente dal faticare troppo, dal fare troppi sforzi: tutto è
teso lì. Nel passato si vedeva la salvezza come un qualcosa
riservato alla vita futura o a persone in grave pericolo di vita, ora
la sfera si allarga a tutto quello che può essere scomodo o faticoso
o di disturbo. Quando io ero piccolo mia nonna mi diceva sempre il
famoso proverbio: “In paradiso non si va in carrozza”, ottimo
riassunto della risposta di Gesù.
Gesù
oggi dà dei parametri ben precisi per la salvezza: La porta è
stretta; molti verranno e busseranno portando come ragione per
entrare il fatto di essere Ebrei, magari anche parenti, di averlo
sentito e magari anche di essersi seduti a tavola assieme a lui:
molti di questi saranno rigettati “perché, dice Gesù, non vi
conosco”; infine verranno molti stranieri dal nord, sud, est, ovest
ed entreranno: la salvezza, quindi, non viene né automaticamente né
a buon mercato.
Quello
che sconcerta di più è forse l’ultima frase: verranno da tutte le
parti e vi passeranno davanti. Se noi facciamo scorrere tutto
l’Antico Testamento vediamo in continuazione la raccomandazione da
parte di Dio di tenersi separati da tutti i popoli confinanti
considerati nemici perché essi hanno altri dèi con templi più
appariscenti, riti più grandiosi e soprattutto meno esigenze morali
e religiose. Gli Ebrei spesso si sono lasciati contaminare da questi
riti e modi di credere. Solo un Ebreo che si fosse mantenuto separato
era degno di entrare nel regno dei cieli. Ora arriva questo
giovanotto chiamato Gesù e dice che molti di questi nemici entrano
in paradiso e loro, i giusti, devono stare fuori.
Quali
sono i criteri di giudizio?
Prima
di tutto a Dio interessa la qualità non la quantità. La porta
stretta indica che è necessario uno sforzo per entrare quindi una
scelta precisa determinata che la persona deve fare anche a costo di
sacrifici. Non si tratta di guadagnarsi la salvezza che è offerta
gratuitamente da Dio a tutti, ma di porre quelle condizioni
necessarie per poterla accettare a cuore libero.
Non
ci sono favoritismi di razza, lingua, posizione sociale e neanche di
religione. Il fatto che loro, da fuori la porta, dicano: “ti
abbiamo sentito parlare nelle nostre piazze, abbiamo mangiato alla
tua mensa” potrebbe rappresentare, oggi, delle persone che vanno a
messa regolarmente ma senza conoscere Gesù. Cosa? È possibile?
Certo che lo è. Il conoscere indica una relazione di amicizia, di
condivisione di vita, se io prego o vado a Messa solo per soddisfare
un precetto, la tradizione o uno scrupolo di coscienza ma non vi
pongo amore, non ascolto la parola con l’intenzione di coglierne il
messaggio e di applicarlo alla mia vita, se mi accosto alla comunione
senza rendermi conto di chi sta entrando nel mio cuore e di come
dovrei io comportarmi di conseguenza, allora posso dire veramente di
conoscere Dio? Le persone che il Vangelo definisce come provenienti
da altri luoghi indicano l’ingresso nella Chiesa di molte nazioni
che storicamente non avevano niente a che fare con la religione
Ebraica come Greci, Siriani, Romani eccetera. Costoro hanno mostrato
subito interessamento ed entusiasmo nel loro modo di vivere la nuova
religione.