Alle radici bibliche del motto di Don Orione Instaurare Omnia in Christo



14 Novembre 2015

Commento ad Efesini 1

Ho scelto questo brano perché lo ritengo uno dei brani fondamentali della spiritualità orionina, non solo perché qui troviamo il motto “Instaurare Omnia in Christo”, ma anche perché ci apre lo sguardo sul piano eterno di Dio.
La lettera agli Efesini è stata scritta da Paolo mentre era prigioniero a Roma verso il 61-63 DC. Ci sono delle persone nelle regioni dell'attuale Turchia che cominciano a dare troppa importanza ad angeli e esseri celesti sminuendo così la centralità di Cristo.
Ritornano alcune parole chiave che secondo lo stile ebraico vengono annunciate, poi vengono riprese e spiegate, poi riprese ancora e approfondite. Si chiama il metodo a circoli concentrici.
Tutto “In Cristo”: Paolo vuole dare un messaggio chiaro: Cristo è il capo di tutto, tutto riceve significato da Lui. Noi siamo chiamati ad essere uniti a Lui e in Lui, sia Ebrei che pagani.
Un altro argomento che vien fuori in tutta la lettera riguarda la “Fede”. Essa è il nostro modo di rimanere uniti in Cristo. Per la Fede siamo stati salvati. Fede è più che semplicemente sapere che Dio esiste, che ci ha creati, che ci ha salvati. Fede, per San Paolo, è adesione piena di volontà e di opere perché la parola “credo” vuol dire: “sono posto saldamente” come una casa sulla roccia; quindi tutto, nella nostra vita, deve partire da lì.
Conseguenza della nostra fede è la “Carità”. San Paolo è un esperto in carità, basti pensare al capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi scritto 10 anni prima di questa lettera. In San Paolo la carità presuppone sempre umiltà, dimenticarsi di se stessi per concentrarsi sull'altro. Questo rende possibile a Dio di lavorare in noi per costruire il suo corpo. L'artefice dell'unità è Cristo e non noi, e Cristo la costruisce quando gli permettiamo di fare il bene dell'altra persona attraverso le nostre opere. È lui che opera, noi siamo lo strumento. Questo processo è possibile quando noi svuotiamo noi stessi per lasciare che Lui ci riempia di sé, prenda possesso di tutte le nostre facoltà.
Altre parole che ritornano continuamente sono Grazia/gratuità, Gloria (sua e nostra), Destino/redenzione.
Il piano di Dio si svolge in 7 tappe segnate da 7 verbi del cantico iniziale (Ef. 1:3-11)
3 – Ci ha benedetti
4 – ci ha scelti
5 – ci ha predestinati
6 – ci ha gratificati (dato la sua grazia)
7 – ci ha redenti
9 – ci ha fatto conoscere
10 – ci ha riuniti in sé.
Questo è in poche parole lo schema della lettera.
Leggiamo ora con calma il brano e vediamo come queste parole ritornano in continuazione.
Veniamo ora al brano che abbiamo scelto, quello dell'inizio della lettera.
Inizia con le parole: “Paolo, per volontà di Dio ...”. La nostra vocazione è frutto della volontà di Dio. Ma sappiamo bene che la volontà di Dio è la nostra salvezza. Gesù aveva detto: “la volontà del Padre mio è che nessuno si perda di quanti mi ha dato”; e San Paolo dirà: “Il disegno del suo volere, cioè di ricapitolare tutte le cose in Cristo”. Quindi ogni nostra vocazione è prima di tutto una vocazione ad essere “santi” e a santificare gli altri. Capite come è pericoloso quando qualcuno dice: “io mi sono fatto prete/suora per servire i poveri” e poi si ferma lì. Questo è un buon punto di partenza ma se non si fa il passo di capire che il vero scopo è la nostra santità, allora il nostro apostolato diventa protagonismo, realizzazione personale; i poveri diventano lo strumento della nostra gloria, ricevono da noi il pane ma non ricevono Dio, allora li tradiamo.
Poi chiama i destinatari della sua lettera: “Santi”. Abbiamo già detto che questa è la nostra vocazione. La parola ebraica “Qadosh” vuol dire “messo a parte”, riservato, separato dal mondo perché riservato a Dio. Questo non vuol dire che dobbiamo fuggire dal mondo, diventare tutti eremiti, ma vuol dire quello che Gesù esprime in Gv 17: “Essi sono nel mondo ma non sono del mondo”, cioè vuol dire che siamo inseriti a pieno nella realtà del mondo ma con la coscienza che apparteniamo a Dio, quindi non possiamo fare nostra indistintamente qualsiasi cosa troviamo nel mondo, specialmente la mentalità “mondana” di cui parla spesso Papa Francesco. Gesù ci dice di essere sale e lievito per dare sapore e per far crescere la massa.
Poi li chiama “credenti”. Abbiamo già detto cosa significhi avere fede in Cristo. Il discorso che San Paolo fa, e anche il Vangelo, non sarà mai capito da chi ragiona al di fuori della fede e quindi non sarà mai accettato. Pensiamo al nostro modo di avvicinare la gente: spesso parliamo loro senza considerare se sono pronti ad accogliere un discorso di fede, o peggio ancora, vogliamo insegnare solo con le nostre parole e i nostri discorsi. La fede è un dono di Dio e quindi la trasmissione della fede si fa facendo fare alla persona l'esperienza di Dio, soprattutto con l'amore e la testimonianza della vita. Io dico sempre che è più difficile parlare ad un gruppo di adolescenti che si preparano per la cresima piuttosto che parlare a voi qui oggi. Quindi il fatto che San Paolo li chiama credenti non si riferisce solo al fatto che queste persone si professano cristiane e neppure solo al fatto che vivono da cristiane ma vuol dire che sono persone coscienti del Dono che hanno ricevuto da Dio e su questo basano il loro parlare e il loro vivere.
3 - Poi inizia il messaggio vero ed è un messaggio solenne, in cui è coinvolta la Trinità intera. È un messaggio fantastico per cui dobbiamo dare gloria a Dio, Padre, origine di tutto, che ci ha benedetti in Cristo, con una benedizione spirituale, cioè dandoci lo Spirito Santo. La nostra salvezza, la nostra unione con Dio, non è un gioco, non è cosa da poco, almeno da parte di Dio, lui la prende seriamente e ci mette tutta la sua potenza di Trinità. Ricordiamoci che Paolo scrive dalla prigione, quindi si trova in un momento di sofferenza, di debolezza, di sconfitta sebbene lui ha solo un sentimento di gratitudine per la salvezza che per lui è una certezza. Questo deve essere l'atteggiamento di tutti i cristiani che sono i portatori della “buona novella”. Questo è stato il primo argomento affrontato da Papa Francesco e il modo da lui voluto per la nostra testimonianza, cioè la gioia di essere ciò che veramente siamo.
Pensiamo invece a come si presentano le persone: io sono avvocato, dottore, professore, e anche a chi dice io sono un prete, intendendo con questo che sono qualcuno che deve comandare, che deve essere rispettato, a cui bisogna fare dei favori, cioè il prete come posizione di privilegio e vantaggio. Sembra quasi che la felicità possa venire dai titoli che abbiamo, dalla posizione che ricopriamo nella società.
Paolo è in prigione, forse per questo aggiunge la parola “in cielo”. Lui sa che la vera gioia, la pienezza della vita è là, per questo siamo stati creati e destinati. Lui di questo ha certezza perché crede nella resurrezione di Cristo e sa che essa è già la nostra resurrezione perché lui è il capo del corpo di cui noi siamo membra vive. Per lui è una cosa così certa che ne parla come se la stesse già sperimentando.
4 - In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo”. La nostra elezione da parte di Dio è completa, eterna, definitiva. Io sono oggetto dell'amore di Dio prima ancora che esistessi. È una scelta seria, perché fatta in Cristo, così seria che è disposto anche a sacrificare Cristo stesso per portarla a termine. Ripete le caratteristiche di questa scelta: che siamo Santi, riservati a lui e immacolati, cioè redenti dal peccato, così da essere degni di stare davanti a lui perché ora siamo simili a lui. Attenzione a questa piccola aggiunta: “nella carità”. Il suo amore è lo strumento dell'elezione e della redenzione, è il vincolo che garantisce l'unità con lui. Forse siamo abituati a pensare che tutte queste decisioni, queste scelte, siano fatte in Dio come le farebbe una macchinetta cioè in maniera fredda e automatica. Ricordatevi che Dio è amore, un amore onnipotente,è vero, ma questo non toglie niente al suo gioire, o soffrire. Il motore immobile senza emozioni è un'idea aristotelica che ora non accettiamo più. Allora pensate alla gioia in cielo quando un peccatore si converte e ritorna, ma anche alla sofferenza al momento della passione e morte di Gesù.
5 – Ci ha predestinati. Una parola va detta circa il rapporto tra la scelta di Dio e la nostra libertà. Dio non ci ha chiesto il permesso di crearci e nemmeno quello di sceglierci: lo ha fatto e basta in virtù del suo amore. La nostra libertà è nell'accettare o no il suo invito, ma questo non toglie nulla a ciò che Dio ha scelto e ciò che noi siamo, cioè siamo figli prediletti di Dio sia che diciamo sì e viviamo da santi sia che lo rifiutiamo e scappiamo lontano da lui. Mi viene in mente l'episodio dei 10 lebbrosi (Lc 17) dove tutti e 10 vengono “purificati” ma solo a chi torna a Lui con gratitudine è detta la frase: “la tua fede ti ha salvato”.
6 - A lode della sua grazia. La sua grazia non è solo la fonte della sua opera ma è anche lo scopo ultimo. Dio agisce per dare compimento alla sua gloria. Questo non è narcisismo ma è la pienezza di gioia nel vedere che il suo piano ha funzionato. Per far sì che questa grazia funzioni, Dio ce ne ha fatto dono in Cristo. Quindi la grazia che Dio ci dona è la presenza di Cristo in noi.
7 – Ci ha redenti. È questa presenza di Cristo in noi che rende possibile la santità e la purezza perché Cristo con il suo sangue ci ha redenti. Ricordiamo che per gli Ebrei il sangue è la sede della vita, la parte più importante di una persona. Dire che Dio ha versato il suo sangue è un'eresia perché è come dire che Dio rinuncia ad essere Dio. Questo è quanto capivano coloro che ascoltavano Gesù prima e Paolo dopo, ma è proprio questo che Gesù ha voluto dire. Mi torna in mente la scena del film “la Passione di Cristo” dove, dopo la flagellazione, Maria prende dei panni e va a raccogliere il sangue di suo Figlio che è rimasto lì ai piedi della colonna. Nulla deve essere perduto di quel sangue che Lui ha versato per noi. Nell'opera di redenzione Dio mette se stesso completamente in gioco. Come dire che Cristo ha assunto su di sé i nostri peccati, lui il puro, l'immacolato si carica dei peccati, Lui il re dei cieli è disceso agli inferi, ha messo in gioco completamente se stesso pur di raggiungere il suo scopo e questo solo perché ci ama così tanto che non esita ad affrontare il rischio. 9 – Ci ha fatto conoscere. Pensiamo a como sono arrivati a conoscerlo i santi e come questo ha influito sulla loro vita. Mi vengono in mente in questo momento le parole di Don Orione: Ponimi Signore sulla bocca dell'inferno perché per la tua santa grazia io la possa chiudere”. Non è che Don Orione si illuda di essere così bravo da poter chiudere l'Inferno oppure che non voglia più andare in Paradiso, ma in un momento di profonda mistica, è talmente invaso dall'amore per Dio e del desiderio per la salvezza delle anime da voler porre a rischio anche la sua stessa salvezza se questo serve a salvare qualcun altro, e a rinunciare alla beatitudine dell'essere in paradiso se questo permette ad altri di entrarci. Questo è uno dei punti più alti di misticismo mai raggiunto da un santo che va al profondo del mistero di Cristo che sulla croce grida “Mio Dio perché mi hai abbandonato?”
10 – Ci ha riuniti in sé. L'opera della Redenzione non è solo il perdonare i peccati come si farebbe con una camicia sporca messa in lavatrice, ma di creare quell'unione con Dio (in Cristo) che permetta allo stato di grazia di rimanere per sempre. Ecco quindi la frase che è poi il centro di tutto questo brano e di tutta la lettera: il piano della sua volontà di “riunire ogni cosa sotto Cristo”. Questo verbo che in latino è “instaurare” e in italiano è “ricapitolare”, non è per nulla chiaro. L'originario greco è un verbo tecnico utilizzato nei magazzini da coloro che dovevano mettere in ordine tutte le cose. Creare delle categorie dove raggruppare gli oggetti perché leggendo sulla targhetta esterna si capisca di cosa si tratta. Sarebbe come a dire che oggi, chi fa la contabilità della casa, crea delle voci: cibo, vestiario, viaggi, salute, ecc. poi prende le varie spese e comincia a metterle nella colonna corrispondente così chi guarda la tabella ha un'idea chiara di cosa sono e a quanto ammontano. Ebbene noi siamo tutti radunati sotto una sola voce: Cristo. Lì troviamo la spiegazione del nostro essere, il nostro luogo naturale dove si possono fare somme, contare eccetera. In altre colonne saremmo fuori posto, creeremmo confusione, rovineremmo i conti. Tutto deve essere raggruppato sotto Cristo, tutto si trova a casa sua solo in Cristo. Questo vuol dire che tutte le altre categorie umane sono sbagliate? No! Vuol dire che esse devono essere sotto-categorie. L'errore sarebbe considerarle da sole, indipendenti da Cristo, quasi un'alternativa a Cristo. Quando invece esse sono analizzate in Cristo, assumono la loro importanza e la loro giusta dimensione.
E qui ci si potrebbero inserire tante pagine di Don Orione: Vedere negli uomini il Figlio dell'uomo. Vedere e sentire Cristo nei fratelli, ecc.
Ecco il modo di pensare di Don Orione e anche di San Paolo: io mi concentro su Cristo e di conseguenza comincio a vederlo in tutti e sento il bisogno di amare ed aiutare tutti. Solo così abbiamo la garanzia di agire nel modo giusto.
Si possono suggerire tre passi per poter attuare questa spiritualità:
il primo passo è quello dell'ascolto che si fa azione. Esso parte dal raccontarsi e porre attenzione al racconto che sentiamo. Raccontarsi vuol dire rivedere la nostra storia come storia di grazia, la nostra vocazione come momento di grazia, la storia della nostra congregazione, della nostra comunità, come momenti di grazia. Dobbiamo imparare a condividere le cose belle, farne memoria che poi nella bibbia e nella liturgia diventano memoriale cioè ri-attuazione della stessa grazia.
Il secondo passo è quello dell'ascolto che si fa amore. Dalla storia che ci siamo raccontati e dalla coscienza dell'azione di Dio in noi lungo tutta la storia deve nasce l'opzione fondamentale per Dio, l'innamorarsi di Dio, la decisione di vivere solo per lui.
Il terzo passo è l'ascolto che si fa vita. Dio è diventato tanto importante in noi che tutto il nostro agire è una conseguenza di questo amore. Io sento il bisogno di replicare in me la vita di colui del quale mi sono innamorato.
"Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno".

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