Siamo noi preti ancora utili alla società? una via moderna alla santità.


Sappiamo ancora fare la differenza?
La prima volta che ho sentito questa domanda fu quando il vescovo di Delhi parlava ai suoi seminaristi. Con questa provocazione lui intendeva chiedere se la società in cui viviamo oggi sarebbe la stessa anche senza la nostra presenza. Riusciamo, attraverso il nostro esserci, a rendere questa società migliore?
Nel passato, senza dubbio, i preti e i religiosi avevevano un grande influsso sulla società, non solo perché possedevano gran parte delle scuole e degli ospedali, ma anche perché la vita della gente comune era fortemente influenzata dalla presenza della chiesa e da tutte le attività che in essa si svolgevano. A loro si addiceva bene la parola “Ministri”.
Un po’ alla volta, però, la società si è sviluppata, altre persone hanno cominciato ad aprire scuole e ospedali e questi, come anche quelli del governo, sono diventati altrettanto buoni che quelli “cattolici”, o spesso anche migliori. Risultato di questo è stato che molti Religiosi hanno cominciato a sperimentare un senso di vuoto, di perdita di senso, nella loro vita e spesso hanno pensato che fosse dovuto al fatto che non erano abbastanza professionalmente preparati.
La società contemporanea è fortemente secolarizzata, la gente non pende più dalle nostre labbra ma comincia a reclamare il diritto di esprimere le lore idee che, alle volte sono in accordo con gli insegnamenti della Chiesa, ma altre volte sono piuttosto distanti da essi.
Noi religiosi e preti siamo chiamati ad essere “sassi d’inciampo”, o almeno “semi” che devono produrre frutti, ma la domanda rimane sempre la stessa: Riusciamo ancora a dare contributi importanti per le persone attorno a noi?
Questa domanda mi è tornata alla mente dopo aver visto il film irlandese “Calvary” che racconta di un prete che in confessione si sente dire dal penitente che fra 7 giorni lui verrà ad ucciderlo. Trovandosi di fronte ad una prospettiva di morte imminente il prete si dà da fare a cambiare la vita di tante persone attorno a lui con cui ha vissuto per anni senza dare importanza ai loro problemi. Ora vuole sistemare le cose prima di morire. La parte triste del film è il fatto che anche dopo la morte del prete le vite di queste persono continueranno come prima.
Quando vediamo le folle che si radunano a tutti gli incontri del Papa, possiamo dire che se queste persone si sono prese la briga di fare viaggi, di stare in piedi per ore per vederlo o sentirlo, ciò vuol dire che il Papa per loro rappresenta un qualcosa di importante. Davvero Francesco è una persona che sa fare la differenza.
E noi? Quanti di questi verrebbero ad ascoltare la nostra voce? E quante delle loro vite cambierebbero grazie alle nostre parole?
C’è uno scrittore indiano di molto successo, R. Sharma, che scrive libri sulla vita, meditazione, yoga ecc. Un suo libro si intitola: “Quando morirai, chi verrà al tuo funerale?”. Io vorrei aggiungere: e che differenza esso rappresenterà per loro? Il loro essere venuti è perché erano tuoi parenti o amici; perché sei un prete; o perché hanno apprezzato il modo che tu hai vissuto il tuo essere prete?
Se sono venuti solo perché sei un prete allora possiamo dire, come nel proverbio romano: morto un Papa se ne fa un altro. Se sono venuti perché sono miei parenti o amici, soffriranno per un po', ma il tempo guarirà la loro pena e tutto tornerà come prima. Ma se, invece, sono venuti perché hanno apprezzato il tuo modo di vivere da prete, questo porterà in loro dei cambiamenti, e quando qualcun altro prenderà il mio posto, il ministero di guarigione continuerà.
I teologi dicono che tutte le azione della Chiesa, e di conseguenza quelle dei preti e anche dei singoli cristiani, devono tener presente 5 livelli. Essi sono:
Kerygma: annuncio, evangelizzazione
Martyria: testimonianza
Leiturgia: celebrazione della gloria di Dio
Diakonia: amore come servizio
Koinonia: amore come comunione.
Se noi riusciamo ad essere fedeli a questi 5 punti, allora diamo delle risposte concrete alle domande esistenziali che tutte le persone si portano dietro nel profondo della vita, domande di cui le persone non sono neppure coscienti perché le hanno represse in qualche parte nascosta del cervello per evitare la sofferenza del non saper dare risposte. Alcune di queste domande sono: Chi sono io? Da dove vengo e dove vado? Qual'è il senso della mia vita? C'è qualcosa dopo la morte? Cos'è la gioia vera? Dove trovarla? Quanto dura? E molte altre ancora.
Ma guardiamo cosa significano queste 5 parole greche in pratica. Inutile dire che le indicazioni che seguiranno si applicano a tutte le situazioni della vita e a tutte le relazioni, siano esse basate su amicizia o parentela, o ministero, o semplicemente date dal vivere insieme.
1) Kerygma. Quando parliamo, di cosa parliamo? Qual'è il contenuto dei nostri discorsi? Stiamo portando avanti solo le nostre idee o quelle di Dio? I nostri discorsi hanno un messaggio di salvezza per chi ci ascolta? Se io parlo solo delle mie idee, esse potrebbero andare bene ad alcuni, ma ad altri no. E per quanto tempo questi argomenti saranno validi? Che differenza c'è allora tra noi e un oratore qualsiasi, sia esso un politico o un sociologo? Solo Dio ha la risposta vera a tutte le domande, solo Lui ha parole di vita eterna.
2) Martyria. La nostra vita corrisponde alle nostre parole? Viviamo ciò in cui crediamo? Quando la gente ci vede, vede in noi l'immagine di Cristo che “umiliò se stesso assumendo la nostra condizione” per salvarci? Se la nostra vita è come quella di tutti gli altri , allora che differenza c'è tra noi e loro? A che serve il nostro essere “religiosi”?
3) Leiturgia. Qual'è lo scopo del nostro agire? Sant'Ignazio di Loyola incoraggiava I suoi seguaci a fare tutto “ad maiorem Dei gloriam”. Don Orione diceva: “la nostra vita sia un cantico di amore”. E noi? Lavoriamo forse per il nostro successo, la nostra gloria? Allora che differenza c'è tra noi e un qualsiasi altro uomo d'affari?
4) Diakonia. È il primo aspetto dell'amore. Il nostro apostolato è vero servizio? Davvero facciamo apostolato in maniera disinteressata? Siamo capaci di agire come Cristo? Facciamo le cose come se le stessimo facendo per Cristo? Se no, allora che differenza c'è tra noi e un assistente sociale?
5) Koinonia. È il secondo aspetto dell'amore, la comunione. Non si tratta solo di servire l'altro am anche di entrare in comunione con lui, uno con lui, come Cristo fece con noi. Nel Vangelo c'è scritto che l'unità tra di noi diventa garanzia della presenza di Dio. Davvero cerchiamo di capire le persone che serviamo? Siamo pazienti, misericordiosi, siamo capaci di perdonare, di accompagnare gli altri? O forse agiamo in modo paternalistico? Che differenza c'è allora tra noi e gli altri leaders?
Quando guardiamo a questa lunga pagina di domande ci scoraggiamo e magari pensiamo che la santità (perché di questo si tratta quando si parla di fare la differenza), non è per noi ma è un affare di pochi prescelti. Non è vero. Le molte indicazioni date qui sopra diventano semplici quando noi ci sforziamo di vivere alla costante presenza di Dio. La preghiera e la fedeltà alla vocazione sono la chiave della vita. Tutto il resto diventa facile, una semplice conseguenza.
Dobbiamo convincerci che Dio ci ama e il vivere fedelmente la nostra vocazione altro non è se non il modo migliore di cogliere questo amore.
Questo è stato il modo di vivere dei santi e di essere influenti sulle persone della loro epoca. Questa è anche la nostra sfida. Ce la possiamo fare.


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