Dio i miracoli li vuol fare o no?


Domenica 5 Luglio 2015. Mio 25° di Messa. Mc 6:1-6 e 2 Cor 12:7-10

Il vangelo di oggi ci presenta un episodio strano: Gesù va a visitare il suo paese di nascita, i suoi parenti e amici. Questi lo ascoltano ma non lo accolgono bene e lui non può fare miracoli. Dopo tutti i successi visti nelle altre parti del vangelo, ci troviamo per la prima volta di fronte a una sconfitta di Gesù.
Qual'è il problema? Io lo chiamo “le etichette”. Questi sapevano tutto di Gesù, lo avevano visto per trent'anni, fino a un anno fa, poi era partito, sentivano arrivare notizie dei suoi miracoli, del suo predicare, il problema è che lì al paese, in quei trent'anni di miracoli non ne aveva fatti, e neppure di prediche. Di lui avevano un'immagine chiara, appunto un'etichetta e con questa etichetta si sentivano al sicuro. Come noi quando andiamo al negozio, prendiamo il prodotto leggiamo l'etichetta, gli ingredienti, da dove viene, il prezzo e ora che sappiamo tutto possiamo scegliere il migliore. Noi mettiamo etichette a tutte le persone, più le conosciamo più ci sentiamo sicuri, non possono essere un pericolo per noi perché sappiamo tutto di lui, siamo preparati. Le etichette sono frutto della nostra paura. Il problema è che l'etichetta non lascia spazio all'imprevisto, alla grazia di Dio che non lavora mai nella normalità, l'etichetta non dà spazio all'altro per cambiare, migliorare, convertirsi. L'etichetta non è uno strumento che ci aiuta ma un ostacolo.
Il problema delle relazioni umane non è il conoscere, ma il riconoscere. Non è il “chi è lui?” ma il riconoscere Dio che vive e lavora in lui. Tutti noi siamo figli di Dio e strumenti nelle sue mani, nelle mani di quel Dio che ci vuole fare il bene e lo vuole fare nel modo scelto da lui.
Noi ci troviamo qui stasera a celebrare, celebrare 25 anni del mio sacerdozio. Io vedo il pericolo di queste celebrazioni, il pericolo di celebrare l'uomo, i suoi titoli, le cose che ha fatto, tutte etichette, e ci dimentichiamo di Dio. Per fortuna siamo qui in chiesa e la celebrazione è l'Eucarestia, il mistero della debolezza di Dio e della forza della sua salvezza.
Siamo qui per due motivi.
- Primo motivo è per ringraziare Dio, ringraziarlo di tutto quello che ci ha dato, tutto è dono suo; ringraziarlo delle persone incontrate, delle relazioni instaurate in questi 25 anni. Ogni incontro è un incontro con il Dio vivente, con il Dio che si rende presente; è sempre una grazia. Infine ringraziarlo per tutte le cose fatte in questi 25 anni. Ogni goccia di bene è un piccolo seme che produrrà salvezza per il mondo.
- Ma c'è un secondo scopo per il nostro essere qui oggi, ed è il lasciarsi provocare da Dio. Sant'Agostino diceva: “se quest'uomo o questa donna possono, perché non posso anch'io?” Lasciamoci provocare dal bene fatto dagli altri per fare anche noi qualcosa di bene. Dio opera in tutti. Non è importante il quanto facciamo o il dove lo facciamo, questi sono calcoli umani e i calcoli umani non ci portano mai alla meta, alla vittoria; la cosa importante è fare qualcosa perché esso è il granello di senape di cui parlava il vangelo due settimane fa che pur essendo il più piccolo cresce come pianta dove gli uccelli del cielo possono posarsi.
Nel vangelo di oggi c'era un piccolo particolare che chi ha preparato il messale ha omesso per rendere il discorso più fluido. Nella bibbia, il brano di oggi inizia così: “Uscito di lì, Gesù si recò nella sua patria”. Quell'”uscito di lì” si riferisce all'episodio precedente, quello che noi abbiamo letto domenica scorsa, cioè la guarigione della donna affetta da emorragie e la resurrezione della figlia di Giairo. Lì due sconosciuti, con la loro fede, permettono a Gesù di fare due super-miracoli, mentre oggi i suoi amici, i suoi parenti, non solo non gli permettono di fare miracoli, ma addirittura lo criticano; Gesù diventa motivo di liti e divisioni.
La fede è avere il coraggio di lasciar andare le nostre sicurezze umane per lasciarsi guidare da lui. Non sto dicendo che dobbiamo buttare via o disprezzare l'intelligenza, gli studi, i soldi, i titoli, ecc. essi sono dono di Dio e vanno usati, ma non possono diventare questi i nostri punti di appoggio, i nostri motivi per scegliere, e soprattutto non possono diventare una scusa per non agire: “io non ho studiato, io non sono intelligente, ecc.”. I miracoli li fa Lui, non la nostra intelligenza o i nostri soldi, ma lui ha bisogno della nostra fede, la fede dell'emoroissa o di Giairo di domenica scorsa, non i vuoti discorsi o le etichette dei paesani di Nazareth.
C'è un'altra frase strana: “Non poteva compiere nessun prodigio ma solo guarì qualche ammalato”. Questa frase così di passaggio sembra un po' una contraddizione, ma ci fa capire due cose importanti.
La contraddizione tra “nessun prodigio” e “guarì” ci fa capire che il vero miracolo non è la guarigione fisica ma la salvezza vera. Gesù ci fa sempre del bene ma questo bene che riceviamo diventa miracolo, diventa salvezza solo se accettato con fede. Se il miracolo fosse solo la guarigione fisica, allora dovremmo dire che chi sta bene è amato da Dio e chi è ammalato è dimenticato da lui, invece noi sappiamo che questo non è vero. L'importante nella nostra vita non è la salute fisica, il successo, la ricchezza, la carriera, l'allegria, ma la salvezza spirituale, la forza dello spirito, la gioia interiore.
Il secondo spunto della frase è che chi era ammalato sente forse il bisogno di lui, mentre chi era sano voleva solo uno show a cui partecipare. Sentiamo cosa dice al riguardo la seconda lettura. San Paolo, nel pieno del suo apostolato, nel momento in cui ha più bisogno di salute, forza per poter fare il lavoro del Signore, si ritrova una “spina nella carne”. Ha pregato per tre volte (aveva una fede forte), ma non ottiene la guarigione, per due motivi, dice lui: per non entrare in superbia, e perché Dio lavora meglio nella nostra debolezza e lì può mostrare la sua forza.
La mancanza di fede è un atto di superbia. Noi ci crediamo migliori, più forti, capaci di risolvere i problemi, anche se poi, a parole, ripetiamo che siamo umili. Noi non accettiamo in pieno le nostre debolezze, fisiche o morali che siano, e allora togliamo dalle mani di Dio lo strumento migliore per lavorare, per salvarci.
L'invito è per tutti. Sentitevi chiamati da Dio e mettetevi disponibili per il suo lavoro.

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