Chi è il prossimo?
Il Samaritano è il prossimo.
Chi è il mio prossimo? È una domanda interessante, specialmente considerando da chi viene. Il dialogo tra Gesù e l'esperto della legge era nato da una richiesta precisa di quest'ultimo: "Cosa devo fare per ereditare la vita eterna?" Questo indica da una parte il sincero desiderio di andare in paradiso, quindi di fare bene, dall'altra sottolinea un pensiero molto comune a quei tempi, cioè che il paradiso bisogna guadagnarselo. Questa è una mentalità molto diffusa anche tra noi cristiani e forse anche tra molti di quelli che stanno leggendo questo mio commento: dobbiamo guadagnarci il Paradiso. Ma c'è qualcuno di noi che può riuscire a guadagnarsi il Paradiso? Come fare per riuscirci?
Gesù non risponde direttamente, lascia che sia lui a rispondere facendogli una domanda: cosa trovi scritto nella legge, nella tradizione, nella religione che tu professi? e lui da esperto della legge, cita la frase forse più conosciuta di tutta L'Antico Testamento: amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Stranamente aggiunge un'altra frase che non è direttamente collegata con la prima, almeno nella scrittura: amerai il prossimo tuo come te stesso. La prima frase, amerai il Signore tuo Dio, è presa dal capitolo 6 del libro del Deuteronomio, ed è una preghiera che tutti gli Ebrei recitano almeno 6 volte al giorno. L'ultima frase, amerai il prossimo tuo, è scritta nel libro dei Numeri, e quindi non direttamente collegata con la prima parte. È interessante, quindi, l'accostamento. Tutti si sforzano di amare Dio, con la preghiera, seguendo i dieci comandamenti, recitando le benedizioni rituali, eccetera. Questo era per loro il modo di guadagnarsi la vita eterna, ma forse lui sentiva in cuore che gli mancava qualche cosa, ma non sapeva bene cosa era. Ecco perché, quando Gesù gli dice di praticare quello che ha proclamato a parole, lui si giustifica chiedendo: E chi è il mio prossimo?
La domanda è importante perché viene da una persona esperta della religione ebraica dove era ben chiaro il precetto che proibiva di mischiarsi con gli stranieri, perché nella storia, tutte le volte che Israele faceva delle alleanze con le nazioni vicine, queste introducevano i loro dèi corrompendo la fede degli Ebrei e venivano poi puniti da Dio. L'unico modo per mantenere la purezza stava nel tenersi separati da tutti. Allora il prossimo era il vicino, il parente o per lo meno una persona della stessa tribù. Probabilmente nella sua coscienza capiva che non era sufficiente, ma non aveva il coraggio di fare il passo successivo. Ecco perché chiede, non solo per giustificarsi del fatto che forse sta facendo poco per gli altri, ma anche per chiarire a se stesso fino a dove può spingersi nell'amare. Gesù questa volta risponde, non attraverso un insegnamento dogmatico, ma attraverso una storiella. Una persona scende da Gerusalemme verso Gerico. Questa persona viene assalita dai briganti che lo picchiano e gli portano via tutto, e lo lasciano ferito sulla strada. Ognuno di noi può sperimentare quante cose ci fanno male, ci feriscono, ci portano via la tranquillità e la serenità. Mentre è lì sulla strada, bisognoso, ci sono 3 persone che passano vicino. Il primo è un sacerdote, cioè un esperto di Bibbia e di religione. Lui che deve fare tutto a nome di Dio, non si accorge neanche che c'è un ferito, o se se ne accorge, tira dritto, ma non lo tocca. Il secondo è un lavoratore del tempio, potremmo dire una persona religiosa che non è un sacerdote o un consacrato, comunque una persona che va in chiesa, magari anche che collabora come un sacrestano o qualcosa del genere. Anche lui vede il bisognoso, ma passa oltre. Essi non sanno andare oltre alla teoria. La teoria diceva tante cose per giustificarli. Se tu tocchi un ferito, specialmente se c'è del sangue, diventi impuro. Se diventi impuro, poi non puoi entrare nel tempio a pregare per almeno 7 giorni. Se ti fermi, poi, chissà cosa succede. Come hanno picchiato lui potrebbero picchiare anche te, inoltre devi perdere il tempo. Insomma, ci sono mille ragioni per non fare il bene. Allora, chi è il prossimo?
Ma c'è un terzo personaggio, uno straniero, un Samaritano. I Samaritani, originariamente non erano Ebrei, erano arrivati circa 300-400 anni prima e si erano convertiti alla religione ebraica, ma avevano conservato molte cose della loro religione originaria, per cui c'era sempre conflitto, specialmente religioso tra loro e gli altri Giudei o Galilei. Costui vede il ferito, si ferma, gli dedica il suo tempo, si prende cura di lui, non ha paura di toccarlo, non ha paura di rendersi impuro, non ha paura che gli possa succedere qualcosa, gli versa sopra le ferite olio e vino, cose preziose che magari stava portando con sé per andare a vendere. Carica la persona sul suo giumento, il che vuol dire che lui si mette a camminare pur di far sentire comodo il ferito, lo porta in una locanda dove lo affida al custode e si ferma con lui per tutta la notte. Al mattino seguente lui prosegue per la sua strada, per cui non si attacca all'apostolato che ha fatto, però non lo lascia a metà, paga e dice al custode: "Tu prenditi cura di lui, e se avrai bisogno di qualcosa in più, al mio ritorno, te lo rimborserò". Quindi il suo è un impegno a tutti i livelli che non vuol dire attaccamento o protagonismo, ma che vuol dire impegnarsi di prima persona nel soccorrere colui che ha bisogno, anche se non è mio parente, non è della mia etnia e probabilmente non professa la stessa religione, almeno nello stesso modo. Costui è l'esempio da seguire.
Voi mi direte: adesso abbiamo capito: Amare il prossimo vuol dire aiutare chi è nel bisogno. Questo è il modo per guadagnarsi la vita eterna. È vero. Però non è tutto qui. Gesù nel suo modo di formulare l'ultima domanda, introduce un altro piccolo imbroglio. Noi abbiamo detto che il mio prossimo è colui che ha bisogno di me, quindi io sono il forte e aiuto il debole; ciò che mi fa avere la vita eterna è poter aiutare l'altro che è inferiore a me. Ma Gesù fa una domanda posta in un modo volutamente sibillino: "Quale dei tre è stato il prossimo di colui che era stato ferito?" Non dice che il ferito è il prossimo, ma che il prossimo è colui che si è fermato, il che vuol dire che se essere prossimo vuol dire avere bisogno e ricevere un beneficio, colui che ha ricevuto il beneficio non è soltanto il ferito che viene curato, ma è il Samaritano stesso che si è preso cura di lui. Questa è una cosa da ricordare bene quando facciamo del bene: ci guadagniamo un pezzo di paradiso, ma ce lo guadagniamo non tanto perché abbiamo fatto qualche cosa per un altro, ma perché, abbiamo fatto qualcosa che di per sé appartiene a Dio, cioè, siamo diventati uno strumento nelle mani di Dio. Allora noi siamo noi i primi ad essere beneficati, in quel momento noi diventiamo come Dio stesso, non perché vogliamo pretendere di essere bravi come Dio, ma perché permettiamo a Dio di entrare in noi, prendere possesso di noi, agire attraverso di noi, quindi condividiamo la sua azione e la sua natura. Io credo che questo sia il discorso più importante per Gesù. Guadagnarsi la vita eterna vuol dire vivere in comunione con Dio per l'eternità. Quand'è che io vivo in comunione con una persona? Quando ne condivido la natura, l'ambiente, il tempo, eccetera. Allora guadagnarsi la vita eterna vuol dire cominciare a vivere la vita di Dio, cominciare a permettere a Dio di abitare dentro di noi. Il nostro agire a favore degli altri è il modo concreto per far sì che Dio possa agire dentro di noi. Per vivere la vita eterna non abbiamo bisogno di morire e salire in cielo, lo possiamo fare già di qua. Allora ricordiamoci: noi siamo chiamati ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta la nostra anima, con tutte le nostre forze. Come farlo? Amando il prossimo.
Amando il prossimo rendiamo presente Dio in noi, e quindi diventiamo un tutt'uno con Lui, questo ci darà la gioia eterna.