Il Paralitico e Levi storie parallele di infermi che diventano missionari della riabilitazione sociale
1° Ritiro alle PSMdC 2016
La guarigione del Paralitico (Mt. 9,1-8)
L'incapacità di
camminare, l'alzarsi e l'uscire per andare incontro agli altri
Siamo
a Cafarnao, Gesù ritorna a casa dopo un viaggio all’estero.
Cafarnao è forse la città in cui ha fatto più miracoli, ma è
anche una di quelle che gli hanno creato più ostacoli con la sua
incredulità, basti ricordate la maledizione che Gesù gli invia in
Mt 11,23. Questo è un tema ricorrente in tutto il vangelo: coloro
che dovrebbero essere i più vicini, comprenderlo meglio, sono quelli
che lo rigettano. Perché? Forse perché i lontani vedono
l’esteriorità della cosa e ne sono attratti, mentre i vicini,
avendo già una relazione con lui, si sentirebbero più obbligati non
solo ad accettare ma anche a seguire Gesù. E poi è anche vero che
chi ha la pancia piena finisce con non apprezzare più il cibo che
gli è posto davanti mentre chi ha fame trova tutto “grazia di
Dio”. E noi abbiamo ancora “fame di Dio?”.
Di
fronte ad una persona bisognosa l’attitudine di Gesù va sempre in
due direzioni. Con il paralitico si mostra vicino, amorevole,
salvatore. Prima lo chiama “figliolo”, poi non solo gli dà la
guarigione ma anche il perdono dei peccati. Ma la sua premura non si
limita a lui. Gesù prende di mira anche gli spettatori, gli
increduli. Con loro si mostra provocatore, sottolinea le loro
contraddizioni, vuole che escano dai loro schemi fissi. Da notare che
questa gente ha in un certo senso paura di Gesù, infatti non fa
un'obiezione aperta ma si limita a brontolare in privato.
Il
loro modo di ragionare è basato su un punto fermo della legge: Solo
Dio può perdonare i peccati. È un dogma assoluto, inattaccabile di
fronte al quale non c’è via di scampo. Gesù invece insegna un
nuovo atteggiamento da tenere di fronte ai dogmi, non una nuova
interpretazione ma un atteggiamento che permetta di comprendere e
valorizzare i dogmi. La rigidità mentale dei farisei limita la
lettura del Dogma a ciò che è scritto e alla piccolezza mentale di
chi legge. Ma la lettera è già limitata in sé perché è umana e
così è chi la applica. Gesù richiama la funzione fondamentale del
Dogma che è quella di farci entrare nella natura di Dio e quindi non
la lettera ma la natura di Dio ci fa capire il dogma. Cristo sta
cercando di far capire a quella gente due aspetti importanti di Dio
che loro non hanno ancora compreso e non vogliono accettare: il primo
è che Dio è un dio di misericordia perché è un Dio Amore. Secondo
è che questo amore, per essere vero a se stesso, si è incarnato in
Gesù. Loro, invece, considerano l'amore e la misericordia come due
dei tanti attributi di Dio, quindi aspetti secondari, come se Dio
potesse farne a meno, se volesse. La possibilità, quindi, di un Dio
che si incarna, cioè rinuncia alla sua natura per assecondare un
aspetto secondario (l'amore) diventa un'eresia e intacca l'unicità e
l'onnipotenza di Dio. Se guardiamo bene, lungo la storia e forse
anche adesso, tanti cristiani si sono comportati nello stesso modo,
ponendo al centro un Dio Onnipotente e attendendo in modo fatalistico
che lui faccia quello che vuole, sperando che voglia sempre qualcosa
che va bene a noi, e dall'altra parte noi poveretti obbligati a fare
il più possibile secondo le leggi stabilite.
Se
Dio è onnipotente ed ha anche tra i suoi attributi quello di Amore,
qualche volta, se c'è bisogno, può rinunciare all'attributo. Ecco
come spiegare le malattie, le catastrofi, ecc. Se invece Dio è Amore
per essenza, un amore onnipotente, allora bisogna spiegare tutto,
comprese le malattie, le catastrofi, a partire dall'amore di Dio il
che, per la mente umana, è spesso difficile da capire. Questa è la
grande sfida del Cristianesimo. Tutte le religioni accettano un Dio
che ama, solo il Cristianesimo accetta un Dio che è Amore per
essenza.
La
disputa con i Farisei che accompagnerà Gesù lungo tutta la sua vita
è tutta qui. Il Dio della lettera è un Dio fatto su misura per la
posizione dei potenti, è un Dio che appaga la loro mentalità, li fa
sentire sicuri, importanti. Loro erano come ministri di un potente re
(Dio), l'unico che potesse contrastare, almeno a livello di
principio, il regno dei Romani occupanti e di Erode traditore.
Potremmo dire che la religione è in funzione del loro potere e non
viceversa. Allora il mantenere la loro posizione diventa più
importante di Dio stesso e spesso cadranno in contraddizione come
quando, alla fine, si appelleranno proprio ai Romani pur di
sbarazzarsi di Gesù.
Ma
veniamo al paralitico. A lui Gesù mostra misericordia. Vorrei
prendere spunto dal racconto nella versione di Luca o Marco. Marco di
solito ha più particolari, Luca è più attento all'umanità delle
persone coinvolte, Matteo è più scarno e dogmatico, più attento
all'insegnamento dottrinale che Gesù ci vuole dare. Ebbene Luca
racconta il fatto curioso che mentre Gesù è in casa e sta
discutendo con varie persone tra cui alcuni dottori della legge e
Farisei, molta folla era accorsa tanto che i portatori della barella
del paralitico non riescono a passare. Allora si inventano di salire
sul tetto, scoperchiarlo e calare la barella dove si trovava Gesù.
Il fatto è raccontato nei dettagli proprio per creare la distinzione
tra i due gruppi: i Farisei e i portatori del paralitico. È
interessante vedere che i Farisei vengono a casa di Gesù, entrano da
lui, si fermano a discutere ed ascoltare quindi c’è già un certo
interesse ma sono passivi, stanno lì seduti. Manca loro la libertà
di animo di accettare quello che ascoltano. Dall'altra parte, invece,
abbiamo queste persone semplici, quasi disperate ma attive ed
ingegnose. Risultano molto chiari sia il loro bisogno, sia la loro
fede. È questo sottofondo di bisogno e di fede che rende possibile
il miracolo di Gesù. Quali sono gli atteggiamenti di Gesù? Vede la
“loro” fede, sottolineo il “loro”, compresa quella di coloro
che lo hanno portato. Gesù reinserisce il paralitico nella comunità
e sottolinea l'aspetto redentivo della fede della comunità. Aggiunge
poi la frase provocatoria: “ti sono rimessi i peccati”. Gesù
guarda alla globalità della persona, al rapporto tra lo spirito e il
corpo. Secondo la mentalità dei Farisei le malattie erano castighi
divini per le colpe commesse dalla persona o, nel caso di malattie
alla nascita, dai suoi genitori. Se questo è vero allora è
impossibile guarire una persona perché facendo ciò si andrebbe
contro la volontà di Dio che voleva punirla. Allora se Gesù
guarisce il malato vuol dire che o è più potente di Dio o comunque
riesce a fargli cambiare idea. Qui sta la provocazione. Non bisogna
cadere nella tentazione di pensare che Gesù sottolinei questo legame
stretto tra peccato e sofferenza, si serve dell’episodio per
mostrare le contraddizioni della posizione dei Farisei. Certo qualche
legame c’è ma la prospettiva di Gesù non è basata sulla colpa ma
sulla misericordia che deve avvolgere tutta la persona con le sue
debolezze, siano esse fisiche “Alzati e va”, sia morali “ti
sono rimessi i peccati”, sia sociali reinserendo la persona nella
società (questo risulta ancora più chiaro nel caso dei lebbrosi o
degli indemoniati). Per me questo aspetto sociale di recuperare la
persona davanti agli occhi della gente è più importante della
guarigione stessa tanto più che il miracolo è inserito proprio in
un contesto di conflitto sociale. Certo che in quel momento per il
paralitico, al di là della gioia di poter tornare a camminare, il
trovarsi di fronte a un Gesù che si serve di lui per attaccare
coloro che erano così facili ad escluderlo, giudicarlo, considerarlo
maledetto, deve essere stata una gioia enorme. Se noi guardiamo alle
nostre opere, la stragrande maggioranza delle persone che vengono da
noi non ricevono la soluzione fisica dei loro problemi: un povero ci
chiede dei soldi, gli diamo da mangiare, gli paghiamo le medicine ma
lui rimane povero e domani avrà di nuovo bisogno. Un ammalato va
all'ospedale, la guarigione è un processo lungo e spesso è solo
temporaneo, alle volte fallisce. Ma dobbiamo fare attenzione non solo
all'aspetto fisico ma anche all'aspetto sociale e spirituale. Questa
persona si deve sentire accolta, amata, utile; deve sentire che le
barriere sociali che la sua debolezza o infermità hanno creato sono
superate, e poi questa persona deve aver l'occasione di fare
l'esperienza del Dio misericordioso che guarda al di là delle
semplice debolezze fisiche ma tocca l'intimo, i sensi di colpa, il
senso di indignità, il senso di abbandono.
C'è
un'altra cosa da notare. Se guardate alla lista delle guarigioni che
avete scelto per le meditazioni di questo anno vedrete che esse
coprono le varie parti del corpo o meglio le varie parti della vita
delle persone. Oggi ha guarito la facoltà di camminare, di andare.
Il camminare è sempre segno di cambiamento, di meta da raggiungere.
Il popolo di Israele ha camminato per uscire dall'Egitto ed entrare
in terra santa, ha camminato per 40 anni nel deserto; Elia cammina 40
giorni per raggiungere il monte Horeb e incontrare Dio; chi si mette
in moto ha una meta da raggiungere e il cammino è ciò che gli
permette di raggiungerla. Le numerose volte che il Vangelo dice va,
vieni, queste parole indicano sempre un cambiamento di vita.
Chi
cammina esce da sé stesso ed incontra gli altri. Chi invece rimane
chiuso in sé, nelle sue paure, nella ricerca delle soddisfazioni
personali, in quella che Francesco chiamerebbe “la sua
autoreferenzialità”, costui non si mette in cammino, non ha mete
da raggiungere. I veri paralitici del brano evangelico sono i Farisei
che sono lì seduti ad ascoltare, che non vanno incontro a Gesù e
che anche quando il malato torna a casa loro restano lì seduti a
brontolare. Sono queste le paralisi che ci fanno male. Nel Vangelo di
Matteo, subito dopo aver detto al paralitico di alzarsi, Gesù dice
ad un altro, a Matteo: “seguimi” e questi lasciando dietro di sé
il banco delle imposte si alza e lo segue. L'essere esattore non era
forse considerato uno dei peccati più gravi? E anche qui Gesù fa la
promozione sociale. Per prima cosa si fa invitare a cena da lui, una
cena con tutti i suoi amici (modello dell'incarnazione), poi fa di
lui non solo un convertito ma addirittura un modello per gli altri,
lo fa apostolo.
Chiediamoci:
quali sono le mie paralisi? Quali le cose che mi impediscono di
uscire fuori verso gli altri, di camminare verso la mia meta, di fare
quello che in coscienza so che devo fare? Forse mi vergogno di
qualcosa, forse ho paura di qualcosa, forse mi sento inferiore, mi
sento giudicata, mi sento non accettata, ho sentimenti di invidia o
gelosia. Queste sono tutte cose che bloccano le relazioni, di
aprirmi, di prendere l'iniziativa di fare.
Abbiamo
accennato sopra alla solidarietà di chi accompagna il malato da
Gesù. Siamo tutti peccatori. Come c'è una solidarietà nel male,
c'è però anche la solidarietà nel bene. Ora il mio rapporto con
gli altri, le persone amiche, i membri della comunità, serve per
ottenere il bene, per aiutarsi a vicenda ad arrivare a Dio oppure è
una solidarietà al male, al ricercare il nostro interesse, il nostro
comodo?