Due vite o una? La vita eterna

Lc 20:17-28
Interessante la storiella del vangelo di oggi: una donna che sposa sette fratelli, e alla fine, in cielo chissà che rissa per reclamare il possesso di tale donna. Me la immagino la scena come sarà passata dalla testa di quei Sadducei: è mia moglie, no è la mia, ecc. Questa storia, che si basa su una prassi dei tempi di Gesù si basava sul duplice fatto che: ogni famiglia deve continuare attraverso una discendenza, naturalmente maschile, e inoltre nessuna donna, appunto perché donna, dovrebbe stare sola, deve sempre essere sotto la protezione/controllo o del padre, o del marito, o del figlio. Al di là della mentalità, che naturalmente noi oggi rifiutiamo, c’è dietro un altro pensiero che è quello per cui la storia viene tirata fuori e cioè che non esiste l’al di là, tutto finisce il momento in cui moriamo. Questa mentalità, anche se non era condivisa da tutti, rappresentava comunque la maggioranza della gente e specialmente la classe dei Sadducei che rappresentavano la classe ricca del tempo.
 Questo Vangelo capita a proposito per noi che pochi giorni fa abbiamo celebrato la memoria di tutti i morti e quindi ci interpella sul rapporto che noi abbiamo con essi.
In questi giorni ci siamo recati al cimitero, abbiamo posto fiori e pregato sulla tomba dei nostri cari, ne abbiamo sentito e ancora sentiamo la mancanza. Da buoni cristiani crediamo che ora essi vivono nella felicità eterna con Cristo, ma ci crediamo davvero? Cos’è questa vita eterna che almeno a parole professiamo? Bisogna che ne abbiamo le idee chiare perché dalla risposta a questa domanda dipende molto il modo in cui impostiamo la nostra vita quotidiana.
Naturalmente tutti crediamo al paradiso ma il problema è che alla vita eterna non ci si pensa o se ci si pensa lo si pensa come se fosse una vita totalmente diversa, di cui sappiamo niente per cui adesso sono qui e faccio quanto è possibile per godermi questa vita, quando poi andrò di là, comincerò un’avventura diversa e deciderò allora cosa poter fare per godermi anche quella. Quello che Gesù nel vangelo vuole insegnarci è che non ci sono due vite una qua e un’altra di là ma una vita sola, quella eterna, che comincia di qua e continua. La morte non è la fine ma un momento di passaggio. Le due fasi sono chiaramente diverse ma legate quasi a conseguenza una dell’altra. Qui siamo caratterizzati da tutte le necessità fisiche e fisiologiche che diventano lo spazio concreto in cui possiamo imparare a conoscere Dio, il suo agire, il suo insegnamento e il suo amore per noi, e poi liberamente scegliere se lo vogliamo accettare o no. Di là non avremo più occasione di rifare la scelta perché saremo in contatto diretto con Lui, godendo della sua presenza o soffrendo della sua mancanza.
Abbiamo bisogno di imparare a vivere pensando sempre a Dio, perché Dio è già presente qui tra noi, Lui non è diverso, siamo noi ad essere diversi.
Ieri abbiamo celebrato il 25° anniversario di sacerdozio del nostro caro Don Alberto. In lui abbiamo celebrato non tanto la sua persona, e nemmeno il fatto che lui sia il direttore qui, ma i 25 anni in cui, attraverso il suo ministero, Cristo si è fatto presente in mezzo a noi. Pensate ai sacramenti che ha amministrato in nome di Dio, le volte che ha proclamato la parola di Dio e l’ha spiegata: quanta grazia è entrata nel mondo per mezzo della sua presenza. Ma don Alberto, come sacerdote e religioso non è solo un distributore della grazia ma è anche un segno visibile della realtà del regno dei cieli che è già presente qui tra di noi. I voti di Castità, povertà e obbedienza servono a lui per essere più vicino a Cristo, ma anche a noi come segno e ricordo del fatto che siamo invitati a vivere per sempre con Dio in paradiso, ma Dio è già qui tra noi oggi.

Grazie, don Alberto, della tua testimonianza, e cari fratelli continuate a pregare per lui, perché possa sempre essere uno strumento degno nelle mani del Signore.

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